mercoledì 18 aprile 2012

ACCORDO?

  Riporto questo breve articolo di Don Pierpaolo, a cui rinnovo le condoglianze, che descrive in maniera semplice cosa accade ad avere rapporti conciliari con questa gerarchia.

E' da molto tempo che vado sostenendo l'inevitabile fine degli istituti come il BP, la FSSP o anche i Francescani dell'Immacolata obbligati a sottostare ai propri vescovi modernisti, prima o poi saranno ridotti al silenzio.

 Istituto del Buon Pastore - La visita canonica, un monito


 
Buon PastoreIn questi ultimi giorni è apparso su internet il resoconto della visita canonica della commissione Ecclesia Dei all’Istituto del Buon Pastore. Questa comunità composta inizialmente da ex membri della Fraternità Sacerdotale San Pio X, fu riconosciuta da Roma con il privilegio di celebrare esclusivamente la Messa tradizionale e di poter apportare “una critica seria e costruttiva” al Concilio Vaticano II.
Le note che fanno seguito alla visita canonica mostrano chiaramente come la volontà della commissione Ecclesia Dei sia di ricondurre il Buon Pastore all’accettazione, almeno in via di principio, della liturgia moderna, nello spirito del Motu proprio Summorum Pontificum. Allo stesso modo si spinge a riconoscere la validità dell’insegnamento del Catechismo della Chiesa cattolica che sintetizza, con dottrina tradizionale, le novità del Concilio Vaticano II, in opposizione al magistero perenne della Chiesa. Nessuna volontà quindi di un ritorno alla tradizione ma pressioni progressive per amalgamare i “dissidenti” e ricondurli nel girone della “chiesa conciliare” e delle sue dottrine che devono essere insegnate nel seminario dell’istituto.
Il problema di coscienza che si pone per ogni cattolico, maggiormente per un sacerdote e per una comunità religiosa, è rinunciare ad opporsi al nuovo rito, e questo non per un attaccamento nostalgico alla liturgia tradizionale, ma perché, come lo ricordavano i Cardinali Bacci ed Ottaviani, “si allontana in maniera impressionante dalla teologia cattolica della Messa come è stata definita dal Concilio di Trento.”[1] Inaccettabili dal punta di vista della fede sono anche le nuove dottrine come quella sul valore salvifico di tutte le religioni; sull’ecumenismo e la non perfetta identità fra la Chiesa di Cristo e la Chiesa Cattolica; sulla libertà religiosa; sulla collegialità episcopale etc.
Una pubblica e coraggiosa opposizione a questi errori, senza ambiguità e malgrado qualunque persecuzione, oltre ad essere un dovere, è anche indispensabile per il bene della Chiesa poiché è così che si potrà contribuire a farla uscirà dalla terribile crisi che subisce oggi.
don Pierpaolo Maria Petrucci


[1] Lettera di accompagnamento al Breve esame critico del Novus Ordo Missae
 

sabato 14 aprile 2012

IGNORANZA O MALA FEDE DI ALCUNI AUTORI ?

Conseguentemente alla notizia dell’avvenuta consegna della chiarificazione sulla posizione dottrinale (Sic!) della FSSPX riguardo al famoso preambolo sono usciti alcuni articoli sul web dettati da ignoranza o ancor peggio da malafede.

Purtroppo in uno dei due casi, considerando il calibro del giornalista, mi riferisco al giornalista S. Magister, mi risulta difficile crederlo visto che non può trattarsi di un ignorante qual io sono.

Ma se io che sono un ignorante conosco queste cose, non può non saperlo un giornalista di tale caratura.

Vediamo come stanno le cose.

1)      L’articolo  di TM News:

L’autore o l’autrice scrive:



 I Lefebvriani stanno inviando in questi giorni una precisazione al Vaticano, in seguito ad una perentoria comunicazione diffusa dalla Santa Sede a metà marzo, e attendono, successivamente, un ulteriore pronunciamento vaticano: lo ha dichiarato da Parigi a 'Tmnews' il portavoce della fraternità sacerdotale tradizionalista l'abate Alain Lorans. "Stiamo comunicando la risposta al Vaticano, poi attendiamo una risposta del Vaticano", ha dichiarato il responsabile della comunicazione dei Lefebvriani, "solo dopo potremo comunicare ufficialmente con i giornalisti". Lo scorso 16 marzo il Vaticano aveva comunicato ai Lefebvriani che "non è sufficiente" la risposta precedentemente data dal gruppo scismatico, alle condizioni dottrinali fissate dalla Santa Sede (il cosiddetto 'preambolo')



Ora in questo articolo oltre allo scorretto e spregevole uso del termine “lefebvriano” che evidenzia una chiara ed ormai nota avversità ai Cattolici, dobbiamo notare l’uso solamente ignorante del termine scismatico non conoscendone l’autore non sappiamo se sia preparato in materia.

2)      L’articolo di Magister



Possiamo dire altrettanto del dott. Magister che così titola il suo articolo ?



 “Per il “lefebvriani” ultima chiamata all’ovile”



Il titolo oltre a riproporre la solita ostilità verso i cattolici, che comunque ringraziano per la possibilità di poter testimoniare la Verità contro la falsità, in mala fede parla di ovile perché è impossibile che egli non sappia che l’unico Ovile di Cristo è la Chiesa cattolica e non la pseudo chiesa che si sta formando nella gerarchia ecclesiastica, quella stessa che egli ha evidenziato nell’articolo sui NC, ora se lui ritiene facenti parte della chiesa i NC le cose sono due o la chiesa è quella dei NC e non ne fanno parte i “lefevriani” oppure è solo quella cui appartengono quest’ultimi.

Poi subito dopo scrive:



Altrimenti è scisma. Ma Roma farà di tutto per evitare l'irreparabile. Dall'Australia, il teologo John Lamont spiega che una riconciliazione è possibile.



Passi l’articolo dell’anonimo di TM News ma quella del dott. Magister può essere effettivamente ignoranza?

Mi sembra impossibile che Megister non sappia che è’ la parte che si separa dal tutto e non il tutto che separa la parte.

Mi spiego se io chiedo il divorzio da mia moglie non è lei che si separa da me, ma sono io che mi separo da lei.

In questo caso Roma non può dire siete separati perché è come se io dicessi a mia moglie non ti voglio più separati da me, lei direbbe, a ragione, separati tu io non voglio!

Ora qualcuno potrebbe dire:” Eh si però loro dicono di non volersi separare ma di fatto lo sono e allora la santa sede li dichiara scismatici”.

Ma in questo caso, nel caso del dott. Magister, non si può pensare che non sappia il significato di scisma.

A volte le cattive intenzioni e l’odio di tanti  si manifestano proprio dietro l’uso del termine “scismatico” ormai abolito, come il termine eretico, proprio dal Concilio Vaticano II a favore di “fratello separato” in seguito a questo falso ecumenismo come ebbe a dire l’ 1/12/1962 Mons. Carli nell’assise, alla faccia della coerenza e dell’obbedienza.

Lo scisma infatti come dice Sant’Agostino " è il compiacersi della separazione dall'assemblea dei fedeli, pur conservando le convinzioni e il culto di tutti gli altri”.

Mi sembra evidente che la FSSPX non solo non si compiace di ciò, anzi, ma oltre tutto non né ha mai avuto l’intenzione.

Il dott. Magister ricorderà la fondamentale lettera che scrisse Mons. Lefebvre il 6/06/1987 ai sacerdoti prova inconfutabile della sua fedeltà e lealtà verso il papato.

Già perché appunto nel peccato grave di scisma, che è un peccato contro la Carità è l’intenzione che conta, insegna San Tommaso che in campo morale è per se l'atto intenzionale, mentre le cose preterintenzionali sono quasi per accidens.
Quindi il peccato di scisma è un peccato speciale per il fatto che con esso uno intende separarsi dall'unità prodotta dalla carità.
Separarsi
Quest'ultima però non solo unisce una persona con l'altra attraverso il vincolo dell'amore, ma unisce anche tutta la Chiesa nell'unità dello spirito.
Perciò sono detti propriamente scismatici coloro che spontaneamente e intenzionalmente si separano dall'unità della Chiesa, che è l'unità principale: infatti le unioni particolari che alcuni stabiliscono tra loro sono ordinate all'unità della Chiesa, come la compagine delle singole membra è ordinata all'unità di tutto il corpo.
Ma l'unità della Chiesa comporta due aspetti: la connessione reciproca dei suoi membri e l'ordine di tutti i membri della Chiesa rispetto a un unico capo, come si rileva dall'espressione di S.
Paolo [Col 2, 18 s.]: "gonfio di vano orgoglio nella sua mente carnale, senza essere stretto invece al capo, dal quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legami, realizzando così la crescita secondo il volere di Dio".
Ora, questo capo è Cristo medesimo, di cui fa le veci nella Chiesa il Sommo Pontefice.
Si dicono quindi scismatici coloro che rifiutano di sottomettersi al Sommo Pontefice, e che ricusano di comunicare con i membri della Chiesa a lui soggetti.

Se il peccato di scisma quindi avviene intenzionalmente rompendo il vincolo dell’unità della Chiesa sotto l’aspetto della Carità o di governo in che modo si può dire scismatica la FSSPX?

Ora è evidente che nulla di tutto ciò può attribuirsi alla FSSPX, essi infatti celebrano la Santa Messa una cum dimostrano in ogni luogo e sempre, contrariamente ad altri1, di essere fedeli alla cattedra di Pietro professando l’unica vera Fede e sono legati alla Chiesa nell’amore per le anime, segno inequivocabile di appartenenza a Cristo ed al suo Corpo Mistico.

Ma il vincolo dell’obbedienza non deve essere servilismo.

La disobbedienza nei casi di scisma deve essere sistematica, ostinata ed abituale come affermano i canonisti ed i teologi, ma ci viene incontro un partigiano del Magister: P. Congar.2

Con facilità potrà reperire, ma certo la conoscerà, la definizione alla voce “scisma” nel dizionario di teologia redatta dal p. Congar: la disobbedienza deve investire l’autorità stessa e non essere contro l’ordine.3

Mi sembra anche logico oltretutto!

Ma il Magister sa che nella lettera in forma di motu proprio Giovanni Paolo II parla di “ atto scismatico”, ma se per essere scismatici basta un atto di disobbedienza dobbiamo dire che le spiegazioni sopra riportate non sono vere e dobbiamo constatare che all’interno della Chiesa il 90% del clero è scismatico, ad esempio tutti quelli che continuano a dare la comunione sulla mano ed in piedi ma anche io, certamente non il dott. Magister.

Sa, il dott. Magister, per certo che nella prima lettera del Card. Gandin che ammonisce Mons. Lefebvre non si parla di atto scismatico ma solo della possibilità di scomunica latae sententiae  a norma del canone 1382 (CDC 1983).

Dov’è lo scisma?

Ora l’atto scismaticom come sopra spiegato,    non colloca in uno stato di scisma che normalmente viene dichiarato in maniera diversa nella Chiesa.

Non si può dire altrettanto, invece, "che è nella Chiesa e appartiene alla comunione dello Spirito chi si mescola alle pecore di Cristo solo fisicamente e ipocritamente. Poiché lo Spirito Santo, maestro della dottrina, ha in odio l'ipocrita."(Agostino -Discorso 71).

Ora se non è mala fede cosa rimane?



                                                                                                                      Stefano Gavazzi



NOTE IMPORTANTI



1 Lo stesso articolo riporta un testo del teologo J.R.T. Lamont il quale sottolinea quanti effettivamente sono scismatici all’interno della chiesa non solo rompendo il vincolo dell’obbedienza e della carità verso i fratelli ma sono anche eretici non mantenendo l’unità di Fede che uno scismatico può comunque mantenere (anche se in realtà è raro come insegna San Girolamo).

2 Ad esempio si potrebbe già parlare di scisma tra i sacerdoti  della pfaffer-initiative i quali sono disobbedienti abituali sia all’autorità che agli ordini stessi, lo fanno con intenzionalità mirata a creare una nuova forma di chiesa, però nessuno si sogna né di scomunicarli né di dichiararli scismatici.

Bisogna dire, in Verità, che si tace proprio perché a Roma sanno bene che creerebbero una loro conventicola, ma pur di mantenere questa finta unità si tace su questi, sui NC, sulle nefandezze domenicali e su tante altre cose salvo la FSSPX.

Se questa non è persecuzione cosa è?

3 E’ bene ricordare, non al Magister che lo sa, che a norma dell’art. 1325 § 2 (CIC 1917)è in stato di scisma chi non vuole stare soggetto al Papa oppure ricusa di comunicare coi membri della Chiesa soggetti al Papa, ma commenta lo Jone (compendio di Teologia Morale-Marietti) non è necessario aderire, appartenere o fondare una setta per esserlo.

Dunque questo può valere anche per ogni singolo fedele.




martedì 10 aprile 2012

RIFORMA LITURGICA DEL VATICANO II : ALLEGATO CANONICO1

Faccio seguito alla richiesta di un nostro amico e fratello nella fede che ci segue dal Brasile, pubblicando un estratto di un libro sul “problema della riforma liturgica” della FSSPX.

E’ da notare che questo libro è stato edito nel 2001, molto prima cioè della così “mal detta” liberalizzazione della messa tridentina.

Il nostro amico ci chiedeva, su http://www.nullapossiamocontrolaverita.blogspot.it/2012/04/fa-dunque-mestieri-di-uscir-da-un.html#comment-form : Ho una domanda sulla riforma liturgica. Per avere una riforma liturgica, è necessario l'abrogazione del rito che vuole riformare e nel caso del Rito di San Pio V, lui non è stato abrogato. Quindi, come questo problema si riflette sulla riforma liturgica e nel rito di Paolo VI?

Sperando di aver fatto cosa utile mando un saluto al nostro caro amico.



Si può utilizzare con tranquillità di coscienza il messale riveduto da san Pio V?

Dopo la costituzione Missale romanum del 3 aprile 1969, è  stato spesso domandato sotto quale regime di diritto si trova la liturgia romana tradizionale celebrata secondo il messale riveduto da san Pio V.

Santa Messa cattolica
Al riguardo si invoca, oltre la stessa costituzione Missale romanum, una istruzione della congregazione per il Culto divino del 20 ottobre 1969, un discorso di Paolo VI del 26 novembre 1969, una nuova Istruzione della congregazione per il Culto divino del 14 giugno 1971, una Notificazione di questa Congregazione del 28 ottobre 1974, una allocuzione concistoriale di Paolo VI del 24 maggio 1976, infine una lettera della Congregazione per il Culto divino al vescovo di Siena del 1999.

Da questi documenti, di autorità e argomenti molto diversi, alcuni pretendono dedurre che il diritto liturgico comune della Chiesa latina sarebbe il messale di Paolo VI, essendo la possibilità di celebrare secondo il messale riveduto da san Pio V solo un semplice privilegio che può eventualmente essere accordato, sotto certe condizioni, nel quadro dell' indulto Quattuor abhinc annos del 3 ottobre
1984.

Tuttavia, la commissione cardinalizia istituita dal papa Giovanni Paolo II nel 1986, per esaminare l'applicazione del Motu proprio Ouattuor abhinc annos, puntualizzò all'unanimità che il messale di Pio V non era stato per nulla abrogato e che un vescovo non aveva il diritto di proibire ad un sacerdote l'uso di questo messale.

Effettivamente, l'esame attento degli argomenti addotti dai difensori dell' obbligatorietà del messale di Paolo VI manifesta chiaramente la falsità della loro tesi.



Il messale riveduto da san Pio V non è stato abrogato


Secondo il canone 20 del Codice di diritto canonico, una legge più recente abroga una legge più antica solo se lo dichiara espressamente. Ora, la lettera della Congregazione per il Culto divino al vescovo di Siena nel 1999 riconosce che «nella costituzione apostolica Missale romanum del papa Paolo VI non si trova una formula esplicita di abrogazione del Missale romanum detto di san Pio V». Il messale riveduto da san Pio V non è stato «obrogato» Secondo il canone 20 del diritto canonico una legge più recente sopprime o, come si dice tecnicamente, «obroga» una legge più antica se organizza la materia in modo interamente diverso e si sostituisce alla legge precedente.

La lettera della Congregazione per il Culto divino al vescovo di Siena del 1999 sembra sostenere che il messale riveduto da san Pio V sarebbe stato soppresso con una forma di obrogazione. I suoi argomenti tuttavia non sono pertinenti.

a) Questa lettera afferma anzitutto che «se la volontà del pontefice fosse stata quella di lasciare in vigore le precedenti forme liturgiche come un'alternativa di libera scelta, avrebbe dovuto dirlo esplicitamente». Invece il Codice di diritto canonico dichiara che «le leggi che stabiliscono una pena, o che restringono il libero esercizio dei diritti, o che contengono un'eccezione alla legge, sono sottoposte a interpretazione stretta» (canone 18) e che «nel dubbio la revoca della legge preesistente non si presume, ma le leggi posteriori devono essere ricondotte alle precedenti e con queste conciliate, per quanto è possibile» (canone 21).

b) Questa lettera afferma che la documentazione posteriore alla costituzione Missale romanum conferma il carattere obbligatorio del messale di Paolo VI, ma un semplice discorso pontificio o l'Istruzione di una congregazione romana non sono in grado di rendere obbligatorio

 un messale che la costituzione apostolica, che tratta direttamente dell'argomento, non ha reso obbligatorio, poiché «da parte del legislatore inferiore non può essere data validamente una legge contraria
al diritto superiore» (canone 135 §2; cf. canoni 33 § 1 e 34 §2).



c) Questa lettera afferma che «l'uso» manifesta il carattere obbligatorio del messale di Paolo VI. Ora, questo uso non è mai stato universale; al contrario, la persistenza dell'uso del messale riveduto da san Pio V si è verificata in tutto il mondo, malgrado le persecuzioni e gli abusi di potere con il quale è stato colpito questo o quel
prete che usava di detto messale.



Buffonata sacrilega
d) La lettera afferma che si può rafforzare per analogia il carattere obbligatorio del messale di Paolo VI «riferendosi al canone 6 §1, 4, in relazione con il canone 19». Ma, in fatto di analogia, bisognerebbe piuttosto supporre che il legislatore supremo, agendo con saggezza ed equità come il suo predecessore san Pio V, non abbia
voluto abrogare una liturgia più che centenaria. Inoltre, l'interpretazione per analogia si fa paragonando una legge nuova alle analoghe leggi precedenti: ora l'analogia proposta paragona una legge dubbia del 1969 a una legge promulgata soltanto nel 1983, poiché il canone ) § 1, 4 tratta del rapporto tra il Codice del 1983 e le leggi disciplinari anteriori. D'altronde, se si trattasse realmente di una abrogazione tacita, si sarebbe dovuto citare il canone 20, che tratta proprio della abrogazione tacita. Infine, sarebbe la prima volta che un papa ponga un atto di tale importanza (abolire un messale di almeno quattro secoli) senza dirlo esplicitamente.



Il messale riveduto da san Pio V si inscrive nel quadro di una consuetudine

Molto prima di essere una legge, il messale romano è una consuetudine millenaria: esisteva già da molti secoli prima della bolla Quo Primum promulgata da san Pio V. Ora una legge non può revocare le consuetudini contrarie centenarie e immemorabili senza farne espressa menzione (canone 28). La costituzione apostolica di Paolo
VI, col suo silenzio su questo punto, lascia perciò intatta questa consuetudine liturgica millenaria.

Il messale riveduto da san Pio V è protetto da un indulto Ma c'è di più: san Pio V ha accordato in perpetuo a tutti i sacerdoti un indulto specifico, concedendo loro il diritto perpetuo di celebrare in pubblico e in privato il rito da lui codificato, senza poter essere mai inquietati per questo. Questo indulto non poteva essere
soppresso senza una speciale menzione, «perché una legge universale non deroga al diritto particolare o speciale, a meno che non sia disposto espressamente altro dal diritto» (canone 20). La costituzione apostolica di Paolo VI, col suo silenzio su questo punto, lascia perciò intatto il privilegio perpetuo accordato da san Pio V.

Il messale di Paolo VI non può avere il carattere di una vera legge

Anche se le forme canoniche che abrogano oppure obrogano il messale riveduto da san Pio V fossero state perfettamente rispettate, anche se fosse stato possibile abrogare una consuetudine liturgica
millenaria, protetta per di più da un indulto specifico e perpetuo; l'obbligatorietà del messale di Paolo VI non sarebbe per questo stabilita.

«Perché un ordinamento promulgato da un legislatore sia una vera legge, obbligatoria per la comunità, - ci dice infatti Michiels (Normae generales juris canonici, Lublino, 1929, 1, p. 486) - è richiesto dalla natura delle cose che esso sia in se stesso, in rapporto al proprio oggetto, onesto e giusto, possibile da osservarsi e veramente utile per il bene della comunità; queste qualità costituiscono la ragione intrinseca delle leggi».

Ora, il messale di Paolo VI, a motivo dei suoi gravi difetti teologici, contribuisce positivamente all'affievolimento della fede, dela pietà e della pratica religiosa, come d'altronde dimostra l' esperienza di ogni giorno. A questo titolo questo messale non è né onesto né giusto, né utile per il bene della comunità. Perciò non ha il carattere di una vera legge e non può essere obbligatorio.  

Si può usare con tranquillità di coscienza il messale riveduto da san Pio V 

Il messale riveduto da san Pio V non è stato né abrogato nè “obrogato” dal legislatore; perciò se ne può. usare con ogni tranquillità di coscienza come di una legge liturgica sempre In vigore.

Il messale riveduto da san Pio V si inscrive nel quadro di una consuetudine, protetta per di più da un indulto specifico e perpetuo: a questo titolo, se ne può usare perciò con tutta tranquillità di coscienza.

Il messale di Paolo VI, a motivo dei suoi gravi difetti teologici non a e non può avere il carattere di una legge vera e obbligatoria:attendendo che il legislatore renda pubbliche le chiarificazioni teologiche, liturgiche e canoniche necessarie, si può perciò usare con tutta tranquillità di coscienza il messale riveduto da san Pio V.



NOTE:

1 Il  problema della riforma liturgica. La messa del Vaticano II e di Paolo VI. Studio teologico e liturgico. Editrice Ichtys

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