martedì 28 maggio 2013

Ecumenismo spinto nella diocesi suburbicaria

La mmagior parte dei cattolici ha perso la ragione.
Ricevo e pubblico da UNAVOX.



Ecumenismo spinto nella diocesi suburbicaria
di Porto Santa Rufina


di Prandianus




Immagine contenuta nella locandina che pubblicizza l'evento.
Si sceglie il “Rotolo della Legge”, quasi a riprova che ci si vergogna del Vangelo.
(si veda la pagina sul sito della diocesi)






Era sentito, urgente ed impellente bisogno che il cattolico conoscesse, finalmente, il pensiero biblico del protestante/scismatico.
E, difatti, nel clima euforico del nuovo indirizzo “di- missionario” ecumenistico in cui ci si avvìa a una sintesi hegeliana – tanto cara all’emerito ex pontefice Joseph Ratzinger (cfr. Mons. B. Tissier de Mallerais, La strana teologia di Benedetto XVI – ed. Ichthys) – una sintesi, dicevamo, del molteplice sentimento religioso interconfessionale coagulato in una giulebbosa e peciosa melassa fatta con ingredienti cattolici/massonici/induisti/islamici/ebraici/buddisti – tritume e sfridi di false fedi – in siffatto clima si svolgerà, il prossimo 25 maggio 2013, presso il Centro Nazareth di Roma, a cura della Diocesi Suburbicaria di Porto-Santa Rufina, una “Giornata della Parola”, nell’orbita dell’Anno della Fede, con la fraterna partecipazione di esponenti protestanti.

Nel sottotitolo si precisa: “una Parola che unisce” e, in virtù di questo sillogismo: “La parola è comunicazione – gli uomini comunicano – quindi con la parola gli uomini si uniscono” anche le interpretazioni bibliche di Calvino, Lutero, Russell, Cramner diventeranno unificanti.

A simile annuncio parrebbe che gli interventi siano stabiliti su un piano di equa distribuzione “democratica” - come ben si addice al nuovo indirizzo politico disegnato dalla CEI del cardinal Bagnasco e sanciti dal comportamento di papa Francesco I - ma poi, a leggere la locandina, ci si accorge che la Curia organizzatrice lascia tribuna e spazio unico agli ospiti protestanti nello spirito di quella carità conciliare che sdilinquisce di fronte al nemico di Dio ma digrigna i denti al tradizionista : vecchio vezzo per cui già Dante poteva scrivere:

L’oltracotata schiatta che s’indraca/
dietro a chi fugge, e a chi mostra ‘l dente/
o ver la borsa, com’agnel si placa
(Par. XVI, 115/117)

con ciò dimostrando come la severità curiale maggiormente si applica sul povero di spirito, sull’umile credente che sul superbo contestatore. Il quale sa che a lui sarà riservata o una “Cattedra dei non credenti” o un primo posto nel “Cortile dei Gentili”.

Ne fa fede l’acredine persecutoria con cui il Magistero, ovvero i Papi postconciliari, si accaniscono più sul cristiano che desidera una messa in latino o esige la Santa Comunione sulla lingua, che su patentati eversori quali il defunto cardinale Martini, o il dannato prete brasiliano che concelebra con i massoni, o il pornoprete genovese don Gallo.

Seguiamo il programma indicato in locandina.
Svolta l’accoglienza – termine untuoso e carezzevole che sostituisce l’antico “ingresso” - recitate le Lodi mattutine che quel giorno, ironìa della sorte, si annunciano con il brano tratto dalla Sapienza 1, 6 – 9/11 “ dammi la sapienza che siede accanto a Te in trono” - davvero necessaria - si procede con una “introduzione alla Giornata” ( maiuscolo!) che, naturalmente, esplicherà i termini , le dinamiche e l’ordine del programma.

Ed, infatti, si incomincia con una “Testimonianza di Parola pregata e vissuta”(!) che, in detto contesto, non si sa cosa voglia dire e significare visto che la testimonianza del cattolico è quella di predicare Cristo e il Suo Santo vangelo e non mescolarsi, per mero desiderio di “confrontarsi”, nella babele di un coacervo incoerente di conglomerate coscienze e confessioni.

Dopo di che, trascorso un momento di distensione con un “coffee break” – e ti pareva che mancasse un pizzico di internazionalismo anglomane!! - è prevista la Celebrazione Eucaristica “presieduta” – non officiata, per carità - dall’ordinario diocesano.

Consumato un pranzo e dato agio ai partecipanti per un “tempo libero di conoscenza” ovviamente culturale e anagrafica, si apre il dialogo e si dà il via al primo incontro ecumenistico definito, con inconscio senso dell’umorismo “Lectio divina ecumenica”.
Con maligna ironia vien da pensare alla caratura culturale di chi ha disposto il programma visto che, alla dicitura latina del titolo conveniva l’aggettivo “oecumenica”.

Ma questo è un ulteriore frutto della riforma liturgica che ha voluto, in pieno accordo con la massoneria – vero mons. Bugnini ? - eliminare la lingua latina dalla Messa e dai seminarii.
M’è doveroso, perché indiziario e a tal proposito assai probante, rammentarte ai lettori di UNAVOX che, tempo fa, stando a mensa col vescovo della mia diocesi ed essendomi prodotto in una citazione di San Tommaso Aquinate, il doctor angelicus, monsignore, amabilmente, osservò che non valeva la fatica di colloquiare in latino perché il suo aiutante non lo capiva.
Il latino no, ma l’inglese, vuoi mettere?
Ma non ci meravigliamo visto che anche il cardinale Bergoglio, a suo tempo, vietò nella sua diocesi, l’applicazione del “Summorum Pontificum” probabilmente per l’ignoranza che, di questa santa ed augusta lingua, i suoi preti erano affetti.

Abbiam detto dell’umorismo sotteso a questo titolo perché la relazione verrà tenuta da un pastore valdese, tale prof. Paolo Ricca già noto per altre incursioni in campo cattolico.
Una lezione biblica a fedeli cattolici, tenuta da un valdese, uno scismatico! Un nemico della Chiesa cattolica che fa del Libro libera interpretazione nel puntello di personali convinzioni storiche ; un nemico della Chiesa la cui cultura teologica – si fa per dire – consiste e si esplica nell’attacco alla Chiesa in nome di un pauperismo originario – oggi tornato in auge nel populismo qualunquistico di Francesco I – e più in generale di un’etica che stigmatizza le “ricchezze della Chiesa”, che ha abolito il Purgatorio, che ha in orrore il culto della Santa Croce, che disprezza la devozione ai santi e alle loro reliquie nello spirito di un’iconoclastìa ancor vigente, che si accredita e si attribuisce la dignità di un “sacerdozio universale”, che si fa interprete della sacra Scrittura secondo moduli personalistici.

Che cosa potrà insegnare costui ?
Che cosa, il cattolico, potrà ottenerne, in termini di arricchimento spirituale?
Non vi pare che, simile docente, potrà e vorrà annunciare la teologìa del dubbio nelle coscienze dei tanti cattolici che beotamente pensosi lo staranno ad ascoltare, prendendo addirittura appunti preziosi?

Ecco, allora, che nel successivo gradino del programma, si annuncia un momento di “risonanza comunitaria di gruppo” – becera tautologia dacché comunitaria ammette già il gruppo – espressione di pomposa foneticità ma di nullo contenuto.
E’ il vocabolario che il ’68 ha costruito in nome di un sentimento comunista e che la Chiesa ha fatto suo dimenticando la dimensione individuale della preghiera e della meditazione.

Adesso ogni atto vien programmato nell’Insieme, la stessa Adorazione al Santissimo Sacramento deve scorrere in un susseguirsi di “comunitarie” espressioni e testimonianze con l’ossessivo cadenzar di chitarre.
Sicché questa “risonanza” comunitaria darà modo e occasione a scambi di opinione con cui , non è difficile immaginarlo, taluno dei presenti così detti cattolici, debole nella fede ed ignorante di cose sacre, farà suo il verbo valdese trovandovi chissà quali ricchezza spirituale!
E sarà dubbio! il dubbio illuminato e cartesiano che, quale verme interiore, scava la coscienza del cristiano col dargli l’illusione di esercitare un legittimo officio.

Ma è bene che si sappia che il vero cattolico non dubita della parola di Lui, semmai trova difficoltà a capire. Forse una “risonanza” di tipo clinico, però, sarebbe opportuna indagine per scoprire che cosa si annida nel cervello di taluni prelati, sacerdoti e fedeli.

A coronamento del tutto, col tocco d’una sapiente regìa che porterà l’ultimo ed incisivo affondo demolitorio, sarà la pomposa “Celebrazione dell’unità dei cristiani” gestita da un pope ortodosso, padre Lucien Burzu di Ladispoli.
Ma unità di che cosa?
Quando mai un insieme di entità incoerenti ed avverse si costituisce unità?
Al massimo si potrebbe parlare di unione, cosa che Gesù non ha mai comandato avendo, Egli, parlato soltanto di unità: ut unum sint.

Come e perché uno scismatico, erede di quel Michele Cerulario protervo apostata, potrà parlare di unità dei cristiani se si ostina a negare la Processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio – ex Patre Filioque - , se misconosce il Primato petrino del Papa, se vieta la devozione mediata dalle statue dei santi, è cosa difficile a capire.

Stiamo, cioè, assistendo ad una missione a rovescio con l’autorità cattolica – la diocesi – che fornisce all’avversario spazio, tempo e persone per fare ciò che dovrebbe, invece, operare Mons. Fisichella, preposto alla “Nuova evangelizzazione”.

E’ questo il cloroformio conciliare – Gaudium et Spes, Dignitatis humanae, Nostra Aetate - con cui, addormentato il senso dell’Unicità della Chiesa, oggi si tende verso la falsa mèta dell’unità nella molteplicità, quel narcotico che impedirà ai presenti, o a qualcuno di essi, di alzarsi e denunciare l’ennesimo tradimento dei chierici così come l’annunciò profeticamente la Vergine Maria a La Salette.

Giornata della Parola durante la quale l’incenso dell’ortodossìa si mescolerà al liquame dell’eresia, durante la quale saranno obliterati i fondamenti teologici della nostra fede a vantaggio di un “volemose bene”, patente di viltà e di ipocrisìa, nel solco d’una convivenza di fede adulterata e velenosa.

Oscurare l’insegnamento della Chiesa con la pia e sciocca intenzione di “confrontarlo” con quello dei “fratelli separati” protestanti è operazione delittuosa che sembra non essere motivo di timore per gli organizzatori.

Eppure San Pietro aveva ammonito a non considerare “nessuna profezia della scrittura frutto d’interpretazione privata”( Pt. II, 1, 21); eppure i Santi Padri non si stancarono di ripetere le parole di Cristo “ Chi ascolta voi ascolta me” (S. Cipriano ep. 66, 4); eppure il Concilio di Trento, mai abrogato, aveva sancito solennemente, sotto l’assistenza dello Spirito Santo, il divieto di interpretare a titolo personale la Santa Scrittura.( Conc. Tr. Sess. IV 8/4/1546 – decreto 2,30).

La sera del 25 maggio, i fedeli, di ritorno dal convegno, porteranno seco, nella mente e nel cuore, qualche seme della mala pianta dell’eresìa, sparso dal nemico nel campo del Signore con la complicità di chi, quel campo, doveva custodire.
Quel seme diventerà dubbio e, per evoluzione, relativismo etico, sincretismo e, infine, apostasìa.

Dominus misereatur nostri et preservet Ecclesiam Suam a peccatis pastorum ejus.

lunedì 20 maggio 2013

A proposito dell'articolo di Marco Bongi

Pubblico e sottoscrivo da UNAVOX.

A proposito dell'articolo di Marco Bongi

Una conferenza di mons. Richard Williamson


di Belvecchio



Letto e pubblicato l'articolo di Marco Bongi richiamato nel titolo, ci è sembrato opportuno e doveroso scrivere alcune precisazioni. Sia perché siamo certi saranno prese in consideraziome da Marco Bongi stesso, sia e soprattutto perché l'oggettiva realtà reclama di essere richiamata, così che si possa guardare oltre le nebbie del soggettivismo.


Esiste un problema in seno all’ambito tradizionale in generale, di natura prevalentemente psicologica: è il problema meramente umano, quindi in certo modo comprensibile, ma non per questo giustificabile, di trovare sempre un nemico da indicare come causa principale dei mali che affliggono la moderna tenuta religiosa cattolica.
Restringendo la visuale all’ambito tradizionale che ruota intorno alla Fraternità San Pio X, sembra che qui il nemico di turno sia uno dei quattro vescovi, Mons. Richard Williamson, individuato come la causa principale della crisi esplosa nel 2012 in seno alla Fraternità.

Non v’è dubbio che a questa crisi abbiano concorso diversi fattori, alcuni legati anche alla valenza personale di questo o di quel responsabile della Fraternità, ma, piuttosto che soffermarsi a riflettere su tutti i fattori, e per primo su quelli generali, che sono i più importanti, certi fedeli preferiscono individuare delle responsabilità specifiche e personali, che permettano loro di evitare il gravoso impegno della riflessione e della valutazione complessiva del problema.

Il canovaccio è sempre lo stesso: si sostiene che il “colpevole” sia uso avanzare delle “insinuazioni” senza il sostegno di argomentazioni circostanziate. Certo una leggerezza, che scantonerebbe inevitabilmente nella colpa!
Ma come si argomenta per affermarlo? Ci si richiama non al ragionamento complessivo dell’incriminato, ma a questa o a quella affermazione, colta proprio sull’onda dell’emotività auto appagante.

Per esempio, si citano certi passi dei “Commenti Eleison” di Mons. Williamson per evitare di citare, ancora per esempio, la nota lettera dei tre vescovi al Superiore generale, del 7 aprile 2012, lettera che è un compendio serio della problematica sorta.
Ovviamente la citazione della lettera ridimensionerebbe di parecchio la supposta esclusiva responsabilità di Mons. Williamson, che è solo uno dei firmatari, ma questo non sarebbe funzionale allo scopo di individuare “un” colpevole. Tra l’altro, citando quella lettera, si sarebbe obbligati a citare poi la risposta del Superiore generale, ampliando così il ventaglio delle responsabilità, cosa che anch’essa non sarebbe funzionale allo scopo suddetto.

Lungo questa linea di condotta, più epidermica che meditata, è inevitabile che si incappi in imprecisioni e fraintendimenti.
Per esempio: la citazione della parafrasi ai Galati (CE 257 - I Galati di oggi), serve per parlare, soggettivamente, di “velenose insinuazioni”, dimenticando che la lettera settimanale in oggetto è la n° 257 e che quindi presuppone le precedenti, al pari della lettera dei vescovi citata prima, tale che si finirebbe col constatare che non si insinua, ma si afferma… cose queste che sicuramente sono molto diverse.

Lo stesso dicasi per la citazione del CE 282 – Una spiegazione?, da cui si evincerebbe una sorta di pentimento o di incongruenza di Mons. Williamson.
In realtà, molto semplicemente, in quel Commento si dice invece:
In conclusione, se la crisi della FSSPX di questa primavera ed estate mi ha fatto dubitare della competenza e dell’onestà del SG [Superiore generale] e del suo QG [Quartiere generale], temo che dopo questa spiegazione delle cinque citazioni, posso solo rimanere perplesso. Che Dio sia con loro, perché hanno una responsabilità spaventosa.

Che in italiano significa che la spiegazione non spiega nulla e i dubbi sulla competenza e sull’onestà rimangono.
Nessun ripensamento, quindi.

Un argomento a sostegno della colpevolezza di Mons. Williamson, sarebbe il fatto che accuserebbe di “liberali” i sacerdoti della Fraternità che hanno promosso i noti incontri del GREC e vi hanno partecipato, senza “qualche straccio di prova” e solo sulla base delle “pagine di un libro scritto da un ex-ambasciatore” [nota nostra. si veda anche].

Il solito diavolo che dimentica di mettere i coperchi alle pentole.
Infatti, il libro è un resoconto di quei famosi colloqui ideati dal defunto ambasciatore e scritto non da lui, ma da uno dei promotori e dei partecipanti, cioè da chi è stato parte in causa insieme ai sacerdoti indicati prima.
Oltre al resoconto, quale altra prova si richiederebbe, forse un certificato di frequenza rilasciato da qualche circolo liberale, diverso da questo?

Ma perché Mons. Williamson avanzerebbe accuse gratuite?
Perché, pur senza prove, soggiacerebbe al suo “ancestrale pessimismo”; una sorta di fissazione maniacale che gli farebbe vedere nemici dove invece ci sarebbero solo amici.
Abbiamo l’impressione di trovarci di fronte al solito problema del bue che dice cornuto all’asino.

Sembrerebbe, infatti, che lo scopo dei colloqui del GREC sarebbe stato quello di convertire i liberali alla Tradizione, cosa che invece Mons. Williamson non avrebbe capito, nonostante le prove contrarie.
Quali prove? Per esempio che nessuno dei partecipanti al GREC abbia deciso di avvicinarsi alla Fraternità, restando fermo nel suo convincimento che avrebbe dovuto essere la Fraternità ad avvicinarsi a loro e a Roma. Cosa peraltro regolarmente accaduta a certi sacerdoti della Fraternità, come si evince chiaramente dalla lettera del Superiore generale ai tre vescovi, dove è detto, testualmente:
Quanto avrebbe amato poter contare su di voi, sui vostri consigli per sostenere questo passo così delicato della nostra storia.”
Il “passo così delicato” da sostenere era l’ormai deciso accordo con Roma, senza alcun avvicinamento di Roma alla Tradizione, come dimostrato dall’epilogo della vicenda: lo stesso Superiore generale che conferma che oggi le cose stanno come nel 1975, cioè nessuno a Roma si è avvicinato alla Tradizione, nessun liberale si è convertito alla Tradizione, e questo nonostante i colloqui del GREC e i colloqui con la Congregazione per la Dottrina della Fede; a riprova che i colloqui di tal fatta servono solo ai liberali per cercare di portate la Fraternità sulle loro posizioni, guarda caso, esattamente come sostiene Mons. Williamson col suo “ancestrale pessimismo”, rivelatosi, di fatto, uno spiccato senso della realtà oggettiva.

Ma si sostiene anche che tutti gli incontri effettuati “discretamente, riservatamente e quasi in segreto”, tra “sacerdoti, vescovi, religiosi e fedeli” e i membri della Fraternità, dimostrerebbero che l’approccio è produttivo e vantaggioso per la Fraternità e la Tradizione, perché i fatti sarebbero lì a dimostrare che il risultato è l’avvicinamento di questi “altri” alla Fraternità. E si fanno degli esempii, come quello di Don Massimo Sbicego, della diocesi di Vicenza.
Quindi “ben vengano gli incontri discreti, riservati e "quasi segreti" se lo scopo è quello di far comprendere, con amore e Carità, le autentiche necessità della Chiesa di oggi!

Tutto vero, tranne alcuni particolari che capovolgono il ragionamento e impongono la constatazione che le iniziative pericolose e inopportune come quelle del GREC devono essere condannate.
Innanzi tutto i colloqui del GREC miravano alla conciliazione tra le posizioni della Fraternità e quelle della nuova Chiesa sorta col Vaticano II, e non certo all’illuminazione dei chierici di quest’ultima, che peraltro comprendevano anche quelli che erano già passati dalla Tradizione all’accordo con la Roma conciliare.
Secondariamente, questi colloqui non si svolgevano nei priorati della Fraternità, né a Menzingen o a Ecône, luoghi volutamente evitati da tanti chierici partecipanti al GREC, anche perché li avevano frequentati in passato ed erano giunti alla conclusione che bisognava abbandonarli.
In terzo luogo, per usare l’esempio di Don Sbicego, fu quest’ultimo che si trasferì dalla diocesi di Vicenza al Priorato di Rimini, e non i sacerdoti di Rimini che si accordarono con la diocesi di Vicenza, come si studiava di fare col GREC.

D’altronde, sarebbe davvero grottesco pensare che qualcuno sia davvero così ottuso da ritenere che l’apostolato non sia uno degli scopi della Fraternità fin dal suo nascere. Ma è certo grottesco convincersi che gli incontri del GREC siano stati opera di apostolato tradizionale, nonostante la dichiarata intenzione di trovare un punto di compromesso tra la Tradizione e la nuova Chiesa conciliare.
Evidentemente un certo ottimismo ama convincersi che la ricerca del compromesso dottrinale sia il modo migliore per fare apostolato, a riprova che più che la realtà oggettiva, certuni tengono sempre presente la realtà soggettiva, virtuale, che alimenta l’auto-appagamento.

Ne è prova l’affermazione che “la motivazione che portò i Papi del XIX secolo a scrivere così tante encicliche contro il liberalismo” sarebbe stata “la speranza di convertire e convincere attraverso l'argomentazione filosofica, teologica e magisteriale”.

Ora, chi avesse mai letto quelle encicliche si sarebbe reso conto che “oggettivamente” esse parlano a gran voce di denuncia e di rifiuto, e non inducono affatto una visione “soggettiva” che scambi questa denuncia per una profferta dialogica.
Sarebbe come se l’ammonimento scritturale: “Convertitevi e credete al Vangelo”, fosse considerata un’argomentazione filosofica o teologica o magisteriale volta a “convincere”.

Certo che poi si fa fatica a comprendere la tenuta di Mons. Williamson. Visto che egli si pronuncia semplicemente imitando la Scrittura, ecco che viene giudicato come privo di capacità e di volontà dialogica.
E la fatica è tale che si cade nella gaffe di paragonare sottilmente l’opera di Pio IX, ritenuto liberale dai liberali del tempo e da questi stessi successivamente disprezzato, con l’operato dei papi del post-Concilio, come se ce ne fosse stato anche solo uno ad aver scritto un’enciclica anche lontanamente paragonabile con quelle di allora!
In questo caso sì che Mons. Williamson sbaglierebbe a considerare liberali irriducibili i papi della Chiesa conciliare.

E questa sorta di ottimismo ad ogni costo, è inevitabile che porti a giudicare Mons. Williamson come un catastrofista o un millenarista, pericoloso; soprattutto ove si pensi che all’uomo della strada non piace che gli si ricordi che il castigo di Dio è sempre incombente, egli preferisce pensare che all’ultimo riuscirà a cavarsela per il rotto della cuffia.

Nel caso in specie, molti sono portati a considerare che in fondo poi le cose si aggiustano, visto che “normalmente, la via di Dio è quella ordinaria delegata all'azione umana degli uomini di Chiesa, e in special modo del Sommo Pontefice”, così da dimostrare di essere convinti che negli ultimi tre secoli – per limitarci alle piaghe fresche - la storia del mondo, e quindi della Chiesa, sia stata un alternarsi di cadute e di “ripresa della Verità”, grazie agli uomini di Chiesa.

Qui si va oltre l’ottimismo e si mette a nudo l’inconscia soggiacenza alle suggestioni del demonio, che suggeriscono una visione del mondo che sottovaluta il moto accelerato di caduta che regge il destino del secolo.
È un vecchio trucco sulfureo: bada uomo, non credere alla favola del pianto e dello stridore di denti annannita dal Vangelo, fida piuttosto nell’azione umana degli uomini di Chiesa!

È così che ci ritroviamo oggi, nel mondo, con l’esaltazione del vizio e, nella Chiesa, con l’esaltazione delle false religioni, anche a voler far finta che pur col modernismo e con i diritti dell’uomo, il Vaticano II e i papi abbiano svolto un prezioso lavoro di “ripresa della Verità”.

Ora, che il demonio sussurri è cosa risaputa, e che Dio permette, ma che dei cattolici tradizionali pensino che si tratti di uno zefiro rigenerante è cosa triste, che fa capire fino a che punto sia scaduta la tenuta della fede e la lucidità della ragione.

E l’annebbiamento è tale da far dire: “In ciò davvero può ravvisarsi, come affermato da mons Fellay nella lettera riservata ai tre Vescovi della FSSPX, una carenza di soprannaturalità nella concezione ecclesiologica e una scarsa fiducia nella forza intrinseca della Verità quando si confronta apertamente con l'errore.”

Questa frase è singolarmente rivelatrice dello scambio della realtà oggettiva con la realtà immaginaria e merita che ci si soffermi un po’.

Nella famosa lettera ai tre vescovi, il Superiore generale dice:
«Innanzi tutto la lettera indica esattamente la gravità della crisi che scuote la Chiesa e analizza con precisione la natura degli errori complessivi che abbondano. Tuttavia, la descrizione è macchiata da due difetti relativi alla realtà della Chiesa; manca del soprannaturale e nel contempo di realismo.
Essa manca del soprannaturale. Nel leggervi, ci si chiede seriamente se voi credete ancora che questa Chiesa visibile la cui sede è a Roma sia proprio la Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo, una Chiesa certo orribilmente sfigurata a planta pedis usque ad verticem capitis, ma una Chiesa che quanto meno e ancora ha per capo Nostro Signore Gesù Cristo. Si ha l’impressione che voi siate talmente scandalizzati da non accettare più che questo possa essere ancora vero. Per voi Benedetto XVI è ancora il papa legittimo? Se lo è, Gesù Cristo può ancora parlare con la sua bocca? Se il papa esprime una volontà legittima nei nostri confronti, che è buona, che non comporta un ordine contrario ai comandamenti di Dio, si ha il diritto di trascurare, di respingere con un gesto della mano questa volontà? E se no, su quale principio vi basate per agire così? Non credete che se Nostro Signore ci comanda, Egli ci darà anche i mezzi per continuare la nostra opera? Ora, il papa ci ha fatto sapere che la preoccupazione di regolare la nostra questione per il bene della Chiesa era al cuore stesso del suo pontificato, e anche che sapeva bene che sarebbe stato più facile per lui e per noi lasciare la situazione nello stato delle cose. Dunque è una volontà ferma e giusta che egli esprime.
[…] Ampiezza: da una parte si addossano alle attuali autorità romane tutti gli errori e tutti i mali che si trovano nella Chiesa, tralasciando il fatto che esse cercano almeno in parte di liberarsi dai più gravi di essi (la condanna dell’«ermeneutica della rottura» denuncia degli errori ben reali). Dall’altra si pretende che TUTTI siano ancorati a questa pertinacia («tutti modernisti», «tutti marci»). Ora, questo è chiaramente falso. Una gran maggioranza è sempre implicata nel movimento, ma non tutti. Al punto che sulla questione cruciale tra tutte, quella della possibilità di sopravvivere nelle condizioni di un riconoscimento della Fraternità da parte di Roma, noi non arriviamo alla vostra stessa conclusione.” [neretto nostro]

La citazione è lunga, e ce ne scusiamo, ma è importante cercare di capire come possa scambiarsi la soprannaturalità con l’ottimismo e il realismo col desiderio personale.
Questa lettera fu scritta il 14 aprile 2012, e lo stesso Superiore generale, l’11 novembre successivo, dichiarava pubblicamente, in un’omelia:
Ecco, miei cari fratelli, la situazione. Ed ecco perché è evidente che dal mese di giugno – l’abbiamo annunciato alle ordinazioni – le cose sono bloccate. È un ritorno al punto di partenza. Noi ci troviamo esattamente allo stesso punto di Mons. Lefebvre negli anni 1975, 1974. E dunque la nostra battaglia continua. Noi non abbandoniamo l’idea di riguadagnare un giorno la Chiesa, di riconquistare la Chiesa alla Tradizione. La Tradizione è il suo tesoro, il tesoro della Chiesa. Ebbene, noi continuiamo, in attesa del giorno felice… che verrà. Quando? Non ne sappiamo niente. Lo vedremo. Esso sta nel segreto del Buon Dio. Verrà questo giorno in cui la zizzania sarà estirpata, questo male che fa soffrire la Chiesa. Quella che noi viviamo è probabilmente la crisi più spaventosa che la Chiesa abbia mai sofferto. Dove si vedono i vescovi, i cardinali, che non conducono più le anime al Cielo, ma che benedicono le vie dell’Inferno. Che non avvertono più le anime dei pericoli che esse corrono qui sulla terra. Che non le richiamano più allo scopo della loro esistenza… lo scopo, che è il Buon Dio., che è l’andare in Cielo. E che non vi sono trentasei cammini per andarci, ma solo il cammino della penitenza, il cammino della rinuncia. Non tutto è permesso. Vi sono i Comandamenti del Buon Dio. E se non li si vuole rispettare, ci si prepara per l’Inferno.” [neretto nostro]

Ancora una lunga citazione, che però permette di constatare che in questa omelia si ripete, dandolo per realtà ultimamente accertata, quello che avevano descritto i tre vescovi e che ad aprile era stato contestato, confessando così implicitamente che non erano i vescovi a sbagliare e a mancare di soprannaturale e di realismo, ma era proprio il Superiore generale ad essere erroneamente convinto che tutto andasse verso il bene e che si potesse corrispondere alla “volontà ferma e giusta” espressa dal Papa: ratificando un accordo.

Non è quindi Mons. Williamson, con gli altri vescovi, a disperare del “ritorno della Roma conciliare alla Roma eterna”, ma è l’ottimismo soggettivo del Superiore generale, e di altri chierici e fedeli della Fraternità, ad impedire che essi possano cogliere la realtà oggettiva in cui si trova la compagine ecclesiale cattolica moderna.

Non c’era bisogno di alcun ricorso al soprannaturale per capire, ad aprile, che il Papa voleva condurre la Tradizione al modernismo e non esprimeva “una volontà ferma e giusta”, ma una volontà inevitabilmente liberale: fare accettare ai fedeli tradizionali la realtà antitradizionale del Concilio.
Fu invece per l’intervento provvidenziale della Madonna, come dice Mons. Tissier de Mallerais, che a luglio il Papa confermò a Mons. Fellay che la Fraternità doveva accettare il Concilio, la nuova Messa e il Magistero postconciliare, ridimensionando mesi di interventi di Mons. Fellay con i quali egli assicurava che il Papa voleva la Fraternità nella Chiesa, senza gravose condizioni, secondo “una volontà ferma e giusta”, per aiutare la Chiesa a tornare alla Tradizione.

Se si fosse dato ascolto a Mons. Williamson e agli altri vescovi, si sarebbe evitata la crisi nella Fraternità e la cacciata di tanti sacerdoti, compreso Mons. Williamson; si sarebbe evitato di sconfessare, sette mesi dopo, le improvvide rosee aspettative di aprile; si sarebbe evitato di doversi giustificare affermando di essere stato ingannato; si sarebbe evitato di diffondere la confusione tra i fedeli e si sarebbe evitato di alimentare la caccia al reprobo per camuffare l’annebbiamento della ragione che aveva invaso la mente di certi responsabili della Fraternità.

Così che, a posteriori, vista la fine che ha fatto l’ottimismo del Superiore generale, si comprende che Mons. Williamson non soffre di “ancestrale pessimismo”, ma di sano realismo e di illuminata lungimiranza.

Quella lungimiranza che lo porta a ricordare a tutti scomode prospettive, come quella della stabilizzazione del “piccolo resto”, concetto non inventato da lui, ma determinato dall’oggettiva condizione in cui si trova sempre più la compagine cattolica nel seno di questo mondo che si muove con moto accelerato verso la resa dei conti definitiva. Cosa che non attiene al millenarismo, ma al ritorno ineluttabile del Figlio dell’Uomo, quando saranno contati i capri e le pecore e sarà dato ad ognuno secondo i meriti e i demeriti di ciascuno, al di là delle buone intenzioni, degli ottimismi e delle speranze umane e terrene.

Ed è compito di questo “piccolo resto” condurre l’apostolato fino alla fine, con la testimonianza e con il richiamo all’essenziale, che è l’unico modo per aiutare il prossimo a “convertirsi e a credere al Vangelo”.
Non è con la sola predicazione della Verità che si aiuta il prossimo, ma, in questo mondo sempre più dimentico di Dio, è anche con la necessaria condanna e col sacrosanto rifiuto dell’errore, ovunque esso si annidi, massimamente nel seno stesso della Chiesa e ai suoi vertici.

È questa la vera predicazione e la vera messa a frutto dei talenti assegnatici dal Signore: ricordare al prossimo che perseverando nell’errore si affretta il castigo di Dio. Tutto il resto è accademia e dialettica moderna, dove continua ad allignare la mala erba della “medicina della misericordia” che rifugge dalla condanna dell’errore; la mala erba della Verità che si affermerebbe da sola “quando si confronta apertamente con l’errore”, come se la Verità potesse minimamente confrontarsi con la sua negazione, con l’errore appunto, senza che a questo si finisca col riconoscere una positiva realtà che non ha.

L’errore è una negazione, e qualunque studente medio sa che l’accostamento tra un numero di segno negativo ed uno di segno positivo, dà come risultato un numero negativo, come accade esattamente nel caso del “confronto” o “dialogo” che dir si voglia, mentre l’unica volta che scaturisce un numero di segno positivo è quanto non c’è più confronto, ma somma algebrica: +100, che è la verità, accostato a -10, che è l’errore, dà come risultato + 90, confermando due leggi innegabili dell’esistenza.

La prima: che la Verità non si “confronta” con l’errore, ma lo distrugge, lo annienta a priori.

La seconda: che nel corso dell’esistenza, la lotta all’errore indebolisce umanamente la verità, riducendone sempre più l’apparenza quantitativa, quasi a dimostrazione che la diminuzione della quantità – il piccolo resto - è il correlativo del mantenimento della qualità – sempre del piccolo resto –; così che di fronte al perire quantitativo del secolo, si mantenga la necessaria qualità, seppure umanamente ridotta al minimo, come sta scritto: anche per un solo giusto sarà ritardato il castigo.

venerdì 10 maggio 2013

"DIALOGO" TRA FRANCESCO E GLI APSOTOLI

Per qualche misterioso motivo questo post è scomparso lo ripropongo.


PAPA FRANCESCO:

“Un cristiano deve annunziare Gesù Cristo in una maniera che Gesù Cristo venga accettato, ricevuto, non rifiutato. E Paolo sa che lui deve seminare questo messaggio evangelico. Lui sa che l’annunzio di Gesù Cristo non è facile, ma che non dipende da lui: lui deve fare tutto il possibile, ma l’annunzio di Gesù Cristo, l’annunzio della verità, dipende dalla Spirito Santo. Gesù ci dice nel Vangelo di oggi: ‘Quando verrà Lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità’. Paolo non dice agli ateniesi: ‘Questa è la enciclopedia della verità. Studiate questo e avrete la verità, la verità!’. No! La verità non entra in una enciclopedia. La verità è un incontro; è un incontro con la Somma verità: Gesù, la grande verità. Nessuno è padrone della verità. La verità si riceve nell’incontro”.

 

SAN GIOVANNI:

Ma Gesù disse:” Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità.”

Dunque la Verità non è nell’incontro ma nella Parola, nel Vangelo.

E poi Caro fratello disse: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”.

Quindi la Verità si trasmette con le parole e non nell’incontro.

Io stesso dissi: Noi dobbiamo perciò accogliere tali persone per cooperare alla diffusione della verità ( 3Giovanni 8)

Non si diffonde un’incontro ma un qualche cosa ed il mezzo più efficace è la parola scritta ed orale.

Pensi io abbia parlato male?

PIETRO

No Giovanni, anzi, penso di rammentarvi sempre queste cose, benché le sappiate e stiate saldi nella verità che possedete. 2Pietro 1:12  

Sono le Verità cattoliche caro Francesco tutti noi cattolici le possediamo.

Sono le Verità proposte a credere e da conservare in eterno dalla Chiesa di cui tu oggi hai preso il mio posto!

 

PAPA FRANCESCO:

 “Il cristiano che vuol portare il Vangelo deve andare per questa strada: sentire tutti! Ma adesso è un buon tempo nella vita della Chiesa: questi ultimi 50 anni, 60 anni sono un bel tempo, perché io ricordo quando bambino si sentiva nelle famiglie cattoliche, nella mia: ‘No, a casa loro non possiamo andare, perché non sono sposati per la Chiesa, eh!’. Era come una esclusione. No, non potevi andare! O perché sono socialisti o atei, non possiamo andare. Adesso - grazie a Dio – no, non si dice quello, no? Non si dice quello no? Non si dice! C’era come una difesa della fede, ma con i muri: il Signore ha fatto dei ponti. Primo: Paolo ha questo atteggiamento, perché è stato l’atteggiamento di Gesù. Secondo: Paolo è consapevole che lui deve evangelizzare, non fare proseliti”.


PIETRO:

A cosa servirebbero i ponti senza le mura.

Senza di esse tutti potrebbero entrare, infatti crollate le mura di Gerico tutti entrarono e non certo dai ponti o dalle porte.

Io ero presente lì sul monte con Giacomo e Giovanni e udimmo la voce del Signore che ci disse «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo». (Matteo 17:5)

Ci disse di ascoltare la sua di voce non quella degli altri, se lui è la Verità ed un giorno disse: “io sono la Via la Verità e la Vita” (Giovanni 14,6) cosa potrei ascoltare di maggiore di quella del Signore Gesù”?

Quali altre religioni o meglio idolatrie ce l’hanno.

Diglielo tu Giovanni!

 

GIOVANNI:

Si lo ricordo come fosse adesso, ma io stesso, caro fratello, ho insegnato che se qualcuno viene a voi e non porta questo insegnamento, non ricevetelo in casa e non salutatelo;  (2Giovanni 10)

Credi abbia fatto male?

Pensi sia stato cattivo?

 

MATTEO

Scusa fratello ma io udii proprio queste parole da Gesù che è la Verità:”Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo (Matteo 28:19).

Credi che anche io abbia sbagliato a farlo?

TUTTI INSIEME PARLOTTANDO:

Già già è vero, possiamo testimoniare che Molti però di quelli che avevano ascoltato il discorso credettero e il numero degli uomini raggiunse circa i cinquemila. Atti 4:4

Eppure non incontrarono Gesù se non per il fatto che noi gli insegnammo la Verità.

Quindi il Signore ci disse di convertire e portare tante anime a lui.

“Convertitevi e credete al Vangelo”.

Disse proprio così non è vero?

TUTTI:

Proprio così disse!

Io c’ero,

Pur’io

E anch’io

MATTEO

Facemmo molti proseliti, Francesco, dici che sbagliammo!

UNO DI LORO:

Si Si mi ricordo anche alcuni Giudei di sentimenti più nobili di quelli di Tessalonica  accolsero la parola con grande entusiasmo, esaminando ogni giorno le Scritture per vedere se le cose stavano davvero così.

Molti di loro credettero e anche alcune donne greche della nobiltà e non pochi uomini. Atti 17:12

Quindi consultarono i testi sacri come la Bibbia per sapere la Verità.

Così è ancora oggi e si consulta il Vangelo, la Tradizione quella che noi Chiamiamo Rivelazione, poi c’è il magistero infallibile della Chiesa di cui tu oggi sei il capo visibile come lo fu al nostro tempo Pietro: Ti ricordi Simone?

PIETRO

Pietro amico mio, Pietro, Simone non c’è più.

Eccome se ricordo e fu lo Spirito Santo promessomi da Gesù quel giorno che mi diede la sapienza di non sbagliare mai in materia di Fede e di costumi per confermare tutti voi nella Verità miei cari fratelli anche perché, in quanto uomo, anche dopo la consegna delle Chiavi caddi in alcuni piccoli errori; nei sai qualche cosa tu Paolo:

PAOLO:

Piccoli errori fratello mio, piccoli errori; ma pur sempre errori e come tali, salva la tua santità, dovevano essere estirpati.

 

PAPA FRANCESCO:

Paolo ci insegna questo cammino di evangelizzare, perché lo ha fatto Gesù, perché è ben consapevole che l’evangelizzazione non è fare proselitismo: è perché è sicuro di Gesù Cristo e non ha bisogno di giustificarsi e di cercare ragioni per giustificarsi. Quando la Chiesa perde questo coraggio apostolico diventa una Chiesa ferma, una Chiesa ordinata, bella, tutto bello, ma senza fecondità, perché ha perso il coraggio di andare alle periferie, qui dove sono tante persone vittime dell’idolatria, della mondanità, del pensiero debole… tante cose. Chiediamo oggi a San Paolo che ci dia questo coraggio apostolico, questo fervore spirituale, di essere sicuri. ‘Ma, Padre, noi possiamo sbagliarci’…. 'Avanti, se ti sbagli, ti alzi e avanti: quello è il cammino'. Quelli che non camminano per non sbagliarsi, fanno uno sbaglio più grave. Così sia”.

 

PAOLO:

Qual modo oscuro di parlare non fu infatti per me un vanto predicare il vangelo; ma un dovere per me, tanto che dissi: guai a me se non predicassi il vangelo! 1Corinzi 9:16

Hai ascoltato quante anime abbiam portato nella Sposa di Cristo la nostra Chiesa Cattolica?

PIETRO:

Oh Fratello…

 

PIO X:

Scusate l’intrusione beatissimi e dottissimi Apostoli, maestri dai quali ho dissetato il bisogno delle Verità Divine, Voi che incomparabilmente illuminati dallo Spirito del Cristo portaste a lui così tante anime, permettetemi di aggiunger, se posso, alcune parole che io, grazie a Dio, riuscii ad interpretar di tali pastori d’oggi.

PIETRO

Oh buon fratello vero  Servo dei Servi di Dio, collega santo ed  amato, come potremmo voler che voi taceste sapendo ciò che faceste per sottrarre l’anime al nemico giurato del genere umano e portarle al loro Divin Cretaore?

Eppoi voi più che degnamente ricopriste la mia cattedra.

PIOX:

Oh principe degli Apostoli la vostra carità è incommensurabile se vi porta a parlare in questo modo di un umile servitore di Cristo qual mi reputo.

Poste da parte le intenzioni di cui Dio solo è giudice, io passai ad esaminare le loro dottrine e la loro maniera di parlare e di operare e le condannai.

L’enciclica Pascendi, mio caro Francesco, dovresti attentamente studiare perché lì dentro tutti gli errori che or ora hai espresso in queste poche righe puoi di certo ritrovare e se davvero vuoi evangelizzare  e le anime a Dio vuoi portare, presto, celermente inizia a condannare!

Permettetemi Pietro non voglio certo in nessun modo superarvi, un ultima cosa Francesco voglio ricordarvi: tutti noi ora vediam quel Viso, siamo infatti beati in Paradiso, se tu stesso lo desideri fare il nostro esempio agli altri potrai portare e non più alle favole ti dovrai voltare.

venerdì 3 maggio 2013

"Il male del Concilio è l’ignoranza di Gesù Cristo e del Suo Regno."

Una nuova era?
di Don Christian Bouchacourt



Fonte: UNAVOX

Editoriale del n° 141 della rivista Iesus Christus,
del Distretto dell'America del Sud della Fraternità San Pio X

Don Christian Bouchacourt è il Superiore del Distretto






Alcune settimane fa si è sentito risuonare dall’alto della loggia di San Pietro, a Roma, il famoso «Habemus papam!» Era stato eletto Papa Francesco I.
Dopo questo evento, i media non cessano di spiegare come nella Chiesa si sia aperta una nuova era. Con il nuovo Sommo Pontefice, affermano, la Chiesa di Cristo ritorna alla fonte limpida e ristoratrice della vera povertà e della semplicità evangeliche. Addio mozzetta e paramenti riccamente ricamati, addio trionfalistico cerimoniale pontificio… evviva il ritorno alla semplicità della «Chiesa povera per i poveri» (1). Il mondo applaude fragorosamente e ha già gettato nel più profondo degli oblii il predecessore Benedetto XVI, ancora vivente.

Questa spoliazione, iniziata e incoraggiata dall’ultimo concilio Vaticano II, sembra giungere al suo compimento con Papa Francesco. In effetti, a differenza del suo predecessore, il nuovo Papa fa poche dirette allusioni al Vaticano II: egli lo vive! Egli è il primo successore di Pietro a non aver mai celebrato la Messa tradizionale, poiché è stato ordinato nel dicembre 1969, poche settimane dopo l’imposizione del Novus Ordo Missae.

Il cardinale Bergoglio è stato un uomo totalmente immerso nello spirito del Concilio, alla cui fonte ha abbeverato il suo sacerdozio. Come il Vaticano II ha voluto porre totalmente al centro l’uomo, così egli ha fatto col suo apostolato, orientandolo verso la lotta alla povertà, all’ingiustizia e alla corruzione. E lo ha fatto con una reale convinzione, guadagnandosi una grande popolarità presso i diseredati. A questo ha aggiunto una vita semplice e austera.
È con questo spirito che lo scorso Giovedì Santo, come «vescovo di Roma» è andato a celebrare la Messa in una prigione romana, per lavare i piedi dei giovani prigionieri, tra cui vi erano due ragazze di cui una era musulmana! Siamo in presenza di un populismo militante.

Per colui che è stato primate d’Argentina, ogni fasto crea una barriera tra i poveri e l’autorità; così bisogna semplificare al massimo quello che è possibile… Secondo lui, avendo la liturgia lo scopo di riunire gli uomini e manifestare loro la tenerezza di Dio, bisogna bandire da essa la solennità, l’oro, l’incenso, e ritornare alla semplicità del Vangelo.
Non si tratta tanto di una mancanza di gusto o della mancanza di cultura liturgica, quanto della concretizzazione di una dottrina vissuta, quella offerta dal Vaticano II e che lui applica in tutta logica.

E questo pensiero in cui è immerso, è lo stesso che lo guida al dialogo interreligioso e all’ecumenismo, che dice di «voler proseguire sulla scia dei suoi predecessori» (2).
Le religioni, quali che siano, sono al servizio dell’uomo e devono unirsi per lavorare alla realizzazione del piano di Dio per l’umanità. Bisogna quindi che esse si incontrino e agiscano insieme per difendere i valori universali in pericolo, come il rispetto per la vita, l’ecologia, la pace, la lotta contro tutte le esclusioni, che suscitano la miseria e l’ingiustizia.

Questo movimento ecumenico e interreligioso è orientato all’azione e in nessun modo può essere un appello alla conversione e ad entrare nella Chiesa cattolica, sola arca di salvezza…
Nella predica della Messa celebrata davanti ai cardinali l’indomani della sua elezione, il Papa ha pronunciato delle belle parole su Nostro Signore Gesù Cristo, senza il quale non può esserci apostolato fecondo. Senza di Lui, ha detto, «la Chiesa sarà solo un ONG». Ma qualche giorno dopo, in occasione della riunione nella quale ha riunito i responsabili di tutte le religioni, Papa Francesco ha chiesto alle religioni di mettersi insieme per salvare i valori essenziali, mentre una gran parte dei capi religiosi presenti non riconoscono la divinità di Nostro Signore Gesù Cristo…
Non c’è una contraddizione?
E sfortunatamente è quella stessa contraddizione del modernismo che denunciava San Pio X. E questo dialogo sarà più ampio che mai, come ha dimostrato a più riprese a Buenos Aires!
Contrariamente al suo predecessore, Francesco I non parlerà di ermeneutica della continuità del Vaticano II con la Tradizione e non cercherà di dimostrarla. Egli assumerà in maniera totalmente disinvolta quella rottura che la FSSPX denuncia fin dalla sua fondazione.

Come tutto questo si allontana dalla teologia cattolica insegnata dai papi fino a Pio XII!

Il Sommo Pontefice, per la funzione che gli è propria, deve difendere, spiegare e trasmettere il deposito della fede che ha ricevuto da Cristo. Queste nuove attitudini insegnate e praticate da più di 50 anni dai papi che sono seguiti a Pio XII derivano da una dottrina nuova in rottura con ciò che il concilio Vaticano I ha insegnato rispetto alla funzione del Papa: «Lo Spirito Santo non è stato promesso ai successori di Pietro perché facciano conoscere, sotto la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma perché, con la sua assistenza, essi conservino ed espongano fedelmente la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede» (3).

Il nuovo Pontefice eletto deve svolgere il compito che gli è stato assegnato, e non adattarlo ai suoi gusti personali. Questo compito sta al di sopra di lui. In caso contrario, egli si assumerà il rischio di desacralizzarlo.

Dal momento della sua accettazione, il Papa “non si appartiene più”: egli diviene il Vicario di Cristo, cioè la più alta autorità sulla terra.
Portare le insegne pontificali, insieme al fasto del protocollo e delle cerimonie che egli presiede, sono elementi che proteggono questa autorità, che manifestano i doni che egli ha ricevuto da Dio, che danno gioia e fierezza ai membri della Chiesa. Così sarà manifestata la virtù di magnanimità che deve informare il Papa, la sua grandezza d’animo, che proviene dalla virtù della forza, di cui avrà tanto bisogno per compiere fedelmente la sua missione e che dovrà mostrare al cospetto di un mondo ostile. Occorre anche che voglia essere papa e non solo vescovo di Roma… San Tommaso d’Aquino dice che il rifiuto di questi onori legittimi è condannabile (4).

Tutto questo non impedisce al Romano Pontefice di manifestare semplicità e bontà nelle relazioni con gli altri, al contrario!
Le sue qualità personali, la sua santità, devono edificare e devono servire all’irraggiamento del papato nel mondo. Dalla virtù della magnanimità deve derivare quella della magnificenza: «vedere ed agire alla grande» per la gloria di Dio e l’onore della Santa Chiesa. Così si spiega il fasto degli offici pontifici e della liturgia cattolica che onora Dio, che riproduce sulla terra un po’ della liturgia celeste.
Quella magnificenza che usava il Santo Curato d’Ars, che diceva: «niente è troppo bello per Dio!».
Sol perché i poveri sono poveri, non hanno il diritto di assistere a delle belle liturgie che rendono degnamente gloria a Dio e che li elevano al di sopra delle loro miserie?
Lo splendore della liturgia trascende i secoli e le persone. Essa costituisce il patrimonio della Chiesa offerto a tutti i suoi figli, per aiutarli a lodare Dio e per attirare su di loro le bontà divine. La solennità della liturgia manifesta la fede che anima la Chiesa cattolica.

Questa magnanimità e questa magnificenza brillarono in maniera esemplare in San Pio X, venuto da un ambiente sociale molto modesto. Egli accettò gli onori esteriori dovuti al suo incarico, per il bene della Chiesa, benché la sua umiltà personale vi ripugnasse, e insieme mantenne un’edificante povertà nella sua vita personale.
Il suo insegnamento fu di una grande fermezza unita ad un’ammirevole benignità verso coloro che lo avvicinavano. Sotto il suo pontificato la Chiesa conobbe una grande diffusione. Egli l’ha salvata da tanti pericoli interni ed esterni, soprattutto dal pericolo del modernismo.
Egli fu un Papa amato da tutti, ammirato e rispettato dai potenti, ma temuto ed odiato dai nemici della Chiesa, che non gli perdonarono mai la sua fermezza dottrinale e diplomatica che aveva sventato i loro piani.
Davvero bisogna ricordarlo?
L’autorità non si riceve per piacere agli uomini, ma per propagare la verità e il bene e per denunciare l’errore e impedire il male.
Ecco cosa insegna San Paolo: «poiché essa [l’autorità] è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male» (5).
«Restaurare tutto in Cristo», come ha fato San Pio X, lavorare alla ricostruzione del Regno sociale di Cristo. Ecco un programma radicalmente opposto alle massime dell’ultimo Concilio, programma che è il solo che potrà fare uscire la Chiesa dalla crisi che oggi l’affligge, e potrà apportare pace e prosperità alle nazioni.

Che il nuovo Papa si ispiri al suo santo predecessore e che tenga sempre presenti queste altre parole di San Paolo: «Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!» (6).

La santità personale di un pontefice o di un membro della gerarchia cattolica, sarebbe sufficiente a fare uscire la Chiesa dalla crisi?
Mons. Lefebvre, nel suo Itinerario Spirituale, risponde in maniera molto chiara a questa domanda:
«Sento dire: “Voi esagerate! Ci sono sempre più dei buoni vescovi che pregano, che hanno la fede, che sono edificanti…”. Quand’anche fossero dei santi, poiché ammettono la falsa libertà religiosa e quindi lo Stato laico e il falso ecumenismo e di conseguenza l’ammissione di più vie di salvezza, la riforma liturgica e perciò la negazione pratica del sacrificio della Messa, i nuovi catechismi con tutti i loro errori ed eresie, contribuiscono ufficialmente alla rivoluzione nella Chiesa e alla sua distruzione.
«Il Papa attuale e questi vescovi non trasmettono più Nostro Signore Gesù Cristo, ma una religiosità sentimentale, superficiale, carismatica, in cui generalmente non scorre più la vera grazia dello Spirito Santo. Questa nuova religione non è la religione cattolica; essa è sterile, incapace di santificare la società e la famiglia.
«Una sola cosa è necessaria per la continuazione della Chiesa cattolica: vescovi totalmente cattolici, senza nessun compromesso con l’errore, che fondino seminari cattolici, dove giovani aspiranti possano nutrirsi con il latte della vera dottrina e mettere Nostro Signore Gesù Cristo al centro delle loro intelligenze, delle loro volontà, dei loro cuori; una fede viva, una carità profonda, una devozione senza limiti li uniranno a Nostro Signore; essi domanderanno come San Paolo che si preghi per loro, affinché avanzino nella scienza e nella sapienza del Mysterium Christi, dove scopriranno tutti i tesori divini. (…) Il male del Concilio è l’ignoranza di Gesù Cristo e del Suo Regno. È il male degli angeli cattivi, è il male che è la via dell’Inferno.» (7)

E allora, bisogna disperare e lamentarsi per i mali del nostro tempo? Nient’affatto! Sarebbe sterile e contrario allo spirito cattolico. Poiché, come dice la Sacra Scrittura: «abyssus abyssum invocat» (8), l’abisso della prova richiama su coloro che amano Dio la sovrabbondanza della grazia. A coloro che vogliono rimanere fedeli, Dio da oggi delle grazie eminenti che non dava ieri.
Quindi, manteniamo il coraggio!
Come ha chiesto la Madonna a Fatima, preghiamo più che mai per il Papa e offriamo delle penitenze per lui, affinché lo Spirito Santo lo illumini, lo guidi e gli dia la forza di restaurare la Tradizione che salverà la Chiesa. È un dovere per ciascuno di noi, sacerdoti e laici.

Come non mai, noi abbiamo anche un dovere di santità, affinché, in mezzo alle tenebre, brilli nelle nostre anime l’immagine del Redentore. Che Cristo regni in noi, nelle nostre case e in tutte le nostre attività. Così Dio, vedendo riflettersi nelle nostre anime Suo Figlio prediletto, si chinerà e si affretterà ad esaudire le nostre preghiere.

Infine, studiamo i principi che devono guidarci nel rude combattimento per la fede che dobbiamo condurre. Per aiutarvi, nelle prossime settimane verrà pubblicato in spagnolo il Catéchisme catholique de la crise dans l’Eglise [Catechismo cattolico della crisi nella Chiesa] scritto da Don Gaudron, della FSSPX, che ha avuto una grande diffusione in Francia. Esso vi aiuterà a comprendere meglio in cosa consista la rivoluzione religiosa che stiamo vivendo e vi fornirà gli argomenti per rispondere alle obiezioni che vi saranno presentate.

Coraggio, cari amici! Con Fede, Speranza e Carità continuiamo a lavorare con perseveranza al servizio di Cristo Re, ciascuno al proprio posto, lontani dai mormorii, nella chiarezza della verità. Non dimentichiamo che Pasqua segue sempre il Venerdì Santo!

La passione della Chiesa avrà fine nell’ora che Dio vorrà. Non è dell’ottimismo ingenuo che io esprimo, ma la fiducia in queste parole del nostro Salvatore: «Voi avrete tribolazioni nel mondo,ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!» (9).

Che Dio vi benedica!

Don Christian Bouchacourt
Superiore del Distretto dell’America del Sud


NOTE


(1) Francesco I, discorso ai cardinali l’indomani della sua elezione, 14 marzo 2013.
(2) Francesco I, udienza del 20 marzo alle diverse confessioni cristiane e alle altre religioni.
(3) Pio IX: 4a sessione del concilio Vaticano I, 18 luglio 1870, Pastor Æternus
(4) IIa IIae, Questione 129, a 1 e 3.
(5) Romani XIII, 4.
(6) Galati I, 10.
(7) Mons. Lefebvre: Itinerario Spirituale, Editrice Ichthys, Albano, 2000, Prologo, pp. 12-13.
(8) Salmo 91, 8.
(9) Gv 16, 33.