sabato 31 maggio 2014

INFALLIBILITÀ DELLA CHIESA - V

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Numero CCCLIX (359)
 
31 maggio 2014

INFALLIBILITÀ DELLA CHIESA - V
Il liberalismo è una guerra a Dio, ed è la dissoluzione della verità. All’interno della Chiesa odierna paralizzata dal liberalismo, il sedevacantismo è una reazione comprensibile, ma esso accredita ancora troppo potere all’autorità rispetto alla verità. Il mondo moderno ha perduto la verità naturale, per non parlare della verità soprannaturale, e qui sta il cuore del problema.
Ai nostri fini, possiamo dividere tutto il magistero pontificio in tre parti. Prima: quando il Papa insegna come Papa, sulla Fede o la morale, in maniera definitoria e in modo da impegnare tutti i cattolici, allora abbiamo il suo Magistero Straordinario (MS), necessariamente infallibile. Seconda: quando egli non impegna tutte e quattro le condizioni, ma insegna in linea con ciò che la Chiesa ha sempre e dovunque insegnato e imposto a credere ai cattolici, allora egli è partecipe di ciò che viene chiamato “Magistero Ordinario Universale” della Chiesa (MOU), anch’esso infallibile. Terza: che comprende tutto il resto del suo insegnamento, il quale, se non è in linea con la Tradizione, non solo è fallibile, ma è anche falso.
Ormai dovrebbe essere chiaro che il MS sta al MOU, come la cima innevata sta alla montagna. La cima innevata non è la cima della montagna, si limita a renderla più visibile. Il MS sta al MOU come un servo sta al padrone. Esso esiste per servire il MOU, chiarendo una volta per tutte cos’è che appartiene o non appartiene al MOU. Ma ciò che rende visibile il resto della montagna, per così dire, è il suo essere riconducibile a Nostro Signore e ai suoi Apostoli: in altre parole, alla Tradizione. Ecco perché ogni definizione del MS si sforza di dimostrare che ciò che viene definito, da sempre faceva già parte della Tradizione. Era la montagna prima che fosse ricoperta dalla neve.
Ormai dovrebbe essere anche chiaro che è la Tradizione che dice ai Papi cosa insegnare, e non il contrario. Questa è la base su cui Mons. Lefebvre fondò il movimento tradizionale, ed è questa stessa base che, con tutto il rispetto, né i liberali né i sedevacantisti riescono a cogliere. Basta vedere nel Vangelo di San Giovanni come spesso Nostro Signore stesso, in quanto uomo, dichiara che ciò che sta insegnando non viene da lui, ma dal Padre suo, per esempio: “La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato” (VII, 16), o, “Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare.”(XII, 49). Naturalmente nessuno sulla terra è più autorizzato del Papa ad esporre alla Chiesa e al mondo ciò che è nella Tradizione, ma non può dire alla Chiesa o al mondo che nella Tradizione vi è quello che in essa non c’è. Ciò che si trova in essa è oggettivo, ormai da 2.000 anni, ed è al di sopra del Papa, e pone i limiti a ciò che un Papa può insegnare, esattamente come il comando del Padre poneva i limiti a ciò che Cristo come uomo poteva insegnare.
Com’è possibile allora che i liberali e i sedevacantisti sostengano similarmente, come fanno, che il Papa è infallibile anche al di fuori del MS e del MOU? Perché entrambi sopravvalutano l’autorità rispetto alla verità, valutando così l’autorità della Chiesa non più come la serva, ma come la maestra della verità. E perché questo? Perché sono entrambi figli del mondo moderno, dove il protestantesimo ha sfidato la Verità, e il liberalismo, fin dalla Rivoluzione francese, è stato il dissolutore della verità oggettiva. E se non vi è più alcuna verità oggettiva, ne consegue naturalmente che l’autorità possa dire tutto ciò che vuole e farla franca, che è ciò che osserviamo intorno a noi; e non c’è più nulla che permetta di fermare un Paolo VI o un Mons.Fellay dal diventare sempre più arbitrario e tirannico in tale processo.
Madre di Dio, ottienimi di amare, discernere e difendere la Verità e l’ordine, soprannaturali e naturali, provenienti dal Padre, e a cui fu sottoposto come uomo il vostro stesso Figlio, “fino alla morte e alla morte di croce”.

Kyrie eleison.
La profonda perdita della verità oggettiva, appalesa
Le angustie dei sedevacantisti e dei liberali della Chiesa.

lunedì 26 maggio 2014

INFALLIBILITÀ DELLA CHIESA - IV

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Numero CCCLVIII (358)
 
24 maggio 2014

INFALLIBILITÀ DELLA CHIESA - IV
Al cardinale Newman è attribuito un saggio commento sulla definizione del 1870 dell’infallibilità papale: “Ha lasciato il Papa come l’ha trovato”. Infatti, tale definizione non cambiò nulla nel potere del Papa di insegnare infallibilmente, perché appartiene alla natura della vera Chiesa di Dio che sia protetta dall’errore da Dio stesso, almeno quand’è impegnata l’autorità del suo supremo insegnamento. Tale impegno è oggi chiamato “Magistero Straordinario” della Chiesa, ma la novità del 1870 sta solo nell’uso di questa espressione, al pari dell’espressione “Magistero Ordinario Universale”. Se il Vaticano I ha dichiarato infallibile anche quest’ultimo, dev’essere stato così fin dall'inizio della Chiesa. Per cogliere le realtà che esprimono queste due espressioni, ritorniamo a quell’inizio.
Dal momento della Sua ascesa al Cielo, Nostro Signore, con la Sua divina infallibilità, ha affidato ai Suoi Apostoli un corpo di dottrina che dovevano tramandare intatto nella Sua Chiesa fino alla fine del mondo (Mt. XXVIII, 19-20), dottrina che tutte le anime erano tenute a credere pena la dannazione (Mc. XVI, 15-16). Questo Deposito della Fede, o Rivelazione pubblica, Dio doveva necessariamente renderla riconoscibile e accessibile alle anime di buona volontà, inquanto ovviamente il vero Dio non potrebbe mai condannare in eterno un’anima perché si è rifiutata di credere in una cosa non vera. A partire dalla morte dell’ultimo Apostolo, questo Deposito non fu solo infallibile, ma anche completo.
Quindi, dagli Apostoli in poi Dio avrebbe sempre preservato tutti gli uomini di Chiesa dall’insegnare l’errore? Nient’affatto. Nostro Signore ci ha avvertito di stare attenti ai “falsi profeti” (Mt. VII, 15), e San Paolo altresì ci ha messo in guardia contro i “lupi rapaci” (Atti, XX, 29-30). Ma Dio come ha potuto permettere che le Sue pecore corressero un tale pericolo per colpa dei pastori erranti? Perché nel Suo Cielo Egli non vuole pastori robot, né pecore robot, ma pastori e pecore che devono usare il libero arbitrio che ha dato agli uni per insegnare e alle altre per seguire la Verità. E se una gran parte dei pastori tradiscono, Egli può sempre suscitare un Sant’Atanasio o un Mons. Lefebvre, per esempio, per garantire che la Sua infallibile Verità rimanga sempre accessibile alle anime.
Tuttavia, tale Deposito sarà continuamente esposto ai lupi rapaci, che possono aggiungervi dell’errore o sottrarvi della Verità. Come farà allora Dio per proteggerlo sempre? Garantendo che ogni volta che un Papa impegna tutte e quattro le condizioni della sua piena autorità d’insegnamento per definire ciò che appartiene e ciò che non appartiene a tale Deposito, egli sarà divinamente preservato dall’errore – è quello che oggi chiamiamo “Magistero Straordinario”. (Si noti come questo Magistero Straordinario presupponga l’infallibile Magistero Ordinario, al quale esso non può aggiungere alcuna verità o infallibilità, ma solo conferirgli una maggiore certezza per noi esseri umani.) Ma se il Papa impegna meno di tutte e quattro le condizioni, il suo insegnamento sarà infallibile se corrisponde al Deposito tramandato a partire da Nostro Signore - oggi chiamato “Magistero Ordinario Universale” -, ma sarà fallibile se non rientra in questo Deposito tramandato, o Tradizione. Al di fuori della Tradizione, il suo insegnamento può essere vero o falso.
Quindi non c’è alcun circolo vizioso (vedi CE 357 della scorsa settimana), perché è Nostro Signore che avalla la Tradizione e la Tradizione avalla il Magistero. È vero che la funzione del Papa consiste nel dichiarare con autorità ciò che appartiene alla Tradizione, ed egli sarà divinamente preservato dall’errore se impegna la sua piena autorità per farlo; ma egli può fare dichiarazioni al di fuori della Tradizione, nel qual caso non godrà di tale protezione. Ora le novità del Vaticano II, come la libertà religiosa e l’ecumenismo, sono al di fuori della Tradizione della Chiesa, così che non rientrano né nel Magistero Ordinario, né nel Magistero Straordinario del Papa, e quindi tutte le sciocchezze di tutti i Papi conciliari non obbligano alcun cattolico ad essere o un liberale o un sedevacantista.
Kyrie eleison.
Il metro di misura dei Papi è la Tradizione. Perché essa viene primariamente solo da Dio.

lunedì 19 maggio 2014

Notizia intrigante… osservazioni impertinenti

Ricevo e pubblico da unavox
Notizia intrigante…
osservazioni impertinenti



di Giacomo Devoto


Dopo la notizia esclusiva diffusa dal sito americano Rorate Caeli, si sono susseguite aggiunte e precisazioni. La notizia è quella dell’incontro fra Papa Francesco e Mons. Fellay, Superiore Generale della Fraternità San Pio X, svoltosi nell’albergo Santa Marta, a tutt’oggi residenza ufficiale di papa Bergoglio.
Dopo quanto pubblicato sembra ragionevole ritenere, a tutt’oggi, 12 maggio, che vi sia stato solo un breve incontro per un saluto informale, al termine del pranzo, che peraltro papa Bergoglio avrebbe consumato, come al solito, in un angolo della sala, mentre Mons. Fellay, i suoi due Assistenti e gli ufficiali dell’Ecclesia Dei: Mons. Pozzo e Mons. Di Noia, avrebbero consumato per conto loro.

Un vaticanista solitamente bene informato, nel suo pezzo ha voluto aggiungere una nota di colore: “Quando Francesco si è alzato a fine cena, il superiore della Fraternità San Pio X ha fatto lo stesso ed è andato verso il Papa, inginocchiandosi per chiedere una benedizione.” (Vatican Insider)
Non sappiamo quanto sia attendibile questo particolare, poiché a parte l’irritualità, l’informatore è notoriamente portato a descrivere i fatti in modo che coincidano con il suo convincimento che la Fraternità San Pio X debba sottomettersi incondizionatamente a Roma.

Da parte sua, la Fraternità ha tenuto a precisare che si è trattato di un brevissimo saluto di cortesia, senza implicazioni di alcun genere, per di più del tutto casuale ed estemporaneo (DICI).

L’insieme delle notizie permette di comporre un quadro piuttosto attendibile di come siano andate le cose, e noi ci permettiamo di raccontarle a modo nostro, completandole con alcune considerazioni collaterali e attinenti, non solo per delineare un quadro più ricco e probante, ma per sviluppare poi alcune osservazioni che ci sembrano opportune e necessarie.

Dopo i mesi turbolenti del 2012 vissuti nella Fraternità, quando non andò in porto il tentativo d’accordo tra Mons. Fellay e la Curia romana, regnante Benedetto XVI, fu necessario ripristinare un clima più conciliante. Si moltiplicarono i richiami alla impossibilità di giungere ad una qualche soluzione; parola d’ordine: lasciamo le cose come sono.
Ciò nonostante, avendo definitivamente abbandonato il principio che ogni possibile regolarizzazione avrebbe dovuto seguire solo il ritorno di Roma alla Tradizione, per la Fraternità era giocoforza mantenere i contatti con Roma per cercare di trovare una scappatoia canonica in grado di placare gli animi al suo interno e di venire incontro in qualche modo all’istanza dell’accettazione del Vaticano II, sempre cocente in Vaticano.

Le discussioni proseguono, tramite gli uomini di collegamento, gli incontri informali, gli appuntamenti formali. Ogni tanto un sacerdote della Fraternità “cápita” in Vaticano; un altro va a prendere il caffè col monsignore; un vescovo viene convocato in Commissione; e in quasi due anni le cose vanno avanti, con qualche intoppo al tempo della nascita del “papa emerito” e nei primi mesi di vita del “vescovo di Roma”.
Addirittura si arriva al “rientro” in Commissione di Mons. Guido Pozzo:  evidentemente papa Bergoglio vuole giuocare la carta della Fraternità… chissà forse per bilanciare la scoppola appioppata ai Francescani dell’Immacolata, patata bollente lasciatagli peraltro in dono dal “papa emerito”; il quale, da parte sua, non era riuscito a combinare nulla con Ecône, nonostante Ratzinger vorrebbe presentarsi al Creatore senza questo chiodo che lo tormenta dal 1988.
Sembrerebbe così che le cose abbiano finito col prendere una piega acconcia, tanto che sarebbe giunto il momento di un incontro formale. Ovviamente nulla trapela, perché la delicatezza della questione in ballo richiede la massima discrezione, perfino la segretezza: guai a mettere in allarme gli ambienti della Fraternità, sono già tanti i sacerdoti che se ne sono andati; né tampoco è il caso di dare spago alle mire dei progressisti che vorrebbero scomunicare anche i banchi delle cappelle della Fraternità. Silenzio, dunque, e se capita qualche accenno, minimizzare, magari lasciare intendere che Roma è disposta a qualche cedimento pur di risolvere l’annoso problema.

Inevitabilmente, le voci sulla prosecuzione degli incontri per giungere ad un accordo pratico, non smettono di circolare, ma Menzingen le smentisce più volte; intanto la capacità diplomatica degli interlocutori scelti porta pian piano a qualche risultato: si potrebbe evitare la trafila compromettente del 2012, non parlando più di “preambolo dottrinale” da sottoscrivere. Per il momento, la Congregazione per la Dottrina della Fede viene lasciata da parte, anche perché la Commissione Ecclesia Dei ormai fa parte della Congregazione stessa e per di più a Roma hanno in mano la dichiarazione che Mons. Fellay consegnò nell’aprile del 2012 al cardinale Levada: inutile ricominciare tutto da capo, si può benissimo partire da dove si era rimasti allora.
La Commissione adombra la possibilità che si possa lavorare sulla stessa falsa riga del 2009: perché non ripristinare lo status quo ante il 1975? Tanto più che ormai non è più in ballo la “scomunica”, revocata nel 2009 da Benedetto XVI?
Dal punto di vista canonico la cosa è possibile e potrebbe venire incontro alle esigenze di Mons. Fellay, che non è più disposto a sottoscrivere un qualche  documento che lo comprometterebbe definitivamente di fronte ai suoi sacerdoti.
Si profila la possibilità di un atto unilaterale di Roma, una sorta di revoca della revoca del 1975, ed un ritorno allo status quo ante.

Mons. Fellay trova la cosa praticabile e non esita ad accennarne ai suoi, parlando di un “riconoscimento di garanzia”, che sarebbe una cosa buona, dice ai seminaristi di Zaitkofen. Insomma, La scomunica è stata tolta, l’impegno dottrinale di Mons. Fellay è già in Vaticano dal 2012, la Fraternità è nata come un’opera della Chiesa, basta attenersi a questo e lasciare che si provi a considerare la Fraternità come canonicamente in regola… quanto meno in via sperimentale (“riconoscimento di garanzia”?), così da misurarne l’obbedienza a Roma “da dentro”.
Non è male come soluzione, … parliamone.

Mons. Pozzo convoca a Roma, per il 13 dicembre 2013, Mons. Fellay e i suoi due Assistenti, Don Pfluger e Don Nély.
DICI, organo ufficiale d’informazione della Fraternità, a maggio, dice che si è trattato di un “incontro informale”, formula diplomatica per dire nulla, che però la dice lunga sull’incontro stesso: non ci si mette a tavolino, due anni dopo il fallimento della trattativa del 2012, senza aver prima condotto in questi due anni un certosino lavoro di ricucitura; e solo dopo che questo lavoro ha portato a dei risultati concreti, si può decidere di passare ad un incontro “formale” e non “informale”: si convocano al completo i vertici della Fraternità per un incontro con i vertici della Commissione: si passa alla messa a punto.
Tale passo esige che non vi sia preventiva pubblicità, per i motivi detti prima, ma ha bisogno di un qualche riconoscimento almeno simbolico, con tanto di ufficialità implicita in un luogo pubblico del Vaticano.
Si decide di usare il ristorante della Casa Santa Marta, frequentato da monsignori del Vaticano e da monsignori ospiti, così che l’ufficialità possa essere sancita senza alcuna dichiarazione formale. Per di più, si tratta dello stesso ristorante frequentato da papa Bergoglio, a cui accedere nella stessa ora in cui pranza Bergoglio. Simbolicamente, il Papa, i responsabili dell’Ecclesia Dei e i capi della Fraternità, hanno pranzato insieme.
Tecnica finemente diplomatica: qui lo dico e qui lo nego.
Tuttavia, non si può predisporre un tale incontro “informale”, che nasconde la formalità, senza avvertire preventivamente papa Bergoglio: se non è un caso che questi usa la Casa Santa Marta per evitare tutte le pastoie protocollari, è altrettanto voluta la possibilità di dare veste informale anche a tanti incontri formali, così da poter sempre dire che non v’è stata premeditazione.
Mons. Fellay trova ottima la soluzione, potrà incontrare il Papa mentre è a pranzo con l’Ecclesia Dei, con la quale ha predisposto la soluzione della questione canonica della Fraternità: la presenza del Papa sarà una garanzia, a condizione che il Papa sia preventivamente al corrente della cosa. Ovviamente, il Papa, non solo è al corrente, ma ha dato il suo benestare, la cosa si può fare, ed è disposto ad incontrare “davanti a tutti” Mons. Fellay, per la classica “stretta di mano” fra uomini d’onore.
La prassi è del tutto consona alla tenuta comportamentale di papa Bergoglio: poco protocollo e arrivare al sodo.

Un bel giorno, “stabilito da tempo”, tutti a pranzo al Santa Marta, “casualmente”; si mangia e si beve; ad un certo punto, mentre il Papa sta per uscire dopo aver pranzato, ecco che Mons. Fellay si alza e gli va incontro, Mons. Pozzo fa da chaperon:
- Santità, questo è Mons. Fellay, della Fraternità San Pio X – Ah, sì, bene, piacere di conoscerla – Santità, bacio l’anello. Io prego per Lei – Sì, grazie, ne ho bisogno.
Poche battute, sotto gli occhi di tutti. … La cosa, però deve restare segreta!
Tanto segreta che, passate le feste di Natale, la voce già circola nella Fraternità e gli Assistenti ne parlano qua e là già a gennaio: tranquilli, nessun accordo in vista… piuttosto si parla di “riconoscimento unilaterale”… nessuna firma… tranquilli. Appena si sparge la voce, Menzingen smentisce: nessun accordo… ma non smentisce il “riconoscimento unilaterale”… anzi, Mons. Fellay lo riferisce con il commento che si tratta di una cosa buona.

Tutto è ancora tra il riservato e il segreto. Tutto può essere detto e tutto può essere smentito. Se non fosse che ai primi di maggio ne parla, in tutte le lingue, Mons. Williamson, facendo notare come la cosa sia un po’ subdola, perché permetterebbe di far passare in maniera indolore il rientro della Fraternità San Pio X sotto la giurisdizione di Roma: all’ubbidienza dei modernisti.
A questo punto, tra imbarazzo e disappunto, inutile aspettare oltre, tanto vale dire a tutti che c’è stato un incontro “informale”, che più formale di così si muore, … con tanto di stretta di mano col Papa.
Parte quindi l’indiscrezione… diventa una rivelazione… ne scrivono tutti… perfido Internet!… Menzingen conferma tutto, minimizzando al punto che si capisce subito che l’accordo è stato raggiunto.

***

La prima cosa che colpisce è lo stridente contrasto tra quanto pubblicato dai diversi organi d’informazione della Fraternità, a proposito dell’insegnamento e della pastorale di questo nuovo Papa, e il fatto che il Superiore si rechi, quasi in visita ad limina, a rendergli omaggio. Non v’è dubbio che il Superiore di una congregazione religiosa cattolica, com’è la Fraternità, debba andare a incontrare il Papa dopo la sua elezione, ma in questo caso la cosa appare alquanto irrituale, sia per la posizione canonica della Fraternità, sia perché non sappiamo se l’iniziativa del ristorante sia venuta dal Papa o da Mons. Fellay.
Quando, nel 2005, venne eletto il cardinale Ratzinger, Mons. Fellay incontrò in Vaticano Benedetto XVI in un incontro concordato, e in quell’occasione, intervistato, ci tenne a dichiarare che “se il Papa chiama, io corro!”.
Sarà stato anche così questa volta? Ha chiamato il Papa?
Non lo sappiamo, ma di certo sappiamo che l’elezione del cardinale Ratzinger, nell’aprile, aveva suscitato molte aspettative in seno alla Fraternità, tanto che fu visto come un buon auspicio il successivo incontro con Mons. Fellay, svoltosi subito in agosto. E le aspettative non furono nutrite solo all’interno della Fraternità, ma in quasi tutto il mondo della Tradizione. I segni manifestati dal cardinale negli anni precedenti lasciavano ben sperare. Tale buona disposizione, se così si può dire, venne rafforzata dagli atti posti da Benedetto XVI in direzione di una normalizzazione della posizione canonica della Fraternità; al punto tale che Mons. Fellay perseguì con decisione e con “sprezzo del pericolo” l’obiettivo di un possibile accordo col Vaticano, pieno di fiducia, com’era, insieme ad altri membri della Fraternità, nella buona volontà del Papa.
Il progetto non andò in porto, sia per l’opposizione sorta all’interno della Fraternità, sia e soprattutto perché a Roma ci si rese conto che non era possibile “normalizzare” la Fraternità, tutta intera, e che quindi, regolarizzata canonicamente la Fraternità “ufficiale”, sarebbe rimasta fuori dall’accordo ancora una Fraternità, quella che non avrebbe accettato l’accordo firmato da Mons. Fellay e che logicamente avrebbe proseguito con maggiore decisione la battaglia contro la corruzione della Fede attuata da Roma, battaglia iniziata da Mons. Lefebvre e oggi ancora in atto.

Recuperando lo spirito di questa battaglia, l’anno di pontificato di papa Bergoglio è stato caratterizzato da una serie di puntualizzazioni e di critiche che la Fraternità ha espresso in vario modo, fino alla totale disapprovazione delle avvenute canonizzazioni di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II. La benevola disposizione nei confronti di Benedetto XVI si è mutata, a causa dei detti e dei fatti del nuovo Papa, in una critica e in una presa di distanza che tutto lasciava immaginare, tranne l’incontro tra Mons. Fellay e papa Bergoglio.

Ma l’incontro c’è stato, informale quanto si voglia, ma c’è stato, e c’è stato con la preventiva consapevolezza che sarebbe stato reso noto a tutti… è stato quindi un incontro programmato ed espressamente voluto in vista dell’effetto mediatico che avrebbe prodotto.
La cosa che colpisce è la casualità temporale tra la notizia pubblicata il 3 maggio da Mons. Williamson (Commenti Eleison n° 355), nella quale si rendeva noto che Mons. Fellay avrebbe detto: «Non si tratta di firmare un qualche accordo, … Ma se Roma ci propone un riconoscimento di tolleranza per noi, la cosa è diversa e sarebbe una cosa molto buona»; e la “rivelazione”, il 10 maggio, dell’avvenuto incontro del 13 dicembre 2013, tra Mons. Fellay e papa Bergoglio; “rivelazione” che in realtà ha permesso di sapere, ad opera della stessa Fraternità, che dal 2012 in poi ci sono stati ripetuti incontri con l’Ecclesia Dei, fino a quest’ultimo, che sarà pure “informale”, ma di certo ha tutta l’aria di essere invece un incontro conclusivo.

Il tipo di soluzione sembrerebbe essere un atto unilaterale di Roma, con esclusione di un “accordo” e di un “preliminare di accordo”. Soluzione che fin dal 2009 venne suggerita da molti, noi compresi, ma che allora non venne neanche adombrata perché la preoccupazione principale di Roma era di far sì che la Fraternità rinunciasse alla sua pregiudiziale d’origine e accettasse l’insegnamento e la pastorale del Vaticano II e delle riforme da esso scaturite.
Se oggi sembrerebbe che si profili ciò che Mons. Fellay chiama “riconoscimento di tolleranza”, questo potrebbe significare che Roma abbia rinunciato alla pregiudiziale mantenuta dallo stesso Benedetto XVI fino alla famosa lettera a Mons. Fellay giunta proprio a ridosso dello svolgimento del Capitolo, il 9 luglio 2012.
La cosa appare del tutto inverosimile, ma anche a voler ammettere che Roma voglia dare un taglio netto ad ogni trascorsa controversia e voglia ridare alla Fraternità la veste canonica che le spetta, il problema del Vaticano II resta intatto, anzi, si ripresenta oggi aggravato dal fatto che la sua applicazione è andata ben oltre le stesse riforme prodottesi dal 1969 in poi.
Oggi, dopo la nascita del “papa emerito” e l’avvento dell’insegnamento e della pastorale del “vescovo di Roma”, la problematica suscitata dalla eterodossia dei documenti del Vaticano II è divenuta cosa quasi di secondo ordine, riservata agli specialisti, poiché la pratica della fede in seno alla Chiesa cattolica ulteriormente “aggiornata”, ha ormai scavalcato a pie’ pari, e di gran lunga, i limiti dell’eterodossia: oggi ci troviamo al cospetto di una compagine ecclesiale che conserva solo nominalmente il titolo di cattolica.
In questo contesto così ulteriormente mutato, in peggio, la stessa ipotesi di un riconoscimento unilaterale di Roma, concepibile come possibile nel 2009, oggi è divenuta illogica e cattolicamente impraticabile, poiché non è pensabile che una congregazione religiosa cattolica, con tutti i suoi membri e i suoi fedeli, possa minimamente confondersi con il caravanserraglio romano che ogni giorno che passa appare sempre più lanciato verso la definitiva rinuncia alla pratica della vera fede cattolica.
Non si tratta neanche più di un problema legato alla Fraternità, ma di un problema legato alla Chiesa stessa.

Se il Signore suscitò nel 1970 l’opera di Mons. Lefebvre, non è possibile pensare che Egli non avesse presente la deriva a cui sarebbe andata incontro la Sua Chiesa per colpa degli stessi uomini di Chiesa. Ne deriva che quest’opera suscitata dal Signore, qualunque possa essere la sua eventuale connotazione nel corso del tempo, in base all’azione degli uomini che la compongono, assolve una funzione provvidenziale: mantenere viva la pratica della vera fede, nonostante la deriva dell’istituzione ufficiale, rendere testimonianza alla vera fede, nonostante il Vaticano attuale.
In altre parole, se la fede si manterrà ancora nel mondo, via via che i tempi si faranno più bui e più si avvicinerà l’ora del “ritorno del Figlio dell’Uomo”, questo lo si dovrà alla Provvidenza di Dio che, mentre permetterà la deriva dell’istituzione, provvederà a suscitare continuamente le guide per il “piccolo resto”, il quale realizzerà, con la sua esistenza e la sua perseveranza, la promessa di Cristo: “non prevalebunt”.
La Fraternità è nata per questo, e per questo Nostro Signore ha permesso che durasse. Essa non è nata per redimere gli uomini di Chiesa che hanno voltato le spalle a Cristo, né per salvare la Chiesa, che è compito di Cristo stesso, ma è nata per rendere testimonianza a Cristo, nel modo consentito da questi tempi di apostasia, nei quali non sono più valide le impostazioni teologiche e le disposizioni canoniche di tutt’altro tempo.
In tempi siffatti e nelle condizioni che sono sotto gli occhi di tutti, ogni opera suscitata da Nostro Signore per perseguire la persistenza della fede nella residua compagine cattolica – sia essa la Fraternità o altro -, non può permettersi di “confondersi” con l’istituzione attuale, anzi ha la necessità e il dovere di distinguersi: sia per non procurare confusione negli animi dei fedeli, sia per preservare la sua stessa esistenza, da durare per tutto il tempo previsto dalla Divina Provvidenza.

Per finire e a scanso di equivoci, sentiamo il dovere di prevenire un’obiezione che sappiamo quanto assilli certi ambienti tradizionali: prescindere dal Vaticano attuale può solo significare scadere nel sedevacantismo, di principio o di fatto, perché non si può pretendere di rimanere cattolici senza la dovuta sottomissione al Papa.
Il principio è corretto, ma è errata la sua applicazione. Nessuno ha il potere di prescindere dal Papa, ma tutti hanno il dovere di ubbidire a Dio, e se sottomettersi al Papa dovesse significare venir meno, anche solo in parte, agli insegnamenti e ai comandi di Dio, non è concepibile che possa esserci qualcuno, sano di mente, che pensi che si debba comunque ubbidire ad un papa prescindendo da Dio.
Al Papa si ubbidisce quand’egli è il Vicario di Cristo, non quando agisce, si comporta e insegna prescindendo da Cristo o deviando da Cristo. E se si verifica quest’ultima evenienza, come accade in modo sempre più accentuato ormai da quarant’anni, questo non significa che il Papa non è più Papa, come sostengono i sedevacantisti, ma molto semplicemente che il Signore permette che questo avvenga per mettere alla prova i “suoi”. Non sta scritto da nessuna parte che questo non è possibile o che non sarebbe possibile, tanto più che nessuno può entrare nella mente di Dio, e nessuno può negare che questo semplicemente accade… come accade il male perché Dio lo permette.
D’altronde, se “verranno tempi” nei quali la fede non ci sarà quasi più sulla terra, in che modo si verificherà questo, se non con la constatazione che la fede è venuta meno proprio là dove avrebbe dovuto essenzialmente continuare a sussistere, e cioè in Vaticano? E se la fede viene meno in Vaticano, come la si potrà mai far persistere se non fuori dal Vaticano?

Come ha già scritto il nostro Servodio su questo sito:
«Oggi ci troviamo in una fase accentuata del processo di decadimento e ciò che occorre è una tenuta quanto mai radicale della fede, indipendentemente da come si svolgono le cose della Chiesa ufficiale. Una tenuta che, per quanto difficile da definire e da praticare, per quanto complicata da giustificare in termini comuni, permetta di salvare il salvabile, in ordine alla pratica della fede e al mantenimento dei mezzi soprannaturali per la salvezza delle anime. E per far questo è importante che si giunga a considerare che il perdurare della fede nel mondo fino alla Parusia è cosa che può avvenire, sempre secondo i piani di Dio, anche indipendentemente dalle vicende della Chiesa ufficiale, della neo-Chiesa nata dal Vaticano II. E a chi, a questo punto, ci volesse richiamare ad un maggiore sensus Ecclesiae, rispondiamo, sulla base di quanto dicevamo prima a proposito della reale consistenza della Chiesa di Cristo in questi tempi ultimi, che è proprio il sensus Ecclesiae che ci spinge a considerare che la permanenza della fede e dei mezzi soprannaturali per la salvezza delle anime deve e può continuare a sussistere cum Petro et sub Petro, si necesse obstante Petro  - con Pietro e sotto Pietro, se necessario nonostante Pietro.» (1988-2012: 24 anni di miglioramenti?).

domenica 18 maggio 2014

INFALLIBILITÀ DELLA CHIESA - III

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Numero CCCLVII (357)
 
17 maggio 2014

INFALLIBILITÀ DELLA CHIESA - III
Le folli parole e gli atti di Papa Francesco stanno attualmente guidando molti credenti cattolici verso il sedevacantismo, che è pericoloso. La convinzione che i Papi conciliari non sono stati e non sono Papi può iniziare come un’opinione, ma troppo spesso si osserva che l’opinione si trasforma in un dogma e poi in una mentale morsa d’acciaio. Penso che le menti di molti sedevacantistisi siano bloccate perché la crisi senza precedenti del Vaticano II ha causato nelle loro menti e nei loro cuori cattolici un’angoscia che ha trovato nel sedevacantismo una soluzione semplice, ed essi non hanno alcun desiderio di riprovare l’angoscia riaprendo la questione. Così conducono attivamente una crociata perché gli altri si uniscano a loro nella loro soluzione semplice, e in tal modo molti di loro - non tutti - finiscono col mostrare un’arroganza e un’amarezza che non sono segni o frutti di un vero cattolico .
Ora, questi “Commenti” si sono astenuti dal dichiarare con certezza che i Papi conciliari sono stati veri Papi, ma al tempo stesso hanno sostenuto che gli usuali argomenti dei sedevacantisti non sono né esaustivi né vincolanti per i cattolici, come alcuni di loro vorrebbero farci credere. Torniamo ad uno dei loro argomenti più importanti, che riguarda l’infallibilità papale: i Papi sono infallibili; ma i liberali sono fallibili, e i Papi conciliari sono liberali, quindi non sono Papi.
A questo si può obiettare che un Papa è certamente infallibile solo quando impegna le quattro condizioni del Magistero Straordinario della Chiesa; quando insegna: 1 come Papa, 2 sulla Fede o sulla morale, 3 in maniera definitoria, 4 così da impegnare tutti i cattolici. Ma a questo punto i sedevacantisti e i liberali replicano che è insegnamento della Chiesa che anche il Magistero Ordinario Universale sia infallibile, cosicché - e qui sta il punto debole nella loro tesi - ogni volta che il Papa insegna solennemente anche al di fuori del suo Magistero Straordinario, anche allora dev’essere infallibile, e siccome il loro insegnamento conciliare liberale è solenne, non c’è scelta: o diventare liberali o diventare sedevacantisti, ovviamente a seconda di chi sostiene questo argomento.
Ma il segno distintivo dell’insegnamento che fa parte al Magistero Ordinario Universale della Chiesa non è la solennità con cui il Papa insegna fuori dal Magistero Straordinario, ma il fattoche ciò che sta insegnando corrisponda, o no, a ciò che Nostro Signore, gli Apostoli e praticamente tutti i loro successori, i vescovi della Chiesa Universale, hanno insegnato in tutti i tempi e in tutti i luoghi; in altre parole se corrisponde alla Tradizione. Ora, l’insegnamento conciliare (ad esempio la libertà religiosa e l’ecumenismo) è in rottura con la Tradizione, pertanto i cattolici odierni non sono tenuti di fatto a diventare o liberali o sedevacantisti.
Tuttavia, sia i liberali sia i sedevacantisti si aggrappano alla loro incomprensione dell’infallibilità papale, per motivi che non sono senza interesse, ma questa è un’altra storia. In ogni caso non si arrendono facilmente, e tornano alla carica con un’altra obiezione che merita una risposta. Entrambi diranno che: sostenere che la Tradizione è il segno distintivo del Magistero Ordinario significa creare un circolo vizioso. Infatti, se l’insegnamento autorevole della Chiesa, o Magistero, esiste per dire qual è la dottrina della Chiesa, come avviene di fatto, com’è possibile che al tempo stesso la dottrina tradizionale possa dire cos’è il Magistero? O l’insegnante avalla ciò che viene insegnato, o ciò che viene insegnato avalla l’insegnante, non è possibile che entrambi avallino contemporaneamente l’uno l’altro. Quindi, sostenere che la Tradizione, che viene insegnata, avalli il Magistero Ordinario, che è l’insegnante, è sbagliato, e così non è solo nel suo insegnamento Straordinario che il Papa è infallibile, tale che essi concludono che noi si debba diventare o liberali o sedevacantisti.
Per sapere perché non c'è un circolo vizioso si deve attendere fino alla prossima settimana. La cosa è interessante al pari del perché sia i sedevacantisti sia i liberali cadono nello stesso errore sull’infallibilità.
Kyrie eleison.
Se le quattro condizioni non sono tutte in ballo,
In ciò che insegnano o dicono, i Papi possono cadere in fallo.

lunedì 12 maggio 2014

Lettera al Cardinale Walter Kasper


Ricevo e pubblico da UNAVOX.
Lettera al Cardinale Walter Kasper


di Luciano Pranzetti




Eminenza rev. ma
il Cardinale
Walter Kasper
00120  Città del Vaticano 


Eminenza rev.ma:
                                 assistiamo sgomenti, da tempo, a talune sue personali, trancianti affermazioni con cui, capovolgendo e tradendo la Parola di Cristo, lei si accinge, in qualità di “teologo” scelto da papa Bergoglio per il prossimo Sinodo straordinario – ottobre 2014 – ad immettere una nuova dottrina sul tema del divorzio e, nella fattispecie, sul tema dei cristiani divorziati/risposati e il Sacramento dell’Eucaristìa. Un Sinodo che, per tale tematica, si rende illegittimo  perché intende esaminare una dottrina già conclamata e definita come dogma. Ma tant’è!

sabato 10 maggio 2014

NUOVE ORDINAZIONI - I

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Numero CCCLVI (356)
 
10 maggio 2014

NUOVE ORDINAZIONI - I
I preti ordinati con il nuovo rito dell’Ordinazione del 1972,dovrebbero essere condizionatamente ri-ordinati con il vecchio e certamente valido rito di Ordinazione? La dottrina cattolica sulla validità dei sacramenti è chiara, ma i riti sacramentali della neo-Chiesa sembrano essere stati progettati per portare gradualmente all’invalidità (vedi CE 121 del 31 oct.2009). Il problema è il «gradualmente». Per ogni dato caso, quanto ha avanzato questo processo graduale? Forse solo Dio lo sa per certo. Ma cominciamo con la chiara dottrina.
Si può dire che un sacramento cattolico comporti cinque elementi: Ministro, Intenzione, Materia e Forma sono essenziali per la validità, il Rito che accompagna la Forma può essere importante per la validità, in forza dell’impatto immediato o graduale che ha sull’Intenzione del Ministro. Per le Ordinazioni sacerdotali, il Ministro deve essere un vescovo validamente consacrato; l’Intenzione è la sua intenzione sacramentale (non morale) di fare, ordinando, ciò che fa la Chiesa; la Materia è il suo imporre entrambe le mani sulla testa dell’uomo che dev’essere ordinato (le donne non possono essere validamente ordinate al sacerdozio di Cristo); la Forma è la formula cruciale o l’insieme di parole che nel rito esprimono il conferimento del sacerdozio; il Rito è l’insieme delle altre parole che accompagnano quella Forma e sono presc ritte nel cerimoniale per l’Ordinazione.
In un nuovo rito dell’Ordinazione, se entrambe le mani sono poste sulla testa, la Materia non fa problema. La nuova Forma in latino è, semmai, più forte per la validità rispetto alla vecchia Forma latina (per l’«et» invece di un «ut»), ma le traduzioni in volgare dovrebbero essere controllate per assicurarsi che esprimano chiaramente la grazia del sacerdozio da conferire. La maggior parte di esse sicuramente lo fanno. I veri problemi di validità sorgono relativamente al Ministro e all’Intenzione, a causa della graduale erosione dell’Intenzione cattolica negli a-cattolici nuovi Riti.
Per quanto riguarda l’Intenzione, ogni vescovo che oggi ordina un prete intende sicuramente fare ciò che fa la Chiesa odierna, il buono e il giusto, ma cos’è questo nella sua mente? Cos’è un prete nella neo-Chiesa? È ancora l’antico rinnovatore del Sacrificio del Calvario con la sua Presenza Reale, visto che viene lentamente ma costantemente sostituito dall’odierno coordinatore del pic-nic eucaristico? A che punto è questo processo in ogni diocesi del mondo? Questo o quel vescovo ha in mente che quello che fa la Chiesa sia un sacrificatore o un vacanziere? È il comportamento esteriore del vescovo ordinante che indicherà la sua Intenzione, ma solo Dio può saperlo con certezza. Certamente molti nuovi Riti della Messa inclinano per il vacanziere, e il nuovo Rito dell’Ordinazione che accompagna la Forma, con la sua grave diminuzione del contenuto cattolico, pu&o grave; solo aiutare a minare gradualmente l’Intenzione sacramentale di un vescovo ordinante.
Quanto al Ministro, se il vescovo ordinante è stato consacrato vescovo con il nuovo rito di consacrazione, si può ritenere che l’ambiguità della nuova Forma di consacrazione venga sanata dalle parole immediatamente seguenti, nondimeno sorgono dei dubbi come quelli di cui sopra circal’Intenzione del vescovo consacrante: ha egli considerato, e quindi ha assunta come sua Intenzione, se la Chiesa oggi consacri facitori del Sacrificio o del pic-nic? Tali domande mancano spesso di risposte chiare.
In breve, se il Papa fossi io, penso che potrei esigere che tutti i preti ordinati o i vescovi consacrati con i riti «rinnovati», dovrebbero essere condizionatamente ri-ordinati o ri-consacrati, non perché io crederei che nessuno di loro fosse vero prete o vero vescovo, al contrario, ma perché quando si tratta di sacramenti ogni serio dubbio dev’essere rimosso, e questo sarebbe il modo più semplice per rimuovere tutti i possibili dubbi. Il marcio nei sacramenti della neo-Chiesa non può essere mantenuto in giro.
Kyrie eleison
Dev’essere ri-ordinato, o no, un prete della neo-Chiesa?
Risposta incerta, a causa del graduale marciume della neo-Chiesa

lunedì 5 maggio 2014

FSSPX, ADDIO.

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Numero CCCLV (355)
 
3 maggio 2014

FSSPX, ADDIO.
Brutte notizie dalla Francia: la quarantennale lotta per la Fede, condotta dalla Fraternità San Pio X contro i modernisti di Roma, è virtualmente finita. Oh, sì, i priorati della Fraternità, le scuole, i seminarii, i conventi e i monasteri associati, continueranno a funzionare, per fornire almeno per qualche tempo sacramenti validi e dottrina decente, mantenendo tutte le apparenze della Tradizione, ma la lotta essenziale per l’intera Fede sarà censurata, o auto-censurata. Sembra che ci sia solo un numero limitato di sacerdoti di più che manterrà la comprensione dell’opera di Mons. Lefebvre e il coraggio necessario per rompere i ranghi e salire in montagna.
La novità è che i modernisti di Roma stanno offrendo alla Fraternità un «riconoscimento di tolleranza», senza bisogno di alcun accordo formale o di un documento firmato, cosa questa che tra la primavera e l’estate del 2012 sollevò all’interno della FSSPX tanta opposizione. Ecco il succo di quanto espresso tre mesi fa, con entusiasmo, dal Secondo Assistente della Fraternità, Don Alain Nély, a due religiosi: «La soluzione per la Fraternità sarà un riconoscimento unilaterale da parte di Roma... non ci verrà chiesto di firmare alcunché... vediamo come si evolvono le cose... poi vedremo.»
Per evitare che tale rivelazione si diffondesse, il Superiore Generale della Fraternità ha scritto ai due Superiori interessati che avevano frainteso le parole di Don Nély, perché non c’è nessun tipo di «accordo» in vista. Certo che no. Sta qui l’astuzia del proposto «riconoscimento» senza firma. Esso consentirà ad un certo numero di sacerdoti della FSSPX di far finta che nulla sia cambiato e di poter continuare il loro ministero come prima. Come è stato riferito, lo stesso Mons. Fellay, parlando di recente ai seminaristi di Zaitkofen, ha detto: «Non si tratta di firmare un qualche accordo, ecc. ecc.». Tuttavia, dieci minuti più tardi, ha continuato: «Ma se Roma ci propone un riconoscimento di tolleranza per noi, la cosa è diversa e sarebbe una cosa molto buona.»
E così, ci sono tutte le probabilità che, piuttosto presto che tardi, un gran numero di sacerdoti della FSSPX seguirà docilmente i capi ufficiali nell’abbraccio amoroso dei modernisti di Roma, un abbraccio che col tempo diventerà tanto stretto, quanto basta per soffocare ogni residuo sforzo volto a combattere contro quel modernismo mortale che sta facendo fuori la Chiesa ufficiale e sta ponendo milioni di anime sulla strada per l’Inferno. Guardando in retrospettiva, si può intuire che Mons. Fellay, negli ultimi 15 anni, abbia lavorato abilmente con i Romani in vista di questo abbraccio. Mons. de Galarreta ha capito qual è la posta, ma ha accettato di condividere la cosa con Mons. Fellay. Mons. Tissier si avvede della minaccia mortale per l’opera di Monsignore, ma non vede la necessità di seguire l’esempio di Monsignore stesso e mettere la Fede prima delle ordinarie regole dell’obbedienza e dell’unità.
E così, cari amici, se vogliamo mantenere la pienezza della Fede e aiutare gli altri a farlo, dobbiamo per lo meno interiormente salire in montagna. Non abbiate paura. Mantenete il sangue freddo. Non c’è bisogno di perdersi d’animo o di disperare. Dio non cambia, e la battaglia per la Sua causa si fa sempre più gloriosa che mai. Sacerdoti, occhi aperti, e soprattutto non illudetevi che nulla sia cambiato nella Fraternità. Essa è già sostanzialmente cambiata. Laici, occhi aperti pure voi, e pregate, e Dio vi darà i capi e i sacerdoti delle vostre preghiere.
Fidiamo in Dio e nella Sua Santissima Madre.
Kyrie eleison.
Cattolici, quando vedete di Roma il consenso,
salire in montagna è l’unica cosa che ha senso