venerdì 28 giugno 2013

CARA MENZINGEN NON E’ SUFFICIENTE

 

Lettera di Monsignor WilliamsonParafrasando un celebre articolo di Mons. Williamson1, all'indomani del documento postato ieri, sebbene io  abbia accolto bene la dichiarazione di 3 dei 4 vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X, sospendo il mio giudizio in attesa che  segua anche di fatto ciò che è stato dichiarato in quel documento.

Credo sia anzitutto doveroso, proprio per spirito di Carità, se è vero ciò che si dichiara,  ammettere che le debolezze umane a volte ci sviano dal nostro fine e quindi riabilitare coloro che sono stati o esautorati o minacciati o puniti per aver dichiarato e fatto da sempre ciò che oggi si riporta in evidenza con la recentissima dichiarazione e cioè la missione voluta da Dio per mezzo di Mons. Lefebvre.

Non è sufficiente dunque dire di essere d’accordo con Monsignore e rigettare tutto il CVII se poi si mantiene questa linea dittatoriale volta all’epurazione di quelli che fanno della posizione di Mons. la loro vera missione.

Bisogna, per umiltà (frutto del primo mistero gaudioso), ammettere i propri errori, perché se errare è umano perseverare è diabolico e tendere la mano al fratello con spirito di umiltà.

Non si vuole qui insegnare dottrina o dare lezioni di morale  a dei vescovi o sacerdoti di Santa Romana Chiesa, perché se essi sono sempre dei superiori, ma si vuol ricordare che sono anch’essi ancor  prima dei cattolici, si è infatti prima cattolici poi sacerdoti, vescovi ecc.

Gesù non ha certo preteso meno dai suoi apostoli, anzi, tutto il contrario, proprio perché in qualità di pastori, imitatori del Buon Pastore, sono tenuti all’esempio perchè a chi più è stato dato più sarà richiesto. (Lc 12,48)

Non è dunque sufficiente dire noi crediamo questo e quest’ altro se non si ammette di aver commesso alcuni errori magari anche in buona fede.

Non è forse quello che ci si aspetta da roma?

Ma è anche quello che si aspettano i fedeli disorientati, spaccati, impauriti, silenziati ed in alcuni casi allontanati per questo clima interno alla Fraternità.

Poi finalmente diventa necessario operare fattivamente alla consolidazione del piccolo resto che Dio  ha scelto per la Sua battaglia e la sua Gloria.

In tale contesto bene scrive Don Girouard (leggi QUI):

a un certo punto Mons. Fellay e i suoi discepoli si sono intimoriti per la percezione negativa che i cattolici della Chiesa ufficiale ricavavano da questi tre elementi.

 

1)      che la Messa Antica non ha mai avuto bisogno di essere “liberata”, poiché la bolla Quo Primum ha sempre dato il diritto di celebrarla, poco importa ciò che dicono i vescovi Novus Ordo;
2) che le “scomuniche” non sono mai state valide;
3) che il nuovo stile delle argomentazioni della FSSPX deriva dal suo desiderio di non essere più “percepita” come “amara”, “crudele”, “disobbediente”, ecc.

 

Hanno cominciato a credere che una tale percezione negativa costituisse un ostacolo per la salvezza di queste povere anime. Ecco perché, allo scopo di eliminare questo ostacolo, hanno deciso di seguire le suggestioni del GREC, vale a dire: hanno scelto di impiegare dei mezzi cattivi per raggiungere un fine buono. Poco importa che anche da una minima conoscenza del catechismo si sappia che questo non può essere mai moralmente permesso.

 

In realtà tutto l’impianto nasce  dal desiderio che la FSSPX un giorno possa essere ben vista da coloro che appartengono alla Chiesa ufficiale.
In altri termini, la crisi che noi attraversiamo da circa quindici anni, dalla fondazione del “Groupe de Réflexion Entre Catholiques” (GREC), è basata su una questione di PERCEZIONE, cioè su ciò che gli altri pensano di noi.

Devo dire sinceramente che l’articolo di Don Girouard è veramente bello e significativo e bisogna ammettere, anche, che c’era del vero nel mio articolo  per una inutile riconciliazione, niente di geniale ma semplice analisi della realtà.

Ecco infatti cosa afferma Don Girouard: I modernisti e i perversi di Roma non mi hanno spogliato della mia appartenenza alla Chiesa cattolica, mi hanno semplicemente dato la gioia di ricevere una delle beatitudini rivelate da Nostro Signore, quella di soffrire la persecuzione a causa della giustizia!
Perché dunque si vorrebbe che mi si togliesse questa beatitudine?

Se siamo cattolici di cosa dovremmo preoccuparci?

Quale unità ci sarebbe con roma senza la Fede?

Come per roma non è sufficiente “ridarci” la Messa, togliere le scomuniche e voler riconoscere la Fraternità altrettanto non è sufficiente a Menzingen una dichiarazione di Fede e fedeltà alla Chiesa nel primo caso ed al suo fondatore nel secondo.

Per quanto ne so, il Consiglio Generale non ha ancora inviato a Roma un altro documento ufficiale che precisa che questa Dichiarazione Dottrinale sarebbe ormai revocata o nulla o mai trasmessa. Quindi, questo documento di aprile 2012 rappresenta sempre la posizione ufficiale della Fraternità su queste questioni.

Attendiamo questo atto come primo passo e magari, perché no, anche una telefonata a Big Double U!

La torta è tutta avvelenata non serve che il veleno sia solo il 5%.

Aspettiamo con fiducia pregando il Santo Rosario per questa reale unità e la riabilitazione dei prelati e vescovi nonché dei fedeli allontanati!

 

                                                                                                                      Stefano Gavazzi

 

NOTE:

1) lettera M.Williamson 2003 - Motivi dell'impossiblità di unire la Tradizione con la Chiesa conciliare, considerazioni sul "sedevacantismo" e "indultismo"

St Thomas Aquinus Seminary R.R. 1, BOX 97 A-1 Winona MINNESOTA 55987 (507) 454-8000

1 febbraio 2003

giovedì 27 giugno 2013

SEGNI DI RIPRESA?

Con molta cautela e con ancora una certa diffidenza, in attesa che anche gli errori all'interno della FSSPX vengano corretti e giustamente riabilitati quanti  hanno sempre fatto ciò che si dice solo nella dichiarazione, pubblico quanto segue ricevuto da UNAVOX:

Fraternità Sacerdotale San Pio X

Dichiarazione nella ricorrenza
del 25° anniversario
delle Consacrazioni Episcopali

(30 giugno 1988 – 27 giugno 2013)


del 27 giugno 2013


da DICI




1 - Nella ricorrenza del 25° anniversario delle Consacrazioni Episcopali, i vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X intendono esprimere solennemente la loro gratitudine a Mons. Marcel Lefebvre e a Mons. Antonio De Castro Mayer per l’atto eroico che hanno avuto il coraggio di porre, il 30 giugno 1988. In particolare vogliono manifestare la loro filiale riconoscenza verso il venerato fondatore il quale, dopo tanti anni al servizio della Chiesa e del Sommo Pontefice, non ha esitato a subire l’ingiusta accusa di disobbedienza per la difesa della fede e del sacerdozio cattolico.
  
2 - Nella lettera che ci indirizzò prima delle consacrazioni, scriveva: “Vi scongiuro di rimanere attaccati alla sede di Pietro, alla Chiesa romana, madre e maestra di tutte le Chiese, nella fede cattolica integrale, espressa nei simboli della fede, nel Catechismo del Concilio di Trento, conformemente a quanto vi è stato insegnato in seminario. Rimanete fedeli nel trasmettere questa fede perché venga il regno di Nostro Signore.” E’ proprio questa frase che esprime le ragioni profonde dell’atto che si accingeva a compiere. “Perché venga il regno di Nostro Signore”, Adveniat regnum tuum.

3 - Al seguito di Mons. Lefebvre affermiamo che la causa dei gravi errori che stanno demolendo la Chiesa non risiede in una cattiva interpretazione dei testi conciliari – in una “ermeneutica della rottura” che si opporrebbe ad una “ermeneutica della riforma nella continuità” – , ma piuttosto nei testi stessi, a causa della scelta inaudita operata dal Concilio Vaticano II.
Questa scelta si manifesta nei suoi documenti e nel suo spirito: di fronte all’“umanesimo laico e profano”, di fronte alla “religione (poiché tale è) dell’uomo che si fa Dio”, la Chiesa, unica detentrice della Rivelazione “del Dio che si è fatto uomo”, ha voluto far conoscere il suo “nuovo umanesimo” dicendo al mondo moderno: “Anche noi, e più di chiunque altro, abbiamo il culto dell’uomo” (Paolo VI, Discorso di chiusura, 7 dicembre 1965). Ora, questa coesistenza del culto di Dio e del culto dell’uomo si oppone radicalmente alla fede cattolica che ci insegna a rendere il culto supremo e a riconoscere il primato esclusivamente al solo vero Dio e al suo Unigenito, Gesù Cristo, nel quale “abita corporalmente la pienezza della divinità” (Col. 2,9).

4 - Siamo dunque obbligati a constatare che questo Concilio atipico, che ha voluto essere solo pastorale e non dogmatico, ha inaugurato un nuovo tipo di magistero, sconosciuto fino ad allora nella Chiesa, senza radici nella Tradizione; un magistero determinato a conciliare la dottrina cattolica con le idee liberali; un magistero imbevuto dei principi modernisti del soggettivismo, dell’immanentismo e in perpetua evoluzione, conformemente al falso concetto della tradizione vivente, in quanto altera la natura, il contenuto, il ruolo e l’esercizio del magistero ecclesiastico.

5 - Per questo il regno di Cristo non è più la preoccupazione delle autorità ecclesiastiche, benché queste parole di Cristo: “Ogni potere mi è stato dato sulla terra e in cielo” (Mt 28,18) rimangano una verità ed una realtà assolute. Negarle nei fatti significa non riconoscere più in pratica la divinità di Nostro Signore. Così, a causa del Concilio, la regalità di Cristo sulle società umane è semplicemente ignorata, addirittura combattuta e la Chiesa è prigioniera di questo spirito liberale che si manifesta specialmente nella libertà religiosa, nell’ecumenismo, nella collegialità e nel nuovo rito della messa.

6- La libertà religiosa esposta in Dignitatis humanae e la sua applicazione pratica da cinquant’anni conducono logicamente a chiedere al Dio fatto uomo di rinunciare a regnare sull’uomo che si fa Dio; il che equivale a dissolvere Cristo. Al posto di una condotta ispirata da una fede solida nel potere reale di Nostro Signore Gesù Cristo, noi vediamo la Chiesa vergognosamente guidata dalla prudenza umana e a tal punto dubbiosa di sé che chiede agli Stati soltanto ciò che le logge massoniche vogliono concederle: il diritto comune, nel mezzo e allo stesso livello delle altre religioni, che essa non osa più chiamare false.

7 - Nel nome di un ecumenismo onnipresente (Unitatis Redintegratio) e di un vano dialogo interreligioso (Nostra Aetate) la verità sull’unica Chiesa è taciuta; così la stragrande maggioranza dei pastori e dei fedeli, non vedendo più in Nostro Signore e nella Chiesa Cattolica l’unica via della salvezza, hanno rinunciato a convertire i seguaci delle false religioni, lasciandoli nell’ignoranza dell’unica Verità. In questo modo l’ecumenismo ha letteralmente ucciso lo spirito missionario attraverso la ricerca di una falsa unità, riducendo troppo spesso la missione della Chiesa alla proclamazione di un messaggio di pace puramente terrena e ad un ruolo umanitario di sollievo alla miseria nel mondo, mettendosi così al seguito delle organizzazioni internazionali.

8 - L’indebolimento della fede nella divinità di Nostro Signore favorisce una dissoluzione dell’unità dell’autorità nella Chiesa, introducendovi uno spirito collegiale, egalitario e democratico (cfr. Lumen Gentium). Cristo non è più il capo da cui deriva tutto, in particolare l’esercizio dell’autorità. Il Sommo Pontefice, che non esercita più effettivamente la pienezza della sua autorità, così come i vescovi, i quali – contrariamente agli insegnamenti del Concilio Vaticano I – pensano di poter condividere collegialmente e in maniera abituale la pienezza del potere supremo, ascoltano e seguono oramai, con i sacerdoti, il “popolo di Dio”, nuovo sovrano. Questo significa distruzione dell’autorità e di conseguenza rovina delle istituzioni cristiane: famiglie, seminari, istituti religiosi.

9- La nuova messa, promulgata nel 1969, diminuisce l’affermazione del regno di Cristo attraverso la Croce (“Regnavit a ligno Deus”). Infatti il suo stesso rito sfuma e offusca la natura sacrificale e propiziatoria del sacrificio eucaristico. Soggiacente a questo nuovo rito si trova la nuova e falsa teologia del mistero pasquale. L’uno e l’altra distruggono la spiritualità cattolica fondata nel sacrificio di Nostro Signore sul Calvario. Questa messa è impregnata di uno spirito ecumenico e protestante, democratico e umanista che soppianta il sacrificio della Croce. Essa illustra la nuova concezione del “sacerdozio comune dei battezzati” che deforma il sacerdozio sacramentale del presbitero.

10 - Cinquant’anni dopo il Concilio, le cause sussistono e generano ancora gli stessi effetti. Cosicché ancora oggigiorno le Consacrazioni Episcopali conservano tutta la loro ragion d’essere. È l’amore della Chiesa che ha guidato Mons. Lefebvre e guida i suoi figli. È lo stesso desiderio di “trasmettere il sacerdozio cattolico in tutta la sua purezza e la sua carità missionaria” (Mons. Lefebvre, Itinerario spirituale) che anima la Fraternità San Pio X al servizio della Chiesa quando essa chiede con insistenza alle autorità romane di riappropriarsi del tesoro della Tradizione dottrinale, morale e liturgica.

11 - Questo amore della Chiesa spiega il principio che Mons. Lefebvre ha sempre osservato: seguire la Provvidenza in tutti i frangenti, senza mai permettersi di anticiparla. Noi intendiamo fare altrettanto: sia che Roma ritorni presto alla Tradizione e alla fede di sempre – il che ristabilirà l’ordine nella Chiesa – sia che essa riconosca esplicitamente alla Fraternità il diritto di professare integralmente la fede e di rigettare gli errori che le sono contrari, con il diritto ed il dovere di opporsi pubblicamente agli errori e a coloro che li promuovono, chiunque essi siano – il che permetterà un inizio di ristabilimento dell’ordine. Nel frattempo, di fronte a questa crisi che continua a provocare disastri nella Chiesa, noi perseveriamo nella difesa della Tradizione cattolica e la nostra speranza rimane totale, poiché sappiamo con la certezza della fede che “le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18).

12- Intendiamo quindi seguire la richiesta del nostro caro e venerato padre nell’episcopato: “Miei cari amici, siate la mia consolazione in Cristo, rimanete forti nella fede, fedeli al vero sacrificio della Messa, al vero e santo sacerdozio di Nostro Signore, per il trionfo e la gloria di Gesù in cielo e in terra” (Lettera ai vescovi).
Degni la Santissima Trinità, per intercessione del Cuore Immacolato di Maria, accordarci la grazia della fedeltà all’episcopato che abbiamo ricevuto e che vogliamo esercitare per l’onore di Dio, il trionfo della Chiesa e la salvezza delle anime.

Ecône, 27 giugno 2013, festa della Madonna del Perpetuo Soccorso

Mons. Bernard Fellay

Mons. Bernard Tissier de Mallerais

Mons. Alfonso de Galarreta

mercoledì 26 giugno 2013

Accelerazioni sataniche

Usa: le nozze gay ora sono legali

Sentenza storica della Corte suprema. Un boato accoglie la decisione. Il matrimonio equiparato a quello etero. Cade ogni discriminazione.


Angelo Angeli
 La Corte Suprema ha bocciato il Defence Marriage Act (Doma), la legge federale americana secondo cui il matrimonio è solo tra uomo e donna.
Un boato di gioia, grida e applausi della folla emozionata fuori dalla Suprema Corete hanno accolto la notizia della decisione di abrogare la Doma, la legge federale Usa che nega in sostanza le nozze gay.
Tantissimi con bandiere con i colori del movimento gay e striscioni da giorni attendevano questa sentenza che oggi ha un carattere storico.
 
 
Due ...sposini

Una vittoria dei gay Usa e di tutto il mondo

 
 
La Corte Suprema americana ha bocciato la legge federale che definisce matrimonio solo quello tra uomo e donna spiegando come sia incostituzionale, in quanto viola il quinto emendamento sulla difesa delle libertà individuali. È una vittoria storica per la comunità gay americana, le cui nozze ora sono parificate a quelle etero.
 

 

 Obama: "Un passo storico

 
La sentenza della Corte Suprema sulle nozze gay è "uno storico passo avanti verso l'uguaglianza". Lo ha twittato il presidente Usa, Barack Obama.
 


Ultimo aggiornamento: 27/06/13

martedì 25 giugno 2013

IL GIUSTO GASTIGO PER IL BENE DELLE ANIME, IL VERO BENE

Come pensare che Nostro Signore possa ancora sopportare tali offese da parte nostra ed in special modo da questi mostri, come il giudice di questa vicenda e quella che contro l'evidente principio d'identità, reclamano in maniera scelerata l'esistenza di un terzo genere?

Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix!

 

Trans a sei anni. Vince la causa per andare nel bagno delle bimbe

Martedì, 25 giugno 2013 - 09:38:00
 
Ha 6 anni ed è transgender. La storia di Coy Mathis sta coinvolgendo gli Stati Uniti, tra scettici e sostenitori dei diritti omo. Il bambino, che vive in Colorado, si sente femmina da quando è nato e, insieme alla sua famiglia, ha chiesto e ottenuto di poter utilizzare il bagno delle femmine, cosa inizialmente negata dal direttore della scuola elementare che frequenta. Coy, come racconta la madre, ha mostrato di essere trasgender ad appena 18 mesi e dai 4 anni ha iniziato a volersi vestire come una bambina e ha parlare di sé al femminile. Durante il periodo della scuola materna non ci sono stati problemi e ha potuto utilizzare il bagno delle femmine, senza generare alcun problema.

E' stata la "Fountain-Fort Carson School" che il divieto all'uso del bagno delle bambine è stato netto: "La scuola deve tener conto anche degli altri bambini, dei loro genitori e del futuro impatto che un ragazzo con i genitali maschili che utilizza il bagno delle ragazze potrebbe avere", ha infatti rivendicato il consiglio dell'istituto.
Ne è nato un contenzioso a cui è stata messa la parola fine dalla decisione ultima del direttore del distretto scolastico, Steven Chavez, che ha dato ragione a Coy e alla sua famiglia. Non permettendo a Coy di utilizzare bagno delle bambine, la scuola ha "creato un ambiente pieno di molestie", ha scritto Chavez nella circolare che motiva la sua decisione. L'istituto scolastico ha inoltre dimostrato "una mancanza di comprensione della complessità della questione transgender", facendo riferimento a Coy come maschio e virgolettando sempre la parola "lei", in tutti i documenti che si sono susseguiti nel contenzioso.
IL TERZO GENERE ESISTE, BAMBINI COMPRESI - L'INTERVISTA
Altro che uomini e donne: il terzo genere esiste. E non sono ipotesi avanzate da qualche progressista coraggioso, è un dato scientifico. La nozione di “gender” ha davvero spezzato l’equazione tra sessi e natura. "L'1,7% delle nascite presenta casi d'intersessualità ed è un dato rilevante" spiega ad Affari la filosofa e scienziata Elisa A.G. Arfini, autrice di 'Scrivere il sesso'. "La teoria transgender elimina il concetto di maschio e femmina 'perfetti', tipico della cultura tradizionale. Ciò vuol dire che nessuno è maschio o femmina al 100%".
Mettere in crisi la distinzione tra i sessi rappresenta una rivoluzione culturale. Su cosa si fonda la teoria queer?
"Sul costruzionismo, la teoria per cui tutto ciò che il senso comune stabilisce come vero e immutabile è in realtà un prodotto sociale.  E anche tutte le categorie per stabilire la differenziazione sessuale sono dipendenti da un contesto culturale e sociale, ad esempio gli esami ormonali o del Dna".
Cosa cambia nella lettura della realtà sociale?
"Tutto. Cambia il modo di stabilire chi può essere definito maschio e chi femmina e anche 'quanto' una persona possa essere cosiderata maschio e 'quanto' femmina. Bisogna tenere presente che attualmente la nostra identità non viene scissa dal genere. Per tradizione, nel definire chi siamo, ci identifichiamo prima attraverso il nostro sesso. Una visione meno inquadrata dei generi è ancora un'utopia che l'esperienza transgender (lungi dall'eliminare la dicotomia di genere) cerca di rendere possibile".
Quindi ci sono diversi gradi di essere maschio o femmina e il discorso vale anche per i bambini?
"Sì la teoria transgender elimina il concetto di maschio e femmina perfetti tipico della cultura tradizionale. Nessuno è uomo o donna al 100%. I due generi fanno parte di uno stesso continuum i cui estremi rappresentano solo degli idealtipi di riferimento".
Il famoso braccialettino rosa e azzurro perde di significato...
"Sì. Alla nascita noi siamo etichettati dal braccialetto che sembra stabilire il nostro destino, in realtà poi ognuno di noi nel corso della vita modifica il suo status cromosomico e ormonale iniziale, consapevolmente o meno".
La scienza come reagisce a queste trasformazioni?
"Il rapporto del transgender con la scienza è controverso. Nella vita delle persone che cambiano sesso la scienza deve intervenire per forza e il suo obiettivo è comunque lavorare sui corpi nel modo più oggettivo possibile: deve quindi essere considerata un elemento sociale capace di seguire le esigenze e i cambiamenti della società".
La scienza ha da un lato a che fare con il presupposto oggettivo della differenza tra i sessi, dall'altro è sperimentazione...
"Sì, infatti riconosce ciò che la legge ancora nasconde. Caso emblematico è l'intersessualità, ovvero il nome moderno dell'ermafroditismo, individui che presentano geneticamente e a livello ormonale un mix di caratteri sessuali. La scienza ci aiuta a capire che biologicamente la differenziazione sessuale non è così netta. Perchè le tecniche si sono affinate. Prima si studiava la sessualità solo attraverso gli organi, ora si analizza profondamente il patrimonio genetico. Le stime dicono che l'1,7% delle nascite presenta casi d'intersessualità, ovvero di elementi misti tra i sessi, ed è un dato rilevante. In certi casi però è la stessa scienza ad adeguarsi alla tradizione e alla legge, prendendo posizione sul genere di chi nasce con una sessualità dubbia, per poi intervenire con interventi ormonali o chirurgici che lo portino verso una 'normalità' che è un concetto totalmente infondato da un punto di vista biologico".
Questo perché?
"Perchè è ancora al servizio di una biopolitica in cui i corpi vengono disciplinati secondo regole".
Si può dire dunque che l'ermafrodita esiste?
"Dipende a chi lo si chiede. Nell'età classica esisteva. Quando poi la scienza si è impossessata della caratterizzazione dell'individuo e della sua riconduzione ai due generi sessuali è diventato solo un idealtipo. Certo è che, come ho detto, la scienza riconosce una commistione biologica non indifferente".
Elisa A.G. Arfini è dottoranda in Modelli, Linguaggi e Tradizioni nella Cultura Occidentale presso l’Università di Ferrara. Si occupa di studi di genere e teoria queer.

mercoledì 19 giugno 2013

Papa Bergoglio, vita e pensiero: La cultura dell'incontro

Propongo questo articolo, letto oggi, di Don Nitoglia che fa il paio al mio post sul dialogo tra Papa Francesco e gli Apostoli proprio sull'"incontro".

Papa Bergoglio, vita e pensiero:
la “cultura dell’incontro”



di Don Curzio Nitoglia




Pubblicato sul sito dell'Autore


l'impaginazione è nostra




Sono passati circa quattro mesi dall’elezione di papa Francesco I (13 febbraio 2013) e mi sembra opportuno fare il punto su quel poco che si è scorto, da allora, circa il suo orientamento  dottrinale come successore di Pietro.
Egli è un uomo di azione più che di dottrina, un “Pastore” più che un “Maestro”, anche se è persona colta ed intelligente, ma il primato in lui spetta alla prassi più che alla teoresi, pur se la seconda dà il via alla prima e per capire il suo modo di agire occorre scandagliare il suo modo di pensare e far teologia.

Tra i Papi conciliari e postconciliari si può fare un’analogia: Giovanni XXIII sta a Giovanni Paolo II e Francesco I, come Paolo VI sta a Benedetto XVI. I primi tre sono stati certamente uomini di una certa cultura, ma soprattutto pastori dotati di un certo carisma che li ha resi simpatici alle folle. I secondi due sono stati piuttosto dottrinari (modernisti) e non ricchi come i primi tre del carisma pastorale, della grande popolarità e della simpatia, che emana oggettivamente dalla personalità del terzetto suddetto.

Per il presente articoletto mi servo di un libro intervista che l’allora card. di Buenos Aires aveva rilasciato a due giornalisti argentini (Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti) nel 2009-2010 e che è stato pubblicato pubblicato in italiano dopo la sua elezione a Papa nel 2013 dalla Editrice Salani di Firenze sotto il titolo Jorge Bergoglio. Papa Francesco. Il nuovo Papa si racconta.
Il libro ci fa conoscere la personalità del cardinale e non parla ancora del Papa per ovvi motivi (risale al 2009-2010), ma è la stessa  persona di José Bergoglio, che circa tre anni dopo è diventata Francesco I. Quindi il cardinale e la sua vita passata ci aiutano a capire il Papa e ad intuire quel che potrebbe fare o meno.

La prima “novità” è che la Prefazione al libro è stata scritta dal Rabbino capo di Buenos Aires, Abraham Skorka, il 23 dicembre 2009 a lavoro compiuto.
L’altra “novità” è  che papa Bergoglio aveva già scritto da cardinale nel 2006 una Prefazione ad un libro del medesimo Rabbino. Il Rabbino scrive che non è stato “un semplice scambio di gentilezze” (p. 5) ma si tratta “della prova, chiara e sincera, del profondo dialogo che esiste tra due amici per i quali […] il dialogo interreligioso, tema che acquistò particolare rilevanza a partire dal Concilio Vaticano II,  […] è passato immediatamente alla franchezza di un dialogo ispirato alla sincerità e al rispetto […] con la fede che il corso della storia possa e debba essere cambiato, che la […] redenzione del mondo non sia solo un’utopia, ma un obiettivo possibile” (pp. 5-6).

Non bisogna stupirsi se la massoneria ebraica del Bené Berith argentino ha inviato un caloroso messaggio di felicitazioni al cardinal Bergoglio per la sua elezione a Papa:
“Il card. J. M. Bergoglio è stato sempre impegnato nel dialogo interreligioso ed ha costruito una relazione fraterna con la Comunità ebraica argentina e specialmente col Bené Berith […]. Noi riconosciamo in Francesco I un amico dell’Ebraismo” (B’nai B’rith Argentina, n. 450, 17 marzo 2013).

Qui sorge subito un’obiezione di Fede. La Redenzione è già stata operata 2000 anni or sono da Gesù Cristo, profetizzato dall’Antico Testamento già nel primo Libro Sacro del Pentateuco di Mosè (Gen., III, 14-15) e che i Rabbini, gli Scribi ed il Sinedrio condannarono a morte per essersi proclamato Messia e Redentore del mondo, come professa la Religione cristiana. Allora come può un cattolico aspettare la futura “redenzione” assieme ad un Rabbino senza rinnegare implicitamente la sua Fede cristiana per la quale la Redenzione è già avvenuta e non può essere futura per il principio evidente di non-contraddizione? Forse si tratta della “redenzione” immanentistica e rivoluzionaria terrena delle ideologie naturalistiche, che non pensano all’al di là e si fermano all’al di qua? Sembrerebbe proprio di sì.

Seconda osservazione “l’ossessione di Bergoglio può essere riassunta in due parole: incontro e unità” (p. 7). Ma come si possono incontrare ed unire cristiani ed ebrei se questi ultimi si ostinano a rifiutare Gesù Cristo? Egli, inoltre, si autodefinisce come il teorico “della cultura dell’incontro” (p. 107).
Il primato della prassi tanto caro a Bergoglio può aiutarci a capire. Secondo lui occorre dare “la priorità all’incontro tra le persone, al camminare assieme. Così facendo, dopo sarà più facile abbandonare le differenze” (p. 76). Infatti secondo Bergoglio è bene “non perdersi in vuote riflessioni teologiche” (p. 39). Non solo, dunque, primato dell’azione, ma disprezzo della riflessione e della speculazione teologica.

La S. Scrittura, la Tradizione apostolica, la sana Filosofia, la retta Teologia, la Spiritualità dei Santi e il Magistero, invece, hanno sempre insegnato tutto il contrario:
Contemplare et contemplata aliis tradere” (S. Tommaso d’Aquino), la vita contemplativa è in sé superiore a quella attiva  perché “la contemplazione si riferisce alle cose divine e l’azione a quelle umane” (S. Th., II-II, q. 182);
Nihil volitum nisi prius praecognitum” (Aristotele);
La Teologia si fa mediante la riflessione della ragione naturale sulla divina Rivelazione” (S. Th., I, q. 1);
L’accorto agisce sempre con riflessione” (Prov., XIII, 16);
Lo zelo senza riflessione non è cosa buona” (Prov., XIX, 2);
Non far nulla senza riflessione” (Sir., XXXII, 19);
Maria rifletteva e conservava tutte le cose in cuor suo” (Lc., II, 19);
Gesù passava la notte in riflessione” (Mt., XXIV, 25);
S. Massimo il Confessore: “Occorre riflettere e contemplare per vedere le cose nel loro rapporto con Dio” (Ad Thal., PG 90, 372);
S. Basilio: “La sapienza e la  contemplazione conducono a Dio” (Hom. in princ. Prov., PG 31, 389);
Ora et labora” (S. Benedetto da Norcia).
Il Magistero della Chiesa con LEONE XIII, Enciclica Aeterni Patris del 1879;
SAN PIO X (Motu proprioDoctoris Angelici” del 1914),
BENEDETTO XV (Enciclica Fausto appetente die del 1921),
PIO XI (Enciclica Studiorum ducem del 1923) ha ribadito la superiorità della riflessione teologico/filosofica specialmente tomistica sull’azione.

Francesco I definisce la Fede come “l’incontro con Gesù Cristo” (p. 85), senza specificare di quale incontro si tratti, se di quello mediante la grazia santificante che ci unisce realmente e soprannaturalmente a Dio o se di un semplice fatto o accaduto nella nostra vita, che ci fa “sentire” una vaga “esperienza religiosa”. Questa definizione non corrisponde in nulla alla natura della virtù di Fede teologale che è “l’assenso dell’intelletto spinto dalla volontà, sotto la mozione della Grazia attuale divina, ad una Verità divinamente rivelata ossia ad un Mistero, che sorpassa le capacità della ragione umana ma non è contraddittorio”. Occorre, perciò, assentire ad un Dogma rivelato da Dio, contenuto nella S. Scrittura e Tradizione, e definito dal Magistero della Chiesa con la ragione elevata dalla Grazia.
L’incontro vero e soprannaturale con Dio (sostanzialmente diverso dal sentimentalismo dell’esperienza religiosa) è l’effetto di tale atto di Fede che, se è accompagnato dalla virtù di Carità (osservanza dei 10 Comandamenti), ci unisce a Dio.
Definire la Fede solo come l’incontro con Gesù è erroneo, Francesco I inverte talmente la definizione e la natura delle Virtù teologali di Fede e Carità da scrivere: “Dopo l’incontro con Gesù viene la riflessione su Dio, Cristo e la Chiesa” (ivi). La Fede per lui è un fatto (un incontro) ossia qualcosa di irragionevole, è il prodotto di un’esperienza soggettiva del sentimento religioso, che per i modernisti precede ogni riflessione razionale come anche per Kant.

Il “Sentimento religioso” pone l’accento più sull’emotività sentimentalistica che sulla ragione e volontà. In religione il sentimento o meglio sentimentalismo, per il Modernismo, precede la conoscenza di Dio mediante la Fede quaerens intellectum, anzi la rimpiazza: “Gesù e il Cristianesimo non sono un pacchetto di Verità da credere o di Precetti da osservare, ma consistono in un incontro o in un’esperienza personale”, disse l’allora card. J. Ratzinger ai funerali di don Luigi Giussani († 2005), fondatore del movimento “Comunione e Liberazione”.
Invece la religione è innanzi tutto assentire ai 12 articoli del Credo (Fede), poi mettere in pratica i 10 Comandamenti (Morale) ed infine mediante un lungo percorso di meditazione, sorretta dai 7 Sacramenti (Grazia), l’incontro con Dio Trino realmente ed oggettivamente esistente.
Invece «dal Luteranesimo in poi il sentimento è diventato per molti l’unica o la principale fonte della religione, ridotta a una semplice esperienza psicologica individuale. […] Il sentimentalismo psicologico, esagerazione del semplice sentimento, sul terreno religioso è anarchia e smarrimento dello spirito, che si avvia inconsciamente verso il Panteismo e l’Ateismo» [1].

Il dialogo e l’incontro personale  valgono per tutti, ebrei, musulmani ed anche per i “tradizionalisti” se pronti ad “incontrarsi, a camminare assieme”, il resto verrà da sé, le diversità pian piano si addolciranno. Bergoglio suole ripetere: “è il tempo a farci maturare. Bisogna lasciare che il tempo modelli e amalgami le nostre vite” (p. 65).
Non penso (è solo un’opinione, una congettura personale e non una certezza) che papa Francesco I sbatterà le porte in faccia al mondo “post-tradizionalista” [2] in cerca di una sistemazione canonica e pronto a riconoscere la “bontà del Vaticano II al 95%”. L’importante è incontrarsi, camminare assieme e poi anche quel piccolo 5% di differenza, che è rimasto come la foglia di fico del povero Adamo dopo il peccato originale a coprire le “vergogne” del “cedimento dottrinale”, si appianerà con un “trasbordo ideologico inavvertito”, non solo verbale, ma reale e doloroso.

Il motto di papa Bergoglio è “qualsiasi forma di mancato incontro è per me un motivo di profondo dolore” (p. 110), perciò quando “mi domandano un orientamento, la mia risposta è sempre la stessa: dialogo, dialogo, dialogo…” (p. 111).

Il libro ci ricorda, inoltre, che Bergoglio fu l’antagonista di Ratzinger alle elezioni del 2005 e che era il delfino del card. Carlo Maria Martini, il quale era oramai malato e si era scoperto come esageratamente progressista per poter ottenere i voti della maggioranza del Collegio cardinalizio; allora Martini e Bergoglio decisero di far confluire i voti ottenuti sul card. Ratzinger (pp. 9-10). Perciò Bergoglio dottrinalmente è più vicino all’area del card. Martini che a quella di Joseph Ratzinger.
Tuttavia la sua Tesi di laurea è stata discussa in Germania negli anni Ottanta su Romano Guardini “propugnatore del rinnovamento ecclesiastico, che si sarebbe realizzato nel Concilio Vaticano II (p. 18). Ora se Guardini è stato un modernizzante, e lo è stato, è stato anche il caposcuola di Ratzinger, Hans Urs von Balthasar e della Rivista “Communio” dal 1972 contraltare modernista moderato della Rivista “Concilium” del 1964 avanguardia del modernismo radicale (Rahner, Küng, Schilleebeckx) ed ha influito non poco sulla sensibilità estetizzante di Benedetto XVI circa la Messa tradizionale. Quindi occorre saper sfumare e far le dovute differenze nella personalità di Bergoglio. Amando Guardini, penso, ma non posso esserne certo, non disprezzerà, come Montini, la Messa detta di San Pio V, purché non si obietti troppo e pubblicamente sulla ortodossia del Novus Ordo Missae di Paolo VI.

Una nota ricorrente nella vita e nel pensiero di Bergoglio è “l’esperienza religiosa, l’incontro personale con Cristo” (p. 41 e 77) tanto cara al modernismo, a “Comunione e Liberazione”, nata dalla rivista “Communio”, patrocinata da Guardini, de Lubac, Balthasar e Ratzinger a partire dal 1972.

L’“Esperienza religiosa” vede «il fatto religioso principalmente come un fenomeno psicologico individuale, in cui il sentimento erompente dalla subcoscienza ha il predominio sulle funzioni dell’intelligenza. Questa esperienza religiosa avrebbe per oggetto non propriamente un Dio personalmente distinto dall’uomo e trascendente il mondo, ma il divino, sentito vagamente, come qualcosa che non sorpassa l’uomo, ma è immanente in esso, verso cui l’anima ha sentimento di amore» [3].

La “Subcoscienza” è un termine invalso nella fine dell’Ottocento, quando Myers (1886) «credette di aver scoperto oltre la periferia della coscienza umana un sostrato oscuro, ma ricco di risorse percettive ed emotive, che chiamò appunto subcoscienza. […] Esiste in noi, un Io cosciente, chiaro, ordinario, che è la nostra personalità comune; ma nella profondità dello spirito  si nasconde un Io subcosciente, detto anche subliminale, in cui si elaborano, a nostra insaputa, intuizioni e sentimenti vaghi, che man mano si raggruppano, si fondono e all’improvviso irrompono nella zona dell’Io cosciente determinandone nuove aspirazioni, nuove direttive, una vita nuova. Nell’oscura coscienza subliminale si elabora specialmente il sentimento del divino, che è la radice e la fonte della religione. La vera religione non è nei Libri Sacri, non viene dal di fuori ma sale dalle profondità della subcoscienza. […] I dogmi non sono verità immutabili, ma espressioni provvisorie, a carattere pratico-simbolico, dell’esperienza religiosa» [4].

Bergoglio non è comunista anche se ha letto molta letteratura del Partito Comunista ed è stato influenzato da essa ed inoltre Leònidas Barletta, un personaggio rilevante della cultura marxista, ha contribuito molto alla sua formazione politica (p. 45).
Ciò che è accaduto a Cuba durante la rivoluzione castrista, alla quale collaborarono anche numerosi cattolici, pur se con finalità diverse, è un esempio tipico del risultato a cui porta la collaborazione con i comunisti e dovrebbe farci riflettere. I Comunisti come i Modernisti, infatti, non disdegnano la collaborazione dei cattolici. Anzi, la sollecitano (v. Antonio Gramsci, Ernest Bloch e Palmiro Togliatti), la provocano anche, mettendo in evidenza miseria e ingiustizie che possano suscitare l’indignazione e la reazione degli spiriti retti. E, purtroppo, spesso ottengono la collaborazione desiderata. Abituati ad agire in buona fede, i cattolici tendono molte volte a giudicare impossibile che, rispetto a considerazioni umanitarie, qualcuno possa nascondere un fine perverso. Finiscono così per impegnarsi, non per il movimento comunista, ma per la lotta a favore degli infelici, degli oppressi e dei sofferenti. E lavorano uniti, cattolici e comunisti, certi i primi che gli altri, come loro, desiderano sinceramente curare la società dalle piaghe che la infettano; più certi i secondi che l’agitazione umanitaria offrirà loro l’ambiente ideale per l’estensione del loro potere. Lavorando assieme finiscono, però, per pensare allo stesso modo, ossia i cattolici si lasciano incantare dalla sirena marxista e perdono la loro identità.

Il filosofo tedesco Ernest Bloch (1885-1977) ha studiato meglio di tutti le modalità per presentare il comunismo in una salsa che seduce anche i cattolici: farli incontrare non sul piano della dottrina, ma su quello dell’azione e dei fatti contingenti (la pace, la fame nel terzo mondo, le ingiustizie sociali …). Solo così si potrà convertire i cristiani al comunismo dapprima pratico e poi anche teoretico (cfr. E. Bloch, Karl Marx, tr. it., Bologna, Il Mulino, 1972).
Se Marx aveva presentato la religione come “l’oppio dei popoli”, Bloch  opera una distinzione tra
a) religione cattiva, che è quella tradizionale, la quale crede in un Dio personale e trascendente e predica l’accettazione paziente delle sofferenze, e,
b) religione buona, che è quella progressista, la quale attende il “messia” su questa terra dopo la rivoluzione dei poveri contro i ricchi.
I “credenti” progressisti debbono essere affiancati dal comunismo e poi convertiti tramite l’azione comune (cfr. E. Bloch, Ateismo nel Cristianesimo, tr. it., Milano, Feltrinelli, 1976). Bloch ha gettato un ponte tra Cristianesimo e comunismo ed ha abbattuto i bastioni che difendevano il primo dalle insidie del secondo, quindi il ponte è stato percorso a senso unico, ossia solo dal Cristianesimo verso il marxismo pratico.

Palmiro Togliatti a Bergamo il 20 marzo 1963 ha fatto un discorso in cui, rifacendosi ad Antonio Gramsci, ha proposto la de-ideologizzazione, invitando cattolici e comunisti a non scontrarsi su questioni di dottrina, ma ad agire assieme per la pace del mondo, evitando assolutamente “sterili diatribe dottrinali” (L. Gruppi, Antologia del compromesso storico, Roma, Editori Riuniti, 1977, P. Togliatti, Il destino dell’uomo,  pp. 244 ss.).
Ebbene questo è lo stesso programma proposto da Francesco I: de-ideologizzare, incontrarsi, costruire ponti, abbattere steccati, evitare sterili diatribe dottrinali, agire assieme e poi pensarla inavvertitamente alla stessa maniera. 

Così il modernismo apparentemente moderatamente progressista, che oramai ha occupato l’apice dell’ambiente cattolico e ecclesiale, chiede ai cattolici fedeli alla Tradizione di agire uniti per vincere il materialismo, l’ateismo. Alcuni cattolici fedeli in buona fede si lasciano convincere e agendo assieme ai modernisti, realmente progressivi, anche se apparentemente moderati, finiscono per essere mangiati da loro, come “il pesce più piccolo è divorato da quello più grande”.
Poiché l’agitazione filantropico-umanitaria, mascherata da conservatorismo religioso, offrirà ai modernisti l’ambiente ideale per l’estensione del loro potere, mettendo a tacere la voce del “grillo parlante” rappresentato dal cattolico fedele.

Attenzione! Le insidie della “setta segreta modernista” (S. Pio X, motu proprio ‘Sacrorum Antistitum’, 1° settembre 1910) sono veramente simili a quelle della “setta comunista”. Per evitarle occorre domandare a Dio di avere le idee ben chiare e la forza di volontà per non cedere di fronte al labor certaminis e all’horror difficultatis. Infatti, dopo cinquanta anni di lotta contro un nemico abile, scaltro, nascosto e insidioso, si corre il rischio di lasciarsi andare e cedere alla tentazione dell’entrismo: “haec omnia tibi dabo, si cadens adoraveris me”.
Ab insidiis diaboli, libera nos Domine!
Purtroppo “lo stupido è il cavallo del diavolo” e il guaio più grande è quando lo stupido si prende per una volpe e fa la fine del pollo.
Il 1979 (“Concilio alla luce della Tradizione”, che invita al dialogo),
il 1984 (“Indulto” doloso),
il 2005 (“ermeneutica della continuità”, che ri-invita al dialogo),
il 2007-2011 (“motu proprio” che è praticamente ritornato all’“Indulto doloso”)
non gli insegnano nulla: egli continua a voler conciliare l’inconciliabile, a stringere la mano tesa.

Ora occorre attendere e vedere quale sarà la mossa di Francesco I verso il mondo della Tradizione, ma la sua personalità lascia intravedere che la politica della distensione e della mano tesa continuerà.

Francesco I non è per la Teologia della Liberazione, anche se essa – per lui – non è totalmente condannabile ed ha dei “lati positivi” (p. 78), quindi è solo “segnalabile” (p. 78). C’è sempre un “ma” o un “anche se” nel suo pensiero. Nulla è chiaro, preciso, definito e netto, ma tutto è fluido, confuso, contraddittorio ed in continua evoluzione.

Il suo pensiero teologico sovente non corrisponde con quello della Chiesa. Infatti egli parla di “immoralità della pena di morte” (p. 83) e asserisce che “in pratica” il ‘Catechismo della Chiesa Cattolica’ (‘CCC’) ha dichiarato l’abolizione di essa (ivi). Invece il ‘CCC’ ha dichiarato che in sé la pena di morte non è immorale ma che de facto o in pratica occorre abolirla poiché non più al passo con i tempi e la dignità della persona umana.
Bergoglio riguardo a questa distinzione del ‘CCC’ sulla pena di morte ha esplicitato una parte e negato l’altra, tranne un’eccezione significativa per i gerarchi tedeschi del III Reich processati e condannati all’impiccagione a Norimberga nel 1946: “non sono favorevole alla pena di morte, ma era la legge del momento ed è stata la riparazione che la società ha preteso” (p. 133). 

Il suo pensiero è intriso di antropocentrismo. Infatti parla di “trascendenza [dell’uomo, ndr], che guarda a Dio e rende possibile la trascendenza  verso gli altri [uomini e creature, ndr]”. Perciò anche l’ateo “può trascendere, attraverso gli altri [uomini credenti, ndr], evitando l’isolamento” (p. 109).
Invece la Trascendenza vera è quella di Dio, che sorpassa infinitamente ogni creatura essendo Egli il Creatore, che fa partecipare del suo Essere per essenza tutte le creature, che sono enti per partecipazione; in breve il mondo è un ente finito subordinato ad una Causa incausata e Trascendente, che trae dal nulla l’universo intero (cfr. S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I, q. 2, a. 3).
Al contrario papa Bergoglio confonde Trascendenza con immanentismo e solidarietà tra uomini, il suo “dio” non è l’Atto puro, l’Essere stesso sussistente per sua Essenza, ma sembra piuttosto il “Grande Architetto dell’Universo”.
La mancanza di identità, per Francesco I, lungi da essere un difetto, una mancanza, è una ricchezza perché rende possibile l’incontro con l’altro, il diverso: essa “non guarda all’indietro [Tradizione, ndr], ma si focalizza sul futuro” (ivi).

Infine recentemente Francesco I ha negato che la moltiplicazione dei pani sia stato un miracolo asserendo il 17 maggio: “In particolare in quello dei pani e dei pesci, i quali  non si moltiplicarono […], ma semplicemente non finirono. […]. Quando uno dice ‘moltiplicare’  può confondersi e credere che faccia una magia” (www.zenit.org).

Questo è solo l’inizio del Pontificato di Francesco I. Per portare un giudizio più fondato e sicuro occorre attendere i suoi primi atti ufficiali, ma il giorno si vede dal mattino…

NOTE

1
- P. PARENTE, Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, voce “Sentimento religioso”, pp. 384-385. Cfr. C. FABRO, voce “Esperienza religiosa”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. V, coll. 602-607.2 - Nel “Nuovo Ordine Mondiale” abbiamo assistito a) politicamente alla nascita di post-comunisti, di post-fascisti, di post-democristiani, che sono confluiti nel calderone della “Repubblica Universale”; b) spiritualmente alla Babele di Assisi (I, II e III), in cui le varie religioni hanno rinunciato a ciò che le divideva per occuparsi di ciò che le unisce e darà luogo al “Tempio Universale”.  Perciò i “post-tradizionalisti” sono quella fetta del mondo antimodernista che aveva rifiutato gli errori della modernità e post-modernità per restare attaccati alla Tradizione apostolica e al Magistero costante e tradizionale della Chiesa, ma che da qualche anno scalpita per aggiornarsi ed uscire dal “ghetto” onde avere un posto nella “buona” società civile ed ecclesiale, sentirsi “normali” e bene accetti, a condizione di annacquare un pochino e solo a parole la propria identità. Per fare un esempio, il giovane José, martire cristero, che nel film messicano “Tra il Cielo e la terra” sulla Cristiada, viene condannato a morte e torturato, di fronte alle istanze del suo aguzzino e poi, ancora più pericolose, del suo padrino che gli suggerisce: «basta che tu dica “morte a Cristo Re, viva il Governo federale”, tanto sono solo parole» risponde: «non posso, viva Cristo Re!» e si fa uccidere, ma va diritto in Cielo, rispecchia esattamente la scena che si sta svolgendo sotto i nostro occhi in questi anni. Basta che diciate “accetto il Vaticano II, non critico il Novus Ordo Missae”, tanto sono soltanto parole! Così entrerete nel bel mondo del “Nuovo Ordine Mondiale” in cui sarete rispettati come bravi “cittadini”, dice il “padrino” ai “tradizionalisti”… Che Dio ci conceda la forza di poter rispondere “non posso, viva Cristo Re!”.

3 - P. PARENTE, Dizionario di Teologia dommatica, voce “Esperienza religiosa”, Roma, Studium, IV ed., 1957, pp. 144-145.

4 - P. PARENTE, Dizionario…, cit., voce “Subcoscienza”, pp. 401-402. Cfr. P. PARENTE, L’Io di Cristo, Brescia, 1951; ove parla anche delle più recenti aberrazioni dello psicologismo sul terreno cattolico, da p. 311 a p. 460 della 3a ed., Rovigo, Istituto Arti Grafiche, 1981. Gli autori criticati sono: Günther e Rosmini, K. Rahner, E. Schillebeeckx, B. Schoonenberg, Küng, Teilhard de Chardin, Carlo Molari e Jean Galot.

sabato 15 giugno 2013

L'impossibile riconciliazione

L'impossibile riconciliazione
Presentazione di Don Olivier Rioult, FSSPX



del suo libro dallo stesso titolo

e del libro di
Don François Pivert

 
Nos rapports avec Rome 


Pubblicato sul sito francese La Sapiniére






Cari fedeli,

ecco dunque due libri che spiaceranno al Grande Fratello. Per la mia sicurezza mi sono ridotto a presentarli con questa finzione. Il Politburo è in piena attività. Il Commissario politico Thovonof cerca giorno e notte i nemici del partito. Io non indietreggio davanti ad alcuna repressione. Voi sapete che ci sono dei Superiori che subiscono delle pressioni enormi da parte del Commissario, perché approvino dei testi scritti da lui. Menzingen governa male, ma si difende bene!

In un anno: un vescovo espulso, molti sacerdoti cacciati (Pfeiffer, Chazal, Hewko, Voigt, Trincado, …) e più di una dozzina messi in un canto senza ministero (Buffet, Doran, Entsfellner, Faure, Isaguirre, Ortiz, Pinaud, Salenave, Vargas, Zaby… e il vostro servitore).

Che fare? Dobbiamo nasconderci e tacere?
Ma di che dovremmo vergognarci? Di niente!
E allora, non abbiamo più paura di gridare la verità dai tetti. È la verità che rende liberi. Facciamo come Don Pivert. Togliamoci le maschere e agiamo alla luce del sole come figli della luce.

Grazie al libro di Don Pivert, attraverso mille citazioni conosciute e sconosciute di Mons. Lefebvre, si riscopre la nostra religione in ciò che essa ha di essenziale: Nostro Signore è Dio e Re. Si comprende meglio la nocività dei cattolici liberali, che tradiscono il Regno di NSGC, e la loro oggettiva complicità con i nemici della divinità di Cristo.

Ma, stranamente, l’autore, invece di essere lodato dalla Casa Generalizia, ha ricevuto dei biasimi. Incredibile!
I giudizi di Mons. Lefebvre imbarazzano fino a questo punto Menzingen?
Il Politburo pretenderebbe di censurare certe parole di Mons. Lefebvre?  Come per esempio:

(1975) «Che rimane di intatto della Chiesa preconciliare? […] Il più grande servizio che possiamo rendere alla Chiesa cattolica è rifiutare la Chiesa riformata e liberale…»
(1976) «Ve l’ho detto, carissimi fratelli, ciò che ha fatto la Rivoluzione è niente a confronto di ciò che ha fatto il concilio Vaticano II, niente!»
(1978) «Non abbiamo paura di dire che questo ecumenismo viene dritto dritto dalle logge segrete della Massoneria
(1988) «È una necessità assoluta studiare il liberalismo e comprenderlo bene e io penso che molti di quelli che ci hanno lasciato per riunirsi a Roma, cosiddetta, non hanno capito che cosa sia il liberalismo e come le autorità romane, da dopo il Concilio, siano infestate dei suoi errori.»
(1991) «L’instaurazione di questa “Chiesa conciliare” imbevuta dei principii dell’89, dei principii massonici riguardo alla religione e alle religioni e riguardo alla società civile, è un’impostura ispirata dall’Inferno per la distruzione della religione.»

Grazie al lavoro di Don Pivert, si comprende che è questa fede di Mons. Lefebvre in Cristo Re, e il suo eroico amore per questa verità trascendente, che hanno protetto la Tradizione dalle trappole della Roma modernista.

In effetti, dal 1971 al 1988, Mons. Lefebvre aveva sperato di poter conciliare la proclamazione e la difesa di questa fede con un accordo pratico con la Roma ufficiale e liberale. Ma nel 1988, capì che questo era illusorio: confesserà lui stesso che il giudizio di certi fedeli accorti era stato giusto: i suoi approcci con Roma erano pericolosi e una perdita di tempo; egli dirà: «Credo di poter dire di essermi spinto più lontano di dove sarei dovuto andare.»

Dal 1988 al 1991, egli trasse lezione dal passato e fece il bilancio per l’avvenire:
1) Porrò delle condizioni a livello dottrinale, con la ritrattazione degli errori liberali: altrimenti, niente discussioni (non parla neanche di accordo, ma di discussioni!)
2) Oggi, noi siamo di fronte ad un’altra religione; essi non hanno più la fede nel soprannaturale; la Chiesa ufficiale è diretta da principii che non sono più cattolici: si rimpiazza la religione con un’altra religione, è a questo che assistiamo attualmente, dirà Mons. Lefebvre ai seminaristi di Ecône l’11 febbraio 1991.

Sfortunatamente, dopo la morte di Mons. Lefebvre, dei confratelli, dei Superiori maggiori, non hanno voluto o non hanno avuto il coraggio eroico del nostro fondatore, per continuare sulla sua scia. A poco a poco, essi hanno voluto trascinare la Tradizione in un accordo pratico, mettendo tra parentesi la dottrina e gli errori liberali, per riprendere un’espressione di Don Lorans in occasione di una conferenza a Saint-Malo nel 2011.
Nel 2006, la parte sana della Fraternità aveva bloccato questa politica infedele: si era scolpito sulla pietra il giudizio di Mons. Lefebvre di fronte all’apostasia apocalittica: nessun accordo pratico senza accordo dottrinale o, in altre parole, nessun accordo pratico prima della conversione di Roma; conversione che dev’essere pubblica ed evidente e si concretizzerà con la pubblica condanna degli errori liberali, come hanno fatto tutti i papi prima del Vaticano II.

Sfortunatamente, nel 2012, Mons. Fellay, motu proprio, ha gettato nella spazzatura questo principio e ha tentato una impossibile riconciliazione; da cui il titolo del nostro libro. La riconciliazione degli inconciliabili, infatti, è impossibile; si assisterà sia ad una conversione di Roma, sia ad un tradimento della Fraternità.
È da dopo quel momento che la Fraternità ha perso la sua unità e che non funzione più niente. Mons. Fellay ha cercato di metterci sotto il potere della Chiesa ufficiale, nonostante tutti i segni indicavano che essa era, non tanto convertita a Cristo Re, quanto decisamente opposta al Suo Regno.

Questi problemi, se sono esplosi in pubblico da recente, non sono nati un bel giorno di giugno 2012. Questa folle operazione suicida è stata il frutto di una lunga preparazione e di un intenso desiderio di certi membri della Fraternità.

Questo libro vi mostrerà come tutto è cominciato col pellegrinaggio della FSSPX per il Giubileo del 2000. Quell’anno, Mons. Fellay rilasciò un’intervista a 30 Giorni, in cui diceva che «se il Papa chiama, io corro. Questo è certo. Per obbedienza filiale nei confronti del capo della Chiesa.» In questa risposta si trovano in germe tutti gli avvenimenti che si susseguiranno nel corso degli anni seguenti.
In questa intervista, Mons. Fellay confessa anche che «occorre essere realisti», «che Roma» non potrà mai dire: ci siamo sbagliati col concilio Vaticano II, ma «Il Vaticano è in grado di trovare la formula appropriata» per intendersi, che «Non ci sarebbe bisogno di dire che sono stati commessi degli errori con la nuova Messa: sarebbe sufficiente concedere a tutti i preti che lo desiderano la possibilità di celebrare la Messa secondo il rito che preferiscono», ecc.

Questo libro è diviso in tre parti.

Una prima parte molto corta: le 10 frasi del nostro fondatore da ricordare a proposito del nostro argomento.
La seconda parte è un memento cronologico e sintetico dei documenti degli anni 2000-2012, che acquistano tutta la loro chiarezza grazie agli avvenimenti recenti.
La terza parte riguarda i testi storici del periodo 2012-2013: certi sono inediti, altri sono stati diffusi su Internet; ma bisogna rimetterseli sotto gli occhi, poiché sono sia troppo importanti sia troppo misconosciuti. L’azione sul web è troppo veloce per l’intelligenza. Questi documenti di qualità sono atemporali e tuttavia devono nutrire la nostra intelligenza e aiutarci per una vita contemplativa e amorevole per la verità verso la più grande unione con Dio.

Questo libro ci aiuterà a ricordare come nell’anno 2000, il cardinale Castrillon parlasse già della Fraternità come di una «società di Vita Apostolica con rito speciale; del protocollo firmato da Ratzinger e Mons. Lefebvre e della remissione delle scomuniche.

Nel 2001, il Consiglio generale dà il suo consenso ai negoziati, ponendo solo due “condizioni preliminari”, ma poco tempo dopo Mons. Fellay precisò che “A propriamente parlare, non si tratterebbe di condizioni preliminari, come è stato scritto qui e là: un cattolico non può sottoporre Roma a delle condizioni!”.

Questo libro vi ricorderà come per i sacerdoti di Campos, questo contatto ufficiale fu l’inizio della fine… che sfociò nell’accordo del 2002.
Come alla fine di un incontro, nel 2005, Benedetto XVI e Mons. Fellay fossero giunti a «convenire di procedere per tappe nella risoluzione dei problemi».
Come, nel 2007, Mons. Fellay, parlando di “sottile e maldestra distinzione”, abbia edulcorato l’ambiguità blasfema e demoniaca del Motu Proprio di Benedetto XVI, che parla di forma ordinaria e straordinaria dello stesso rito, per indicare la Messa bastarda e la Messa tridentina (Lettera agli amici e benefattori n° 71 del 1 novembre).
In realtà, nel 2002, in una conferenza a Kansas City, Mons. Fellay pensava che «la legge generale della Chiesa» è «la nuova Messa» e chiedeva unicamente «che la Messa antica fosse anch’essa la legge generale».

Si ricorda anche il discorso del cardinale Castrillon a Mons. Fellay, a cui spiegava che «soggettivamente voi siete convinti di aver agito giustamente e dunque niente mancanze, niente sanzioni, niente scomuniche. Ma all’esterno vi è un fatto oggettivo, c’è stato quest’atto che ha dato l’impressione di una “ribellione” contro Roma, ed è a questo titolo che c’è stata una censura. Dunque bisogna toglierla.»

Questo libro vi ricorda che nel gennaio del 2009, il cardinale Castrillon confidava alla stampa italiana: «Una cosa è certa: la piena comunione arriverà. Nelle nostre conversazioni, Mons. Fellay ha riconosciuto il concilio Vaticano II, l’ha riconosciuto teologicamente. Rimangono solo alcune difficoltà.»
Cosa che spiega la manipolazione dei comunicati operata dalla Casa Generalizia nel 2009 a proposito della remissione della scomunica; Mons. Fellay aveva scritto: «accettiamo e facciamo nostri tutti i concilii fino al Vaticano II…», mentre a noi si è fatto credere che in realtà avesse scritto: «accettiamo e facciamo nostri tutti i concilii fino al Vaticano I…».
«La prima versione è vera, la seconda è una traduzione ad uso dell’opinione pubblica della FSSPX», confessa un moderno ben informato. Ecc., ecc. ecc.

Per arrivare al 13 giugno 2012. Mons. Fellay era pronto a firmare con Roma un accordo basato sulla sua lettera: « bisogna dire che si era d’accordo e al tempo stesso non si era d’accordo». Cosa che significa negare il principio di non contraddizione! Oggi questa lettera è conosciuta: si sa che Mons. Fellay ha pensato l’impensabile. Nessuno poteva immaginare che un sacerdote formato a Ecône e un vescovo consacrato da Mons. Lefebvre potesse arrivare a pensare ciò che egli ha scritto. E Mons. Fellay non rimpiange alcunché, se non il «contesto attuale della Fraternità» che gli ha impedito di firmare!

Infine, non dimentichiamo che l’ultimo documento ufficiale sui rapporti fra Roma e la Fraternità è quello della dichiarazione della Commissione Ecclesia Dei del 27 ottobre 2012:

Città del Vaticano, 27 ottobre 2012 (VIS). La Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” coglie l’occasione per annunciare che, nella sua più recente comunicazione (6 settembre 2012) la Fraternità sacerdotale di S. Pio X ha indicato di aver bisogno per parte sua di ulteriore tempo di riflessione e di studio, per preparare la propria risposta alle ultime iniziative della Santa Sede. […] Attualmente la Santa Sede è in attesa della risposta ufficiale dei Superiori della Fraternità sacerdotale a questi due documenti. Dopo trent’anni di separazione, è comprensibile che vi sia bisogno di tempo per assorbire il significato di questi recenti sviluppi.

Certuni diranno:
A) Mons. Fellay non ha firmato, quindi non c’è più problema.

Risposta: Quando i Berlinesi sentirono parlare del progetto di costruzione del muro di Berlino, che li avrebbe rinchiusi fisicamente entro un regime perverso, i più lucidi non dissero: partirò da Berlino solo quando vedrò il muro finito con le porte chiuse e controllate dai mitragliatori, solo allora mi rifiuterò di farmi rinchiudere. No! Essi al contrario, mentre erano ancora in tempo, fecero di tutto per sfuggire alla trappola loro tesa. Noi abbiamo fin troppe dichiarazioni private e pubbliche per conoscere il progetto e il pensiero conciliatore di Menzingen, dunque dobbiamo agire senza aspettare di essere rinchiusi nella Chiesa conciliare.

Altri diranno:
B) Mons. Fellay dice adesso che non ha voluto e che non vuole firmare prima della conversione di Roma.

Risposta: E come gli si può credere? Come dare la minima fiducia alle sue parole di oggi viste le sue azioni e le sue parole di ieri? Nello spazio di sei mesi Mons. Fellay è passato dal discorso di giugno 2012, che giustifica una soluzione canonica prima di una soluzione dottrinale… col pretesto che l’attitudine della Chiesa ufficiale sia cambiata e che bisogna mettere da parte i problemi secondarii (gli errori del Concilio) per occuparsi dei problemi principali… al discorso di maggio 2013, nel quale la situazione della Chiesa rimane invariata e il Concilio torna ad essere l’agente principale della distruzione della Chiesa.
Due giudizi contraddittorii! In sei mesi! Su un argomento del genere! Per bocca di un sacerdote formato da Mons. Lefebvre! Ci si prende in giro! Ci si prende in giro!

Recentemente, nel maggio 2013, ad una comunità di suore contrarie all’accordo, Mons. Fellay dice che non v’è più possibilità di un accordo con Roma, che dopo le ultime discussioni è finita; ma lo stesso giorno, a dei confratelli piuttosto propensi ad un accordo, Mons. Fellay dice che aspetta che Francesco operi una pulizia nella Curia per riprendere un approccio.
È finita, ma si ritenta!
Sempre lo stesso doppio linguaggio e lo stesso desiderio legalista nei confronti della Roma ufficiale. Ed è del tutto strano che Mons. Fellay non veda oggi ciò che Mons. Jouin vedeva già 100 anni fa: un movimento in direzione di una religione universale, in cui cooperano Benedetto, Francesco e la loro banda. Citiamo:
«Lo abbiamo già detto, l’impresa più pericolosa delle sette [massoniche] non è la brutale distruzione della religione cristiana, come vediamo che è perseguita dalle bande forsennate dei senza Dio [Holland…], ma la disgregazione di questa religione per mezzo di un’interpretazione puramente umana dei suoi dogmi e dei sui comandamenti [Benedetto e Francesco…]. Ci si serve degli stessi segni, ma dando loro un significato differente. A questo punto, non si tratta più di distruggere le religioni, ma di confonderle: con l’incontro sullo stesso percorso dei preti delle diverse confessioni, con l’alternarsi al microfono del parroco e del rabbino, con la celebrazione simultanea dello stesso evento in chiesa e nel tempio. […] Fino allo stabilimento, un po’ la volta, di una religione comune a tutti gli uomini.» (Mgr Jouin – Vers une religion universelle, R.I.S.S., 1933, riedizione del 2000, p. 13).

Vi lascio scoprire il resto…

Conclusione: Ecco due libri da leggere assolutamente nelle vacanze. E da far circolare, per uscire da questo torpore mortale del nostro piccolo mondo cattolico. Sacerdoti e fedeli che per rimanere tranquilli, chiudono gli occhi!

1) Abbé Pivert, Nos rapports avec Rome
da richiedere a Moulin du Pin, 53290 Beaumont de Bœuf (pp. 360, 22 Euri)

2) Abbé Rioult, L’impossible réconciliation
da richiedere a Editions Ste Jeanne D’arc, 18260 Villegenon (pp. 176, 16 Euri).

Come diceva un buon Padre in seminario: noi siamo la Chiesa militante, non la Chiesa dormiente.
E Mons. Lefebvre ci diceva, e ci dice ancora: «Voi vivete in un’epoca in cui bisogna essere degli eroi o niente. Potete scegliere: o abbandonare la battaglia o combattere da eroi.»

Che Dio ci venga in aiuto. E gloria per tutti secoli al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.

Grazie.

Don Olivier Rioult

lunedì 10 giugno 2013

Il miracolo eucaristico di Buenos Aires

Una Signora che fa scoop religiosi si è lamentata con me perché poco correttamente e poco seriamente avrei riportato questo articolo che, in realtà, lei reclama essere un suo scoop.
Quindi, scusandomi per aver carpito il suo scoop, (che io in realtà ho ripreso da altro sito) lo restituisco al suo legittimo possessore (anzi traduttore) affinchè possa rifulgere a sua maggior gloria e possa così lodarsene:
Sig.ra Paola Di Lillo
 
Non citerò invece il suo sito perché nocivo (medjugoriano)!
Tanto era dovuto a Maggior Gloria di Dio...però!
 



Il miracolo eucaristico di Buenos Aires

[e il Sacro Cuore di Gesù]

di Fr. M. Piotrowski SChr




Questo articolo di Fr. M. Piotrowski SChr, Eucharistic Miracle in Buenos Aires, è stato pubblicato sul sito Love one another.
Si può ascoltare parte della conferenza tenuta dal Dott. Castañon, citato nell'articolo, a questo indirizzo. Nonostante la conferenza sia in spagnolo, non è difficile seguire ciò che vi si dice.





Questo miracolo eucaristico induce a qualche considerazione circa il “basso profilo” tenuto dal cardinale di Buones Aires, Jorge Mario Bergoglio, già nel lontano 1999 e in questi ultimi tredici anni.

Qualcuno dice che la condizione attuale del mondo e della comprensione degli uomini, incentrati principalmente sulla comunicazione di massa, che è sostanzialmente anticattolica, possono suggerire una qualche cautela sulla divulgazione di fatti miracolosi come questi, se non altro per evitare la campagna denigratoria che finirebbe col provocare.

Tuttavia, non si può evitare di ricordare che eventi come questi, legati, ovviamente, alla volontà di Dio, hanno il duplice scopo di rafforzare la fede dei cattolici e di stimolare l'aquisizione della fede da parte dei non cattolici.
Se a questo si aggiunge che il messaggio evangelico è di per sé “scandaloso”, proprio in forza della particolare natura dei tempi, oggi come ieri, si è costretti a ricordare alla Gerarchia almeno due dei passi confacenti, di San Paolo a Timoteo:


Devi anche sapere che negli ultimi tempi verranno momenti difficili. Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, senza religione, senza amore, sleali, maldicenti, intemperanti, intrattabili, nemici del bene, traditori, sfrontati, accecati dall'orgoglio, attaccati ai piaceri più che a Dio, con la parvenza della pietà, mentre ne hanno rinnegata la forza interiore. Guardati bene da costoro! (II Timoteo 3, 1-5).

Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero. (II Timoteo 4, 1-5).


L’affievolirsi della fede nella Presenza Reale di Cristo Risorto nell'Eucaristia è uno degli aspetti più significativi della corrente crisi spirituale.
Gesù vuole rafforzare la nostra fede nella Sua Presenza Eucaristica. È per questo che, di volta in volta, nella storia della Chiesa Cattolica Egli ci dà dei segni-miracoli eucaristici che sottolineano chiaramente il fatto che Egli, lo stesso Signore Risorto nel mistero della Sua divinità e della Sua umanità glorificata, è realmente presente nell’Eucaristia.
Il più recente miracolo eucaristico riconosciuto dalle autorità della Chiesa si è verificato nel 1996 nella capitale dell’Argentina, Buenos Aires.

Un’Ostia consacrata diventa carne e sangue

Alle 7 di sera il 18 agosto del 1996, padre Alejandro Pezet stava celebrando la Santa Messa in una chiesa cattolica nel centro commerciale di Buenos Aires. Mentre stava finendo di distribuire la Santa Comunione, si avvicinò una donna per dirgli che aveva trovato un’ostia su un candelabro sul retro della chiesa.
Recatosi sul posto indicato, padre Alejandro vide l’Ostia profanata. Dal momento che non poteva consumarla, la mise in un contenitore con dell’acqua che ripose nel tabernacolo, della cappella del Santissimo Sacramento.

Lunedì, 26 agosto, all’apertura del tabernacolo, vide con stupore che l’Ostia si era trasformata in una sostanza sanguinolenta. Informò quindi il cardinale Jorge Bergoglio, che diede istruzioni perché l’ostia fosse fotografata da un professionista.

Le foto furono scattate il 6 settembre. Essi mostrarono chiaramente che l’Ostia era diventata un frammento di carne insanguinata ed era cresciuta di dimensioni in modo significativo.

Per diversi anni l’Ostia rimase nel tabernacolo e su tutta la vicenda fu mantenuto un rigoroso segreto. Dal momento che l’ostia non subiva alcuna visibile  decomposizione, il cardinale Bergoglio decise che fosse analizzata scientificamente.

Il 5 ottobre 1999, alla presenza dei rappresentanti del cardinale, il Dott. Castañon prelevò un campione del frammento insanguinato e lo inviò a New York per l’analisi. Per non pregiudicare l’esame, egli decise di non informare il gruppo di scienziati della provenienza del campione.

Uno di questi scienziati era il dottor Frederic Zugibe, ben noto cardiologo e medico legale. Questi stabilì che la sostanza analizzata era realmente carne e sangue contenente DNA umano.
Zugibe testimoniò che

il materiale analizzato è un frammento di muscolo cardiaco della parete del ventricolo sinistro in prossimità delle valvole. Questo muscolo è responsabile della contrazione del cuore. Si tenga presente che il ventricolo cardiaco sinistro pompa sangue a tutte le parti del corpo. Il muscolo cardiaco è infiammato e contiene un gran numero di globuli bianchi. Questo indica che il cuore era vivente al momento del prelievo del campione. La mia tesi è che il cuore era vivo, visto che i globuli bianchi muoiono al di fuori di un organismo vivente. Hanno bisogno di un organismo vivente, per sostenersi. Così, la loro presenza indica che il cuore era vivo quando è stato prelevato il campione. Per di più, questi globuli bianchi avevano penetrato il tessuto, il che indica inoltre che il cuore era stato sottoposto ad un forte stress, come se il suo possessore fosse stato picchiato duramente sul petto.

Due australiani, il giornalista Mike Willesee e l’avvocato Ron Tesoriero, assistettero a questi esami. Sapendo da dove proveniva il campione, rimasero sbalorditi dalla testimonianza del Dott. Zugibe.
Mike Willesee chiese allo scienziato quanto tempo i globuli bianchi potrebbero rimanere in vita, se fossero derivati da una parte di tessuto umano che era stato tenuto in acqua.  E il Dott. Zugibe rispose subito che avrebbero cessato di esistere in una manciata di minuti.
A quel punto, il giornalista spiegò al medico che il campione proveniva da una sostanza che era stata tenuta per un mese in acqua normale e successivamente, per altri tre anni, in un contenitore di acqua distillata; solo allora era stato prelevato il campione per l’analisi. Il Dott. Zugibe rispose che non era in grado di dar conto di un fatto del genere: non c’era modo di spiegarlo scientificamente.
Fu a quel punto che Mike Willesee informò il Dott. Zugibe che il campione analizzato proveniva da un’Ostia consacrata (pane bianco azzimo), che si era misteriosamente trasformata in carne umana sanguinante.
Stupito da questa informazione, il Dott. Zugibe rispose:

Come e perché un’Ostia consacrata avrebbe cambiato la sua sostanza e sarebbe diventata carne e sangue umani viventi, rimarrà un mistero inspiegabile per la scienza, un mistero totalmente al di là delle sue competenze.
Solo la fede nella straordinaria azione di un Dio fornisce la risposta ragionevole; fede in un Dio che vuole renderci consapevoli che Egli è realmente presente nel mistero dell’Eucaristia.

Il Miracolo Eucaristico di Buenos Aires è un segno straordinario attestato dalla scienza. Attraverso di essa Gesù desidera suscitare in noi una viva fede nella Sua Presenza Reale nell’Eucaristia. Egli ci ricorda che la Sua Presenza è reale e non simbolica. Solo con gli occhi della fede Lo vediamo sotto le apparenze del pane e del vino consacrati. Non lo vediamo con gli occhi del corpo perché Egli è presente con la sua umanità glorificata. Nell’Eucaristia Gesù ci vede, ci ama e desidera salvarci.

In collaborazione con Ron Tesoriero, Mike Willesee, uno dei più noti giornalisti australiani (che si è convertito al cattolicesimo dopo aver lavorato sui documenti di un altro miracolo eucaristico) ha scritto un libro dal titolo Reason to Believe [La ragione di credere]. In esso egli presenta dei fatti documentati sui miracoli eucaristici e altri segni che chiamano le persone alla fede in Cristo che è presente e insegna nella Chiesa cattolica.
Essi hanno anche realizzato un film documentario sull’Eucaristia basata in gran parte sulle scoperte scientifiche connesse con l’Ostia miracolosa di Buenos Aires. Il loro obiettivo è stato quello di offrire una chiara presentazione dell’insegnamento della Chiesa cattolica sull’Eucaristia.
Il film è stato proiettato in numerose città australiane.

La proiezione ad Adelaide ha attirato una folla di duemila spettatori. Dopo la proiezione, nello spazio dedicato ai commenti e alle domande degli spettatori, un uomo visibilmente commosso annunciò che era cieco; saputo che si trattava di un film eccezionale, aveva tanto desiderato vederlo. Appena prima della proiezione, aveva pregato con fervore Gesù perché gli desse la grazia di poter vedere il film. Ed ecco che aveva ripreso a vedere, ma solo per i trenta minuti della durata del film. Alla fine della proiezione era tornato alla cecità di prima. A conferma della sua esperienza egli descrisse nei minimi dettagli alcune scene del film.
Si trattò di un evento incredibile che scosse i presenti fin nel più profondo del loro essere.

Attraverso tali segni mirabili, Dio chiama le anime alla conversione. Se Gesù provoca la trasformazione dell’Ostia in carne e sangue visibili, e fa sì che un muscolo responsabile della contrazione di un cuore umano,  un cuore che ha sofferto come quello di qualcuno che è stato picchiato duramente sul petto, se Egli opera tali cose, è al fine di suscitare e di accrescere la nostra fede nella Sua Presenza Reale nell’Eucaristia. In tal modo Egli ci permette di vedere che la Santa Messa è una ri-attualizzazione dell’intero dramma della nostra salvezza: la passione, la morte e la risurrezione di Cristo.
Gesù dice ai suoi discepoli: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete” (Gv 4, 48). Non c’è bisogno di cercare attivamente segni prodigiosi. Ma se Gesù sceglie di fornirceli, allora è opportuno che noi li si accetti con mitezza, cercando di capire che cosa Egli ci voglia dire con essi.
Grazie a questi segni molte persone hanno scoperto la fede in Dio, nell’Unico Dio che è la Santissima Trinità, che rivela a noi il Suo Figlio: Gesù Cristo, che dimora nei Sacramenti e ci istruisce attraverso la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa Cattolica.

Un mistero che va oltre la nostra comprensione

L’Eucaristia, la Presenza attuale della persona risorta di Gesù sotto le specie del pane e del vino, è una delle verità più importanti e più difficili rivelateci da Cristo. I miracoli eucaristici sono semplicemente delle conferme visibili di ciò che Egli ci dice di Se stesso: cioè che Egli ha ci dà realmente il Suo Corpo e il Suo Sangue glorificati come cibo e bevanda spirituali.

Gesù ha istituito l’Eucaristia, alla vigilia della Sua Passione, Morte e Risurrezione. Durante l’Ultima Cena, Egli «prese il pane e, pronunciata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”. Poi prese il calice, e dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati» (Mt 26, 26-28).
Quando Gesù prese e diede agli apostoli il pane e il vino, e disse: “questo è il mio corpo .... questo è il mio sangue”, Egli ha chiaramente significato che il pane e il vino che dava loro da mangiare e da bere erano veramente il Suo Corpo e il Suo Sangue, e non una sorta di simbolo.

In precedenza, nel famoso discorso eucaristico riportato da San Giovanni Evangelista, Gesù dice ai Giudei: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 6, 53-56).
Scioccati dalle parole di Gesù, i Giudei dissero: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?” (Gv 6, 52). Anche molti discepoli di Gesù ne furono scandalizzati: “questo linguaggio è duro”, obiettavano “chi può intenderlo?”.
Sapendo che la verità dell’Eucaristia era uno shock e uno scandalo per molti dei suoi ascoltatori, Gesù rispose, non ritrattando le sue parole, ma alzando la posta in gioco: «E se vedeste il Figlio dell’uomo risalire dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla. Le parole che vi ho dette sono spirito e vita» (Gv 6, 62-63).
Qui Gesù va al cuore del mistero, anticipando la glorificazione della Sua umanità attraverso le Sue morte, risurrezione e ascensione. Egli darà la Sua carne e il Suo sangue come cibo e bevanda dopo l’Ascensione, cioè quando la Sua carne e il Suo sangue saranno glorificati e divinizzati; non glorificata, infatti, “la carne non serve a nulla.”
Non tutti gli ascoltatori di Gesù accettarono il Suo insegnamento sull’Eucaristia. Così si rivolse loro, dicendo: «Ma vi sono alcuni tra voi che non credono. Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito» (Gv 6, 64). Il tradimento di Giuda è iniziato con il suo rifiuto dell’insegnamento di Gesù sulla Sua Presenza Reale nell’Eucaristia. A conferma di questo, Gesù disse: «“Non ho forse scelto io voi, i dodici? Eppure, uno di voi è un diavolo”. Egli parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: questi infatti stava per tradirlo, uno dei Dodici» (Gv 6, 70).

L'Eucaristia è lo stesso Gesù Risorto nella Sua glorificata, e quindi invisibile, umanità. Questa è l’essenza del suo insegnamento sull’Eucaristia (Gv 6, 62-63). Con la Sua morte e risurrezione, l’umanità di Gesù assume una natura divina; assume un nuovo ordine di esistenza: “È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2, 9). Nella sua umanità glorificata, Gesù risorto, diventando onnipresente, fa dono di se stesso nell’Eucaristia. Egli condivide con noi la Sua vita risorta e l’amore che di cui possiamo fare esperienza anche qui sulla terra circa la realtà del cielo e la partecipazione alla vita della Santa Trinità.

Nell’affrontare il mistero dell’Eucaristia, la ragione umana sente la sua impotenza e le sue limitazioni. Nella sua enciclica dedicata a questo sacramento, Giovanni Paolo II scrive: «È riproposta così la sempre valida dottrina del Concilio di Trento: “Con la consacrazione del pane e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo, nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questa conversione in modo conveniente e appropriato è chiamata dalla santa Chiesa cattolica transustanziazione”. Davvero l’Eucaristia è mysterium fidei, mistero che sovrasta i nostri pensieri, e può essere accolto solo nella fede, come spesso ricordano le catechesi patristiche su questo divino Sacramento. “Non vedere – esorta san Cirillo di Gerusalemme – nel pane e nel vino dei semplici e naturali elementi, perché il Signore ha detto espressamente che sono il suo corpo e il suo sangue: la fede te lo assicura, benché i sensi ti suggeriscano altro”» (Ecclesia de Eucharistia, 15).

L’Eucaristia è il miracolo e il dono supremo di Cristo, perché in esso Egli ci dona Se stesso e ci impegna nella sua opera di salvezza. Egli ci permette di partecipare alla Sua vittoria sulla morte, il peccato e Satana, ci fa partecipi della Sua natura divina e ci permette di  partecipare alla vita della Santissima Trinità.
Nell’Eucaristia noi riceviamo il “farmaco di immortalità, antidoto contro la morte”, come diceva giustamente sant’Ignazio d’Antiochia (Ecclesia de Eucharistia, 18).
Per questo motivo, la Madre Chiesa sostiene che ogni deliberata e liberamente voluta assenza dalla Santa Messa della Domenica è un’irrimediabile perdita spirituale, un segno della perdita della fede e, quindi, un grave peccato. Ricordiamo anche che «Se poi il cristiano ha sulla coscienza il peso di un peccato grave, allora l’itinerario di penitenza attraverso il sacramento della Riconciliazione diventa via obbligata per accedere alla piena partecipazione al Sacrificio eucaristico.» (Ecclesia de Eucharistia, 37).