lunedì 9 gennaio 2012

UN EFFETTO SENZA CAUSA E IL DOGMA DELLA CONTINUITA’


E’ risaputo che il 29 giugno 1972 Paolo VI disse: “si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa, è venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio”. Successivamente Giovanni Paolo II il 6 febbraio 1981 parlò di “stato di apostasia silenziosa” del cattolicesimo contemporaneo e l’allora card. Ratzinger il 9 novembre del 1984 all’O.R. disse:”I risultati del Concilio sembrano (?) crudelmente opporsi alle attese di tutti…..Ci si aspettava una nuova unità cattolica e si è andati incontro ad un dissenso che è apparso passare dall’auto-critica all’auto-distruzione..ecc1”.
Poi nel 2005 (Via Crucis), poco prima di essere eletto, denunciò la “sporcizia nella Chiesa, la quale sembra una barca che sta per affondare e che fa acqua da tutte le parti”.
Tutti questi pontefici constatarono il risultato negativo del Concilio, ma solo il papa felicemente regnante, nell’altrettanto ormai famoso discorso alla Curia del 22/12/2005, indicò nell’”errata ermeneutica” la causa del risultato post conciliare.
A quanto mi risulta fu l’unico ad indicarne una.
Questa tesi dell’ermeneutica, come è d’uso nei modernisti, è divenuto un dogma ex sese.
Vediamo se questa ipotesi può essere veramente accettata oppure è passibile di errore.
Ciò che propongo non ha valore risolutivo però, usando le parole di Aristotele, scrivo che “è giusto essere grati non solo a coloro dei quali condividiamo le opinioni, ma anche a coloro che hanno espresso opinioni superficiali”, come nel mio caso, infatti “anche costoro hanno dato un certo contributo alla verità”.(Libro α ελαττου 1)
Nel primo Libro della metafisica, lo stesso Filosofo, dice che la sapienza è conoscenza di cause e che tutti gli uomini amano il sapere.
Se quindi vogliamo sapere se effettivamente l’ermeneutica sia la causa del disastro post conciliare dobbiamo indagare e dare una risposta alla questione.
Semplicemente la sapienza è ricerca delle cause e dei principi.
Ogni cosa che noi notiamo è il prodotto di una causa che si manifesta nel suo effetto, una medesima causa può avere più di un effetto che a sua volta può essere causa di un ulteriore effetto.
Tutte le cose, quindi, sono in rapporto di causa ed effetto.
La sapienza consiste in questo: saper risalire dall’effetto alla sua causa più prossima fino ad arrivare alla causa prima, la quale esiste ed è unica: ad esempio l’incendio di un bosco; so che la causa è il fuoco ma esso può dipendere da un fulmine o da un uomo, i quali possono essere la causa prima secondo una delle 4 individuate dal Filosofo.
La crisi della Chiesa che oggi noi viviamo, proprio per la legge della causa e del suo effetto, deve necessariamente essere ricondotta ad una causa, almeno prossima, tra quelle, appunto, enumerate ed enunciate dal Filosofo: Causa efficiente, materiale, formale e finale.
Ma nel nostro caso però, come vedremo, in nessun modo l’ermeneutica può essere la causa prima del disastro.
Infatti, in una serie di tre termini, il termine intermedio non può essere causa prima dell’ultimo.
 “Si oporteat nos dicere quid sit causa inter aliqua tria, quae sunt primum, medium et ultimum, ex necessitate dicemus causam esse id quod est primum. Non enim possumus dicere id quod est ultimum, esse causam omnium, quia nullius est causa; alioquin non est ultimum, cum effectus sit posterior causa. Sed nec possumus dicere quod medium sit causa omnium; quia nec est causa nisi unius tantum, scilicet ultimi.”(San Tommaso Sententia Metaphysicae, lib. 2 l. 3 n. 2 )
“Se dobbiamo dire qual è la causa tra tre cose che sono primo, medio e l'ultimo, diciamo , di necessità, essere la causa ciò che è  primo. Infatti non possiamo dire essere la causa di tutti ciò che è ultimo, perché è la causa di nulla, altrimenti non è l'ultimo, essendo l'effetto posteriore alla causa.
Ma neppure possiamo dire che il medio sia la causa di tutto, perché non è la causa se non di uno soltanto, vale a dire, dell'ultimo”.

In questa serie di tre termini, il concilio, l’ermeneutica ed il post concilio, l’ermeneutica, procedendo dal concilio, essendo l’interpretazione dei testi e delle dottrine conciliari, è un termine intermedio tra il concilio ed il suo effetto, cioè la devastazione lamentata dai papi sopra citati.
Nessuno, tra di loro, ha mai indicato il Concilio Vaticano II come causa prima della situazione da essi stessi descritta.
Questo ragionamento è attribuibile in assoluto, sia che si prendano solo i tre termini in questione, sia che la serie si estenda più indietro, ma non certo all’infinito, in quanto “è impossibile infatti, concepire un processo all’infinito…per quanto concerne la causa da cui si origina il movimento” (Metafisica 2).
L’errata interpretazione dei testi del concilio può essere una causa dell’effetto descritto ma non la causa prima, perché se fosse causa prima non avrebbe altra causa prima di essa.
Ma se l’ermeneutica fosse causa prima muoverebbe da se stessa e non dipenderebbe da altro che da se stessa, altrimenti non sarebbe più causa ma effetto e quindi termine intermedio.
La realtà, però, non può essere in questi termini, se essa fosse causa prima, l’interpretazione del testo sarebbe il testo stesso e non la sua interpretazione, quindi non più le dottrine del concilio sarebbero magistero ma le interpretazioni che ne scaturiscono, quod repugnat. Dobbiamo in verità escludere questa ipotesi perché: quia ante omnem secundam causam moventem requiritur prima causa movens, requiritur quod ante omnem causam mediam sit causa prima, quae nullo modo sit media, quasi habens aliam causam ante se. (San Tommaso Sententia Metaphysicae, lib. 2 l. 3 n. 3 )
“E poiché prima di ogni causa seconda movente si richiede la causa prima movente, è necessario  che prima di ogni causa intermedia ci sia la causa prima e  che in nessun modo sia media, come avente un'altra causa prima di se”.
Qualcuno potrebbe obiettare che anche il concilio sia un termine intermedio di una causa antecedente da ricercare, ma ciò è ininfluente poichè il mio scopo rimane dimostrare che l’ermeneutica non è la causa prima del disastro, ma, secondo il ragionamento de quo, è il concilio a rimanere la causa degli altri due termini: nec possumus dicere quod medium sit causa omnium; quia nec est causa nisi unius tantum, scilicet ultimi, appunto. (supra)
Se volessimo estendere la serie oltre i tre termini, il concilio, considerandolo non causa prima ed in ragione degli altri come un termine medio, potremmo attribuirgli la qualità di causa formale, individuando nel pensiero moderno la causa materiale, quale oggetto degli errori riversatisi nei testi del concilio.
San Pio X infatti nella sua memorabile e straordinaria enciclica “Pascendi” fece una sintesi organica di una serie di aspetti gnoseologici del modernismo, che confluirono e presero forma nel Concilio Vaticano II, almeno ambiguamente: pensiamo a GS 22 nella quale troviamo scritto: “Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo.”
Molti sanno, poi, come è stata interpretata. (ermeneutica)
“Il progressismo non è nato né dal Concilio né dopo il Concilio. Esso non è che la esplosione più violenta, più vasta, più organizzata di un fenomeno dottrinale iniziato, più o meno in sordina, tra gli anni 1930- 1940 [...]: [...] " la nuova teologia”, [...] che in effetti altro non era che una nuova edizione riveduta e peggiorata del modernismo».
Nulla vieta di vedere nel Vaticano II l'occasione propizia in presenza della quale ciò che di aberrante, da qualche tempo, ribolliva sotto la superficie di una calma apparente nella vita della Chiesa, è esploso virulento alla luce del sole. Il Concilio ha fatto da catalizzatore di reazioni di vario tipo già esistenti, allo stato sparso, in seno alla cattolicità.”2
Come volevasi dimostrare.
Proprio perché la sapienza è ricerca di cause, se sosteniamo che l’errata ermeneutica sia la sola causa dello sfacelo lamentato dai pontefici, non riusciremo mai a trovare la Verità e tentare di contenere i danni risultanti dalle dottrine conciliari; non possiamo assolutamente sostenere che l’ermeneutica sia la causa prima del problema.
La dimostrazione è semplice e non richiede grandi sforzi: è solo un principio corretto.
Dobbiamo anche dire che l’ermeneutica applicata alla continuità porta quest’ultima ad essere causa efficiente delle dottrine del Concilio. Non si tratta più di stabilire se le sue dottrine e quelle precedenti siano in continuità, come causa finale, come dimostrazione della tradizione, ma di partire dalla continuità come principio, per poi trovare l’accordo tra di esse facendo ermeneuticamente coincidere i contrari sullo stesso soggetto.
Si tratta di un ragionamento perverso perché, così facendo, potremmo affermare ogni cosa e dire che anch’essa è in continuità, ex sese: questo è il dogma della continuità.
Un principio da cui partire è quod ubique semper et omnibus creditum est (San Vincenzo Commonitorium II): antichità, universalità e consenso.
Prendiamo queste due affermazioni contrarie:
a)      Gli ebrei furono la causa efficiente della morte di Gesù
b)      Gli ebrei non furono la causa efficiente della morte di Gesù
Se confrontiamo la frase a) con il principio di cui sopra concludiamo che esiste continuità (dai Padri della Chiesa fino al CVII), se confrontiamo la proposizione b) con lo stesso principio concludiamo che non è in continuità.  
Un corretto ragionamento (inferenza razionale) si basa sul principio di non contraddizione,  ora è impossibile che si possa arrivare ad una conclusione razionale tra le due proposizioni salvo che:
1)      Si dia come principio di ogni affermazione la continuità, per cui tutte le proposizioni sono uguali: dogma
2)      Si comprino gli occhiali dell’ermeneutico con cui è possibile vedere tutto in continuità.
Ma ci viene in aiuto, per comprendere il dogma della continuità, la seguente frase di recente pubblicazione :E’ vero che la continuità va dimostrata, ma è assolutamente indimostrabile che la continuità non c’è”.
Tale frase è frutto della “mente eletta” di P. Cavalcoli.
Ora se la continuità va dimostrata significa che ancora non c’è, ma se è altresì assolutamente indimostrabile che non c’è allora significa che è dimostrata.
Questo è il linguaggio di certi teologi modernisti che danno dei protestanti, in alcuni casi, e dei modernisti, in altri, al prossimo guardando la pagliuzza del loro occhio e non la trave che è nel proprio.
Ammettiamo di avere due quantità A e B e che si voglia dimostrare che A=B (E’ vero che la continuità va dimostrata). 
Dimostrare che A=B dicendo che è impossibile che A sia ≠B (ma è assolutamente indimostrabile che la continuità non c’è ) è pura tautologia.
Potrei sbagliarmi ma a me sembra un’argomentazione fallace, in questo caso un argomento ad ignorantiam.
In conclusione, attraverso la logica che è  un corretto uso della ragione, si riesce a comprendere che;
1)      L’ermeneutica non è la causa prima del disastro
2)      La continuità non esiste, c’è solo nelle menti (elette) che hanno posto come principio ciò che invece non lo è ed hanno abbandonato l’uso della retta ragione per volgersi alle favole (2Tim 4,4).

                                                                                                                      Stefano Gavazzi

NOTE:
1)      Mons. Brunero Gherardini in Conc. Vat. II il discorso mancato pag.68
2)      Grazie al mio amico Gianluca, leggendo il suo ultimo post, trovo conferma autorevole sulle questioni espresse in questo articolo. Tali affermazioni sono di Mons. Luigi Maria Carli, vescovo di Segni, in Nova et vetera. Tradizione e progresso nella Chiesa dopo il Vaticano II, Istituto Editoriale del Mediterraneo, Roma 1969, p. 111. e Ibid., p. 49.

2 commenti:

  1. Caro Stefano,

    Sono d'accordo con la tua analisi. Ma sulla soluzione ermeneutica di Benedetto, quello che mi chiedo è:

    C'è solo un solo magistero, come ci può essere due ermeneutiche per un solo Concilio?

    Gli insegnamenti di un concilio ecumenico si chiuderà solo nei loro testi? E l'insegnamento orali nelle sessioni del Concilio, non dovrebbe contare come il significato di ciò che era scritto? Non vale nulla? Ci?

    Un'altra domanda è:

    Come l'ermeneutica della rottura raggiunto la massima libertà nella Chiesa? Che cosa há fatto il magistero (i vescovi) per difendere la vera interpretazione del Concilio?

    Lutero avrebbe potuto anche affermare che c'era un problema ermeneutico nel cristianesimo. Perchè ha stabilito la “Sola Scriptura” come regola di fede alla sua Chiesa. Così, per capire il cristianesimo attraverso gli occhi di Lutero, equivale a vedere tutto quello che è stato fatto dopo il termino dela Bibbia, una ermeneutica della rottura, e solo appartire da lui (Lutero), se ce una ermeneutica della continuità. Suona come una perfetta analogia a ciò che è accaduto con il Concilio e il post-concilio, che ha adottato i testi del Concilio, come la regola suprema della propria fede( in modo da eliminare sia l'insegnamento e la tradizione). Sempre in analogia tra protestantesimo e ciò che è stato fatto nel concilio, vedere il protestantesimo tradizionale. Per i fedeli protestante, non c'è insegnamento orale, non c'è Padri della Chiesa, e non c'èi magistero, c'è solo la sola Bibbia. Come il Concilio, non c'è insegnamento orale fatto dai vescovi, e non vi èl'insegnamento del Magistero stesso, ciò che esiste è la Sola Concilium Scriptura e nulla più.

    Nostro Signore ha parlato dell'esistenza di cani, maiali e lupi nel Vangelo. Lutero, nel dare la Bibbia al popolo, diede anche a tutti coloro ai quali il Signore ha detto che non era da dare le cose sante (cani e suini) o per evitare (i lupi). Il problema è uguale tanto al Rinascimento, come per Lutero, c'era solo o uomo, o sia l'atto dil'eretico di dare la Bibbia al popolo, è stato un antropocentrico. Ora vedere la somiglianza con il decennio di 1960, dove c'era anche solo l'uomo e l'uomo moderno. Così è nata la premessa del Concilio al fine di meglio parlare all'uomo moderno.Una premessa enormemente dubbia, perché il Signore ha parlato l'uomo (chiamato) antico, in parabole, per proteggere la rivelazione e non dare le cose sante ai cani e maiali. Ma, come per Lutero, c'era solo un uomo, non più cani e maiali, anche per il concilio cessato di esistere e sono stati poi integrati nella Chiesa. Questo prova l'ermeneutica della rottura, che è la frantumazione delle perle permessa dal magistero.

    Non so se sto diventando tutto quello che voglio dire, il mio italiano non è così buono. Ma Stefano, si consideri la definizione dell'uomo moderno, ciò che definisce l'uomo moderno in quanto tale? Non lo so, ma sembra che in questa definizione è stata esclusa certa affinità tra uomo e animale (cani, maiali e lupi) di che há parlato nostro Signore nel Vangelo. Per il Concilio essi animali che ce la somiglianza di certo uomini, sono parte di una tradizione in gesso, che deve evoluire ... Inoltre, non possiamo parlare di un uomo antico o un uomo medievale (singulare) , ma in uomini antiqui e gli uomini medievali (plurale). Nei tempi antichi c'erano uomini che con la loro idolatria, divennero gli animali, ci sono stati i greci che erano idolatri, ma non diventano gli animali e ci sono stati ebrei che in un primo momento fosse fedeli, dopo Cristo, caddeno in infedeltà. Ma se io dico antico, tutti questi uomini, è apparso come uno e tutti essendo uguale (lo stesso vale per l'uomo medievale o moderno). Il problema a mio vedere è che nel definire l'uomo moderno, diventa la misura al culto dell'uomo parlato di Paolo VI…

    Un saluto dal Brasile

    Un saluto dal Brasile

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  2. Caro Gederson mi scuso per il ritardo ma sono tornato solo oggi poichè ero a Milano alla riparazione per la blasfemia dello spettacolo del regista castellucci.
    Devo dirti in tutta franchezza che l'intervento è troppo lungo e forse hai trovato difficoltà nell'esprimerti mentre molto spesso ho trovato il tuo italiano davvero notevole (esempio sul blog Nonpossumus).
    Potresti essere più conciso nell'eprimere il concetto in questo modo non posso risponderti.
    CVCRCI

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