venerdì 19 luglio 2013

QUAM FIDEM?

Ho letto velocemente la prima enciclica scritta di papa Francesco o meglio dal duo Benedetto XVI – Francesco

Che sia un duo, ho meglio che siano due ad averci messo le mani, lo dice esplicitamente papa Francesco, così che nessuno dica che ciò non risponda al vero e questo già è una novità.

Con questo articolo vorrei evidenziare alcuni degli aspetti di questa enciclica e della fede in essa contenuta che, seppur ad una superficiale lettura, hanno catturato il mio interesse e stupore.

Senza nessuna pretesa riporto, commentandole alla luce del Magistero perenne, solo alcune “stranezze”  che, per contro, sembrano essere sempre in continuità con quello conciliare.

 

1)      ALCUNI NUMERI

La parola amore, scritta minuscola o maiuscola ricorre ben 142 più di 1/3 della parola fede che ricorre 383 volte, magari non sarebbe molto indicativo se non fosse per il fatto che il termine amore è ambiguo mentre, per indicare quello soprannaturale, come virtù teologale la Chiesa cattolica scrive Carità termine che compare solo 5 volte.

Fede, Speranza e Carità le tre virtù teologali, il  termine virtù compare solo 2 volte.

Il termine soprannaturale solo 3 volte.

Il termine cattolica solo 2 volte di cui una è una citazione, considerando che dovrebbe trattarsi della fede cattolica mi sembra un record.

Ma il record negativo spetta indovinate a chi?

Questo sconosciuto: il peccato.

Inferno e dannazione: mai (collegate al peccato).

Anima: 6 volte

Anche salvezza solo 9 volte

Tutto ciò in più di 80 pagine.

 

2)      DOPPIA NATURA DI FEDE

La fede nasce nell’incontro con il Dio vivente, che ci chiama e ci svela il suo amore, un amore che ci precede e su cui possiamo poggiare per essere saldi e costruire la vita. Trasformati da questo amore riceviamo occhi nuovi, sperimentiamo che in esso c’è una grande promessa di pienezza e si apre a noi lo sguardo del futuro. La fede, che riceviamo da Dio come dono soprannaturale, appare come luce per la strada, luce che orienta il nostro cammino nel tempo.

La fede è un ‘illuminazione soprannaturale, un dono di Dio, la seconda parte è esatta, la prima è errata perché non nasce, appunto, dall’incontro, in questo senso è come se la causa agente della fede sia contemporaneamente l’uomo e Dio che dialogano (lo si vedrà più avanti) nell’incontro e da questo incontro ne scaturirebbe la Fede.

Ciò è errato o quanto meno ambiguo e contrario al concetto di dono, perché non essendo parte della nostra natura, la fede, virtù soprannaturale, si aggiunge alla nostra facoltà intellettiva (intelletto possibile) e ci dà la possibilità di conoscere ciò che naturalmente non si può, cioè i misteri propri della nostra Fede, quindi di Dio, che, in qualità di Ente, è estrinseco a noi.

Più avanti si vedrà che questo concetto verrà totalmente negato: Dio non più oggetto di conoscenza.

 

3)      FUORI DALLA CHIESA?

L’immagine del corpo non vuole ridurre il credente a semplice parte di un tutto anonimo, a mero elemento di un grande ingranaggio, ma sottolinea piuttosto l’unione vitale di Cristo con i credenti e di tutti i credenti tra loro (cfr Rm 12,4-5). I cristiani sono “uno” (cfr Gal 3,28), senza perdere la loro indivi­dualità, e nel servizio agli altri ognuno guadagna fino in fondo il proprio essere. Si capisce allo­ra perché fuori da questo corpo, da questa unità della Chiesa in Cristo, da questa Chiesa che — secondo le parole di Romano Guardini1 — « è la portatrice storica dello sguardo plenario di Cristo sul mondo »,16 la fede perde la sua “misura”, non trova più il suo equilibrio, lo spazio necessario.

Quindi fuori della Chiesa non è che ci sono gli infedeli, gli eretici, gli scismatici, uomini destinati alla dannazione eterna, se non vi entrano, no, solo uomini che hanno perso la misura della fede, l’equilibrio, lo spazio necessario.

Non sono uomini senza lo Spirito Santo, senza la Grazia, in stato di peccato mortale ma individualità che hanno perso la misura della fede ecc.

Niente più Nulla salus extra ecclesiam!

Ma Extra ecclesiam nulla modum!

 

4)      ASSIST AGLI ERETICI

Se l’amore ha bisogno della verità, anche la verità ha bisogno dell’amore. Amore e verità non si possono separare. Senza amore, la verità di­venta fredda, impersonale, oppressiva per la vita concreta della persona. La verità che cerchiamo, quella che offre significato ai nostri passi, ci illu­mina quando siamo toccati dall’amore. Chi ama capisce che l’amore è esperienza di verità, che esso stesso apre i nostri occhi per vedere tutta la realtà in modo nuovo, in unione con la persona amata.

La prima cosa da notare è la mancanza di chiarezza nel termine amore, per cui non si capisce se si riferisce alla Carità, che è una virtù teologale soprannaturale, che informa la fede, oppure si parla di amore naturale.

L’errore è evidente perché la Verità senza amore potrà essere pure “fredda” e “impersonale” ma rimane sempre Verità.

Altra considerazione è: cosa vuol dire impersonale?

La verità non è personale, soggettiva se s’intende per personale che ogni persona ha una sua verità, siamo in pieno soggettivismo, invece la Verità è oggettiva, (adaequatio rei et intellectus) sembrerebbe quasi che l’amore determini cosa è la verità.

Poi oppressiva, infatti, come vedremo in seguito, la Verità non è un insieme di articoli o precetti.

L’Amore ha bisogno della Verità, infatti la prima Carità è dire la Verità, non è vero il contrario, infatti gli eretici pur amando, non con amore di Carità, professano anche alcune Verità ma non la Verità tutta intera.

La carità si perde con il peccato mortale, mentre non si perde la fede che è l’insieme delle Verità rivelate, come nella professione, si può dunque avere Verità senza carità, negli eretici, negli scismatici o negli infedeli è evidente, oltre al fatto che possiedono solo alcune verità.

Ciò è ancor più vero per un cattolico in stato di peccato mortale.

La verità quindi non ha bisogno dell’amore, se parliamo di Dio è vero che la verità e l’amore sono inseparabili nell’uomo invece purtroppo no!

Mentre non avremo mai carità senza verità è possibile il contrario.

Certamente tutto ciò è subordinato al significato assegnato al termine amore.

Questa frase è stata usata dall’eretico Vito Mancuso il quale ha visto, come dargli torto, in queste parole, una destituzione del freddo primato della dottrina e  che esse sanno ritrasmettere al meglio il senso evangelico della verità e che il senso della vita cristiana risieda esattamente in queste parole. http://www.vitomancuso.it/2013/07/06/la-paura-della-modernita/

Stendo un velo pietoso sul resto dell’articolo di questo pericolosissimo eretico!

 

5)      IL PECCATO ORIGINALE

Ne parlare del battesimo in un piccolo paragrafo leggiamo molte cose tra cui: L’acqua del Battesimo è fedele perché ad essa ci si può affidare, perché la sua corrente immette nella dinamica di amore di Gesù, fonte di sicu­rezza per il nostro cammino nella vita.

Ma in realtà l’acqua del battesimo cancella anzitutto il peccato originale, ci conferisce la Grazia Santificante e ci fa diventare cattolici, liberandoci così dalla schiavitù di satana.

Sottigliezze.

 

6)      21 RIGHE

Tante sono quelle dedicate alla natura sacramentale della fede che trova la sua espressione massima nell’Eucaristia.

Non sarà forse che trattando approfonditamente dell’Eucaristia l’aspetto ecumenico di questa enciclica possa offuscarsi?

Leggiamo: Nell’Eucaristia impariamo a vedere la profondità del reale. Il pane e il vino si trasformano nel corpo e sangue di Cristo, che si fa presente nel suo cammino pa­squale verso il Padre: questo movimento ci intro­duce, corpo e anima, nel movimento di tutto il creato verso la sua pienezza in Dio.

Perché non usare mai il termine corretto transustanziazione?

Perché non dire, com’è di Fede, che si fa presente realmente nel sacrificio incruento dell’altare, nella santa Messa ripresentazione dell’unico sacrificio cruento avvenuto nella passione e morte di Gesù?

Troppo difficile?

Non credo, che significa cammino pasquale verso il Padre?

La frase è del tutto sconnessa anche in senso reale perché il Figlio è sempre nel Padre (circumsessio) quindi, non cammina verso il Padre nè lo fa con la sua ipostasi (Cristo).

Con la sua presenza reale nell’eucaristia si offre al padre come sacerdote e vittima ancora una volta sugli altari per la nostra salvezza e come cibo della nostra anima, questo “movimento”, che dovrebbe essere un sacramento, non ci introduce nel movimento di tutto il creato!

Ma se “questo movimento” (sic!) ci introduce vuol dire che prima ne eravamo fuori oppure eravamo statici, il che potrebbe anche essere, ma com’è possibile che tutto il creato sia in movimento verso la pienezza di Dio prima di noi, infatti se è questo movimento che ci introduce è chiaro che il creato è già in questo movimento.

Vien da domandarsi però: o il movimento del creato verso la pienezza di Dio avviene in forza di un movimento proprio e senza l’eucarestia, visto che fisicamente non ne può usufruire, e quindi il creato di per sè tende alla sua pienezza in Dio (sembrerebbe quasi un pantesimo gnostico) oppure anch’esso usufruisce, anzi usufruiva, dell’Eucarestia ancor prima dell’eucarestia stessa, visto che essa ci introduce in un movimento presupposto.
Mah!

Forse che il mio cucciolo di Breton, Oliver, che fa parte del creato, muove la sua pienezza in Dio?

Forse anche lui va verso la sua pienezza in Dio?

Non è che i due papi hanno letto il catechismo alla bolzanese.(vedasi vecchio post)

Semmai, per la sua natura, in quanto creatura e partecipante dell’essere vien mosso e mantenuto nell’essere in quanto tale.

E’ da notare che è posta in risalto la pienezza del creato, infatti dice “sua” in Dio

In realtà Egli ci unisce fisicamente a Lui, per accidens, nella comunione, conferendoci ulteriori grazie ed un aumento della Grazia santificante.

 

7)      NESSUN DEPOSITO MA MEMORIA FIDEI

 

Nella celebrazione dei Sacramenti, la Chie­sa trasmette la sua memoria, in particolare, con la professione di fede. In essa, non si tratta tanto di prestare l’assenso a un insieme di verità astratte. Al contrario, nella confessione di fede tutta la vita entra in un cammino verso la comunione piena con il Dio vivente. Possiamo dire che nel Credo il credente viene invitato a entrare nel mistero che professa e a lasciarsi trasformare da ciò che pro­fessa.

La Chiesa quindi non trasmette più il deposito della Fede, un ‘oggetto affidato da Dio Rivelante ad un soggetto fisico con lo scopo di mantenerlo intatto, no, trasmette la sua memoria, frase ambigua dall’evidente accenno antropologico.

Ma la cosa grave è la frase successiva, contraria sempre a ciò che sempre è stato insegnato, la professione di Fede è formata di nozioni, di concetti che si chiamano appunto articoli di Fede e noi dobbiamo assenso d’intelletto e volontà a queste Verità rivelate.

Si propone la solita frase ambigua che si fonda come le altre sul cammino, l’amore, l’incontro.

Nel credo il credente aderisce  con le sue facoltà, con le potenze dell’anima a ciò che Dio per mezzo della Santa Chiesa ci propone a credere.

Se qualcuno pensasse che si trattasse solo di una frase estrapolata eccone una seconda: Altri due elementi sono essenziali nella tra­smissione fedele della memoria della Chiesa.

Ma il termine memoria, memoriale è quello che, a proposito dei sacramenti, fa la differenza tra la Actio del sacerdote in persona Christi e la celebrazione dei fedeli riuniti in assemblea presieduta dal presidente ove si fa memoria, appunto, dell’ultima cena, un simbolo più che un segno!

Lutero:“la messa non è un sacrificio, o l’azione del sacrificatore... Chiamiamola benedizione, eucarestia, mensa del Signore o memoriale del Signore. Le si dia qualunque altro nome, purché non la si macchi col nome di sacrificio” .

Memoria della Chiesa, svilisce, a mio parere, se non elimina, il concetto di Tradizione, la quale, nella memoria della Chiesa può anche perdersi, mentre essa è una delle due fonti della Rivelazione!

Tramandando più la memoria, che è un fatto tipico umano, si da risalto oltre modo all’importanza del soggetto Chiesa quale strumento di trasmissione dell’oggetto della Chiesa che è il depositum fidei, il soggetto Chiesa è passibile e cangiante, l’oggetto immutabile ed eterno: le verità rivelate.

Proprio dal fatto che lo Spirito Santo  “ricorderà quanto detto” porre la questione in questi termini non esalta l’azione dello Spirito Santo ma solo la capacità del soggetto chiesa di trasmettere se stessa.

L’obiezione quindi dell’assistenza dello Spirito, semmai si sollevasse, è così risolta.

Si rafforza il concetto di Tradizione vivente, ecco qua: La fede, infatti, ha bisogno di un ambito in cui si possa testimoniare e comunicare, e che questo sia corrispondente e proporzionato a ciò che si comunica. Per trasmettere un contenuto meramente dottrinale, un’idea, forse basterebbe un libro, o la ripetizione di un messaggio orale. Ma ciò che si comunica nella Chiesa, ciò che si trasmette nella sua Tradizione vivente, è la luce nuova che nasce dall’incontro con il Dio vivo, una luce che tocca la persona nel suo centro, nel cuore, coinvolgendo la sua mente, il suo volere e la sua affettività, aprendola a relazioni vive nella comunione con Dio e con gli altri.

Come sappiamo invece la Tradizione è viva perché immutabile e crescente omogeneamente secondo quanto specificato da S. Vincenzo di Lerino e nel concilio vaticano I2 (eodem senso eadem sententia) mentre il magistero, quale organo trasmittente è vivente.

Ancora:

Il passato della fede, quell’atto di amore di Gesù che ha generato nel mondo una nuova vita, ci arriva nella memo­ria di altri, dei testimoni, conservato vivo in quel soggetto unico di memoria che è la Chiesa.

La Chiesa quindi non è più  l’organo trasmettitore deputato a mantenere intatte le Verità (oggetto) rivelate contenute nelle Sacre Scritture e nella Tradizione ma soggetto unico di memoria, tale memoria in un soggetto fisico può svanire, sbiadire, perdersi.

La Chiesa, come ogni famiglia, trasmette ai suoi figli il contenuto della sua memoria.

Di fatto la parola deposito è usata solo 1 volta in tutto il testo peraltro per citare una lettera di San paolo.

La Chiesa trasmette ai suoi figli il deposito della fede non la sua memoria, che di fatto è una cosa assurda, quando dico a mio figlio ricordati di dire il rosario non gli trasmetto mica la mia memoria!

 

 

8)      IL DESERTO DELL’IO

 

Ovvero il decalogo.

Capolavoro in stile ratzingeriano è la seguente frase: Il Decalogo non è un insieme di precetti negativi, ma di indicazioni concrete per uscire dal deserto dell’ “io” autoreferenziale, chiuso in se stesso, ed entrare in dialogo con Dio, lasciandosi abbracciare dalla sua misericordia per portare la sua misericordia.

No proprio no, ciò non è vero, nessun dialogo, Dio impone un ordine al tutto, liberamente noi possiamo aderire o meno, ma l’atto disordinato viola quest’ordine è si materializza il peccato che nel caso del decalogo merita la morte eterna, la dannazione per l’offesa arrecata.

Nessun accenno al pentimento, alla richiesta di perdono.

Come si concretizza la misericordia di Dio nei nostri confronti?

Sul piano dell’economia della salvezza in generale,il  Dio-uomo, Gesù, paga il prezzo dell’offesa col suo sacrificio rendendo giustizia e soddisfazione al Padre da noi infinitamente offeso, sul piano individuale, grazie ai meriti di Cristo, con il battesimo, la confessione e quel che ne consegue.

Per i due papi, come tutti ormai “normalmente” dicono, la misericordia avviene così, in dialogo, sic et simpliciter.

 

9)     DANNO A CHI?

 

Pro­prio perché tutti gli articoli di fede sono collegati in unità, negare uno di essi, anche di quelli che sembrerebbero meno importanti, equivale a dan­neggiare il tutto.

La frase è totalmente estranea al concetto di danno che subisce l’anima, infatti negando pertinacemente uno o più articoli di fede si diventa eretici e quindi separandosi dalla Chiesa ci si trova in stato di peccato mortale perdendo così la Grazia santificante.

Il termine tutto se è riferito alla Fede divinamente rivelata è completamente errato perché nessun eretico o infedele o chicchessia negando la Verità potrà danneggiarla.

Infatti col peccato, come si insegna, si offende Dio ma certamente non lo si danneggia o lo si  diminuisce in qualche modo.

Se invece fosse riferito all’uomo, al quale dovrebbe essere diretto e più propriamente appartiene il danno, la frase è ugualmente errata o almeno non spiega quale sia il danno.

E’ vero che col peccato originale anche il corpo dell’uomo fu ferito, ma il danno maggiore lo subisce l’anima e non il tutto.

Se commetto un peccato mortale la mia parte fisica rimane inalterata mentre l’anima perde la sua amicizia con Dio e viene danneggiata e meritevole di morte.

Se invece col termine “tutto” si vuol significare la dignità morale o totale, ma dubito che questo concetto appartenga ai due papi, allora potrei anche accettarlo.

D'altronde i gravi errori del concilio si basano proprio sulla mancata distinzione di dignità naturale e totale.

Domanda: perché specificare con la frase anche quelli che sembrerebbero meno importanti?

Vi sono forse per Ratzinger o Benedetto XVI, dogmi più o meno importanti, fondamentali e non fondamentali?

Se lui non la pensa così è evidente che quella esposta è una tautologia.

Oppure siamo di fronte all’ennesimo errore ermeneutico del concilio Vaticano II?

In UR 11 infatti ricordiamo che si parla di gerarchia delle Verità in senso ambiguo e soprattutto, per fini ecumenici, è stato interpretato nel modo per cui ci sono delle Verità più importanti ed altre meno (i dogmi mariani, per esempio, che ci separano, giustamente, dagli eretici).

 

 

10)REGALITA’ SOCIALE DELL’UOMO

 

Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. (Giovanni 15:19)

 

Invece abbiamo nell’enciclica: La fede non allontana dal mondo e non risulta estra­nea all’impegno concreto dei nostri contempo­ranei.

Ma come, è un imperativo del cattolico fuggire il mondo, è una delle tre concupiscenza con cui combatte giornalmente per tutta la sua vita, il mondo è stato giudicato dice Gesù, come il principe di questo mondo.

La seconda parte della frase potrebbe ancora essere in linea con la fede cattolica se fosse più chiara cioè se i nostri contemporanei fossero cattolici e tutti tesi ad instaurare sulla terra il regno di Dio, la sua Chiesa, per mezzo della Regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, ma non vi sarebbe posto, in questo caso, per il mondo che verrebbe allontanato, anzi distrutto e schiacciato dalla Città di Dio anche su questa terra.

Di che fede si tratta?

Forse la fede dei nostri contemporanei buddisti o musulmani o giudei potrebbe contribuire ad edificare la città di Dio?

Ad edificare il regno di Dio su questa terra, la Chiesa Cattolica?

Quam fidem?

 

11)  ANTROPOCENTRISMO

 

Celso rimproverava ai cristiani quello che a lui pareva un’illusione e un inganno: pensare che Dio avesse creato il mondo per l’uomo, ponen­dolo al vertice di tutto il cosmo. Si chiedeva al­lora: « Perché pretendere che [l’erba] cresca per gli uomini, e non meglio per i più selvatici degli animali senza ragione? »,46 « Se guardiamo la ter­ra dall’alto del cielo, che differenza offrirebbero le nostre attività e quelle delle formiche e delle api?

Questa frase ci fa comprendere come totalmente sia ribaltata la fede cattolica, se Celso rimproverava ai cristiani di porre l’uomo al centro di tutto faceva bene, evidentemente si trovava davanti a degli antesignani del concilio e della Gaudium et Spes dove si trova la famosa frase equivoca: hominem, qui in terris sola creatura est quam Deus propter seipsam voluerit” (GS 24.4)

In essa si afferma che l’uomo è “il centro e il vertice di tutto quanto esiste sulla terra (omnia quae in terra sunt ad hominem tamquam ad centrum suum et culmen ordinanda sunt)” (GS, 12.1). Che l’intero mondo e persino l’universo siano ordinati all’uomo,  contrasta con quanto affermato dalla Bibbia e sempre ritenuto dalla teologia ortodossa: “Universa propter semetipsum operatus est Dominus” (Prov. 16, 4)

La dottrina corretta, sempre insegnata dalla Chiesa a proposito della creazione, è che Dio ha voluto tutte le cose per la Sua gloria: nella creazione Egli celebra se stesso, non l’uomo. S. Tommaso: “Dio vuole le cose finite in quanto vuole sé stesso creante le cose finite: ‘Sic igitur Deus vult se et alia: sed se ut finem, alia ad finem’ (ST, I, q. 19. a. 2). Quindi le cose finite che vuole le vuole per sé stesso, non per sé stesse, non potendo il finito essere il fine dell’infinito né potendo la divina volontà essere attratta e passiva rispetto al finito”. Nella religione, “che ordina tutto a Dio e non all’uomo”, la “centralità finalistica” dell’uomo, così cara allo spirito dell’uomo contemporaneo, “non ha fondamento alcuno”.

Celso dunque aveva più fede e buon senso dei cristiani di oggi.

Si persevera nell’errore di GS.3

 

Qualcuno obietterà ancora che invento tutto, allora riporterò quest’altra frase: Al centro della fede biblica, c’è l’amore di Dio, la sua cura concreta per ogni persona, il suo disegno di salvezza che abbraccia tutta l’umani­tà e l’intera creazione e che raggiunge il vertice nell’Incarnazione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo. Quando questa realtà viene oscurata, vie­ne a mancare il criterio per distinguere ciò che rende preziosa e unica la vita dell’uomo. Egli per­de il suo posto nell’universo, si smarrisce nella natura, rinunciando alla propria responsabilità morale, oppure pretende di essere arbitro asso­luto, attribuendosi un potere di manipolazione senza limiti.

Tutto ciò non corrisponde esattamente alla realtà perché non mette in risalto che:

1)      La fede esplicita è necessaria alla salvezza mentre qui si parla di realtà oscurata, tutto è visto dal punto di vista dell’uomo

2)      Non avere la Fede significa essere in peccato mortale, negare il primo comandamento

3)      In questo stato non si  per­de il … posto nell’universo, non ci  si smarrisce nella natura ma si perde l’anima e si va all’inferno.

Ancora una volta si mette l’accento sul posto dell’uomo nell’universo.

 

 

 

NOTE:

1)      Tutto un programma, ecco chi è tal Guardini: Romano Guardini è definito "Padre della Chiesa del XX secolo" dalla sua biografa Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz. I suoi studi ebbero per oggetto temi tradizionali riesaminati alla luce delle sfide della modernità e reciprocamente l'analisi di problemi attuali affrontati dal punto di vista cristiano e in specie cattolico. Egli è teologo di riferimento anche per papa Benedetto XVI, il quale volentieri lo ha citato nelle proprie numerose pubblicazioni teologiche. Riferendosi allo sviluppo del pensiero di Guardini, Joseph Ratzinger evidenzia, tra l'altro, l'originaria posizione più vicina alle tesi liberali e successivamente il progressivo avvicinarsi dell'autore a posizioni più tradizionali. Guardini è considerato peraltro uno dei più significativi rappresentanti della filosofia e teologia cattolica del XX secolo, in specie per quanto riguarda la liturgia, la filosofia della religione, la pedagogia, l'ecumenismo e in generale la storia della spiritualità. Nella sua prima grande opera: Lo spirito della liturgia (1917) Guardini pose le pietre miliari del cosiddetto “Movimento liturgico” e del rinnovamento della liturgia. Con tale contributo egli influenzerà fortemente la riforma liturgica poi avviata dal Concilio Vaticano II.  (fonte : wikipedia) HAI CAPITO!

2)      Si deve notare che l’errore sembrerebbe essere derivato da un ‘errore di traduzione, poco importa perché poi questa frase fa parte del nuovo catechismo della chiesa cattolica.

3)      Sessione III cap. IV.

 

 

venerdì 28 giugno 2013

CARA MENZINGEN NON E’ SUFFICIENTE

 

Lettera di Monsignor WilliamsonParafrasando un celebre articolo di Mons. Williamson1, all'indomani del documento postato ieri, sebbene io  abbia accolto bene la dichiarazione di 3 dei 4 vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X, sospendo il mio giudizio in attesa che  segua anche di fatto ciò che è stato dichiarato in quel documento.

Credo sia anzitutto doveroso, proprio per spirito di Carità, se è vero ciò che si dichiara,  ammettere che le debolezze umane a volte ci sviano dal nostro fine e quindi riabilitare coloro che sono stati o esautorati o minacciati o puniti per aver dichiarato e fatto da sempre ciò che oggi si riporta in evidenza con la recentissima dichiarazione e cioè la missione voluta da Dio per mezzo di Mons. Lefebvre.

Non è sufficiente dunque dire di essere d’accordo con Monsignore e rigettare tutto il CVII se poi si mantiene questa linea dittatoriale volta all’epurazione di quelli che fanno della posizione di Mons. la loro vera missione.

Bisogna, per umiltà (frutto del primo mistero gaudioso), ammettere i propri errori, perché se errare è umano perseverare è diabolico e tendere la mano al fratello con spirito di umiltà.

Non si vuole qui insegnare dottrina o dare lezioni di morale  a dei vescovi o sacerdoti di Santa Romana Chiesa, perché se essi sono sempre dei superiori, ma si vuol ricordare che sono anch’essi ancor  prima dei cattolici, si è infatti prima cattolici poi sacerdoti, vescovi ecc.

Gesù non ha certo preteso meno dai suoi apostoli, anzi, tutto il contrario, proprio perché in qualità di pastori, imitatori del Buon Pastore, sono tenuti all’esempio perchè a chi più è stato dato più sarà richiesto. (Lc 12,48)

Non è dunque sufficiente dire noi crediamo questo e quest’ altro se non si ammette di aver commesso alcuni errori magari anche in buona fede.

Non è forse quello che ci si aspetta da roma?

Ma è anche quello che si aspettano i fedeli disorientati, spaccati, impauriti, silenziati ed in alcuni casi allontanati per questo clima interno alla Fraternità.

Poi finalmente diventa necessario operare fattivamente alla consolidazione del piccolo resto che Dio  ha scelto per la Sua battaglia e la sua Gloria.

In tale contesto bene scrive Don Girouard (leggi QUI):

a un certo punto Mons. Fellay e i suoi discepoli si sono intimoriti per la percezione negativa che i cattolici della Chiesa ufficiale ricavavano da questi tre elementi.

 

1)      che la Messa Antica non ha mai avuto bisogno di essere “liberata”, poiché la bolla Quo Primum ha sempre dato il diritto di celebrarla, poco importa ciò che dicono i vescovi Novus Ordo;
2) che le “scomuniche” non sono mai state valide;
3) che il nuovo stile delle argomentazioni della FSSPX deriva dal suo desiderio di non essere più “percepita” come “amara”, “crudele”, “disobbediente”, ecc.

 

Hanno cominciato a credere che una tale percezione negativa costituisse un ostacolo per la salvezza di queste povere anime. Ecco perché, allo scopo di eliminare questo ostacolo, hanno deciso di seguire le suggestioni del GREC, vale a dire: hanno scelto di impiegare dei mezzi cattivi per raggiungere un fine buono. Poco importa che anche da una minima conoscenza del catechismo si sappia che questo non può essere mai moralmente permesso.

 

In realtà tutto l’impianto nasce  dal desiderio che la FSSPX un giorno possa essere ben vista da coloro che appartengono alla Chiesa ufficiale.
In altri termini, la crisi che noi attraversiamo da circa quindici anni, dalla fondazione del “Groupe de Réflexion Entre Catholiques” (GREC), è basata su una questione di PERCEZIONE, cioè su ciò che gli altri pensano di noi.

Devo dire sinceramente che l’articolo di Don Girouard è veramente bello e significativo e bisogna ammettere, anche, che c’era del vero nel mio articolo  per una inutile riconciliazione, niente di geniale ma semplice analisi della realtà.

Ecco infatti cosa afferma Don Girouard: I modernisti e i perversi di Roma non mi hanno spogliato della mia appartenenza alla Chiesa cattolica, mi hanno semplicemente dato la gioia di ricevere una delle beatitudini rivelate da Nostro Signore, quella di soffrire la persecuzione a causa della giustizia!
Perché dunque si vorrebbe che mi si togliesse questa beatitudine?

Se siamo cattolici di cosa dovremmo preoccuparci?

Quale unità ci sarebbe con roma senza la Fede?

Come per roma non è sufficiente “ridarci” la Messa, togliere le scomuniche e voler riconoscere la Fraternità altrettanto non è sufficiente a Menzingen una dichiarazione di Fede e fedeltà alla Chiesa nel primo caso ed al suo fondatore nel secondo.

Per quanto ne so, il Consiglio Generale non ha ancora inviato a Roma un altro documento ufficiale che precisa che questa Dichiarazione Dottrinale sarebbe ormai revocata o nulla o mai trasmessa. Quindi, questo documento di aprile 2012 rappresenta sempre la posizione ufficiale della Fraternità su queste questioni.

Attendiamo questo atto come primo passo e magari, perché no, anche una telefonata a Big Double U!

La torta è tutta avvelenata non serve che il veleno sia solo il 5%.

Aspettiamo con fiducia pregando il Santo Rosario per questa reale unità e la riabilitazione dei prelati e vescovi nonché dei fedeli allontanati!

 

                                                                                                                      Stefano Gavazzi

 

NOTE:

1) lettera M.Williamson 2003 - Motivi dell'impossiblità di unire la Tradizione con la Chiesa conciliare, considerazioni sul "sedevacantismo" e "indultismo"

St Thomas Aquinus Seminary R.R. 1, BOX 97 A-1 Winona MINNESOTA 55987 (507) 454-8000

1 febbraio 2003

giovedì 27 giugno 2013

SEGNI DI RIPRESA?

Con molta cautela e con ancora una certa diffidenza, in attesa che anche gli errori all'interno della FSSPX vengano corretti e giustamente riabilitati quanti  hanno sempre fatto ciò che si dice solo nella dichiarazione, pubblico quanto segue ricevuto da UNAVOX:

Fraternità Sacerdotale San Pio X

Dichiarazione nella ricorrenza
del 25° anniversario
delle Consacrazioni Episcopali

(30 giugno 1988 – 27 giugno 2013)


del 27 giugno 2013


da DICI




1 - Nella ricorrenza del 25° anniversario delle Consacrazioni Episcopali, i vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X intendono esprimere solennemente la loro gratitudine a Mons. Marcel Lefebvre e a Mons. Antonio De Castro Mayer per l’atto eroico che hanno avuto il coraggio di porre, il 30 giugno 1988. In particolare vogliono manifestare la loro filiale riconoscenza verso il venerato fondatore il quale, dopo tanti anni al servizio della Chiesa e del Sommo Pontefice, non ha esitato a subire l’ingiusta accusa di disobbedienza per la difesa della fede e del sacerdozio cattolico.
  
2 - Nella lettera che ci indirizzò prima delle consacrazioni, scriveva: “Vi scongiuro di rimanere attaccati alla sede di Pietro, alla Chiesa romana, madre e maestra di tutte le Chiese, nella fede cattolica integrale, espressa nei simboli della fede, nel Catechismo del Concilio di Trento, conformemente a quanto vi è stato insegnato in seminario. Rimanete fedeli nel trasmettere questa fede perché venga il regno di Nostro Signore.” E’ proprio questa frase che esprime le ragioni profonde dell’atto che si accingeva a compiere. “Perché venga il regno di Nostro Signore”, Adveniat regnum tuum.

3 - Al seguito di Mons. Lefebvre affermiamo che la causa dei gravi errori che stanno demolendo la Chiesa non risiede in una cattiva interpretazione dei testi conciliari – in una “ermeneutica della rottura” che si opporrebbe ad una “ermeneutica della riforma nella continuità” – , ma piuttosto nei testi stessi, a causa della scelta inaudita operata dal Concilio Vaticano II.
Questa scelta si manifesta nei suoi documenti e nel suo spirito: di fronte all’“umanesimo laico e profano”, di fronte alla “religione (poiché tale è) dell’uomo che si fa Dio”, la Chiesa, unica detentrice della Rivelazione “del Dio che si è fatto uomo”, ha voluto far conoscere il suo “nuovo umanesimo” dicendo al mondo moderno: “Anche noi, e più di chiunque altro, abbiamo il culto dell’uomo” (Paolo VI, Discorso di chiusura, 7 dicembre 1965). Ora, questa coesistenza del culto di Dio e del culto dell’uomo si oppone radicalmente alla fede cattolica che ci insegna a rendere il culto supremo e a riconoscere il primato esclusivamente al solo vero Dio e al suo Unigenito, Gesù Cristo, nel quale “abita corporalmente la pienezza della divinità” (Col. 2,9).

4 - Siamo dunque obbligati a constatare che questo Concilio atipico, che ha voluto essere solo pastorale e non dogmatico, ha inaugurato un nuovo tipo di magistero, sconosciuto fino ad allora nella Chiesa, senza radici nella Tradizione; un magistero determinato a conciliare la dottrina cattolica con le idee liberali; un magistero imbevuto dei principi modernisti del soggettivismo, dell’immanentismo e in perpetua evoluzione, conformemente al falso concetto della tradizione vivente, in quanto altera la natura, il contenuto, il ruolo e l’esercizio del magistero ecclesiastico.

5 - Per questo il regno di Cristo non è più la preoccupazione delle autorità ecclesiastiche, benché queste parole di Cristo: “Ogni potere mi è stato dato sulla terra e in cielo” (Mt 28,18) rimangano una verità ed una realtà assolute. Negarle nei fatti significa non riconoscere più in pratica la divinità di Nostro Signore. Così, a causa del Concilio, la regalità di Cristo sulle società umane è semplicemente ignorata, addirittura combattuta e la Chiesa è prigioniera di questo spirito liberale che si manifesta specialmente nella libertà religiosa, nell’ecumenismo, nella collegialità e nel nuovo rito della messa.

6- La libertà religiosa esposta in Dignitatis humanae e la sua applicazione pratica da cinquant’anni conducono logicamente a chiedere al Dio fatto uomo di rinunciare a regnare sull’uomo che si fa Dio; il che equivale a dissolvere Cristo. Al posto di una condotta ispirata da una fede solida nel potere reale di Nostro Signore Gesù Cristo, noi vediamo la Chiesa vergognosamente guidata dalla prudenza umana e a tal punto dubbiosa di sé che chiede agli Stati soltanto ciò che le logge massoniche vogliono concederle: il diritto comune, nel mezzo e allo stesso livello delle altre religioni, che essa non osa più chiamare false.

7 - Nel nome di un ecumenismo onnipresente (Unitatis Redintegratio) e di un vano dialogo interreligioso (Nostra Aetate) la verità sull’unica Chiesa è taciuta; così la stragrande maggioranza dei pastori e dei fedeli, non vedendo più in Nostro Signore e nella Chiesa Cattolica l’unica via della salvezza, hanno rinunciato a convertire i seguaci delle false religioni, lasciandoli nell’ignoranza dell’unica Verità. In questo modo l’ecumenismo ha letteralmente ucciso lo spirito missionario attraverso la ricerca di una falsa unità, riducendo troppo spesso la missione della Chiesa alla proclamazione di un messaggio di pace puramente terrena e ad un ruolo umanitario di sollievo alla miseria nel mondo, mettendosi così al seguito delle organizzazioni internazionali.

8 - L’indebolimento della fede nella divinità di Nostro Signore favorisce una dissoluzione dell’unità dell’autorità nella Chiesa, introducendovi uno spirito collegiale, egalitario e democratico (cfr. Lumen Gentium). Cristo non è più il capo da cui deriva tutto, in particolare l’esercizio dell’autorità. Il Sommo Pontefice, che non esercita più effettivamente la pienezza della sua autorità, così come i vescovi, i quali – contrariamente agli insegnamenti del Concilio Vaticano I – pensano di poter condividere collegialmente e in maniera abituale la pienezza del potere supremo, ascoltano e seguono oramai, con i sacerdoti, il “popolo di Dio”, nuovo sovrano. Questo significa distruzione dell’autorità e di conseguenza rovina delle istituzioni cristiane: famiglie, seminari, istituti religiosi.

9- La nuova messa, promulgata nel 1969, diminuisce l’affermazione del regno di Cristo attraverso la Croce (“Regnavit a ligno Deus”). Infatti il suo stesso rito sfuma e offusca la natura sacrificale e propiziatoria del sacrificio eucaristico. Soggiacente a questo nuovo rito si trova la nuova e falsa teologia del mistero pasquale. L’uno e l’altra distruggono la spiritualità cattolica fondata nel sacrificio di Nostro Signore sul Calvario. Questa messa è impregnata di uno spirito ecumenico e protestante, democratico e umanista che soppianta il sacrificio della Croce. Essa illustra la nuova concezione del “sacerdozio comune dei battezzati” che deforma il sacerdozio sacramentale del presbitero.

10 - Cinquant’anni dopo il Concilio, le cause sussistono e generano ancora gli stessi effetti. Cosicché ancora oggigiorno le Consacrazioni Episcopali conservano tutta la loro ragion d’essere. È l’amore della Chiesa che ha guidato Mons. Lefebvre e guida i suoi figli. È lo stesso desiderio di “trasmettere il sacerdozio cattolico in tutta la sua purezza e la sua carità missionaria” (Mons. Lefebvre, Itinerario spirituale) che anima la Fraternità San Pio X al servizio della Chiesa quando essa chiede con insistenza alle autorità romane di riappropriarsi del tesoro della Tradizione dottrinale, morale e liturgica.

11 - Questo amore della Chiesa spiega il principio che Mons. Lefebvre ha sempre osservato: seguire la Provvidenza in tutti i frangenti, senza mai permettersi di anticiparla. Noi intendiamo fare altrettanto: sia che Roma ritorni presto alla Tradizione e alla fede di sempre – il che ristabilirà l’ordine nella Chiesa – sia che essa riconosca esplicitamente alla Fraternità il diritto di professare integralmente la fede e di rigettare gli errori che le sono contrari, con il diritto ed il dovere di opporsi pubblicamente agli errori e a coloro che li promuovono, chiunque essi siano – il che permetterà un inizio di ristabilimento dell’ordine. Nel frattempo, di fronte a questa crisi che continua a provocare disastri nella Chiesa, noi perseveriamo nella difesa della Tradizione cattolica e la nostra speranza rimane totale, poiché sappiamo con la certezza della fede che “le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18).

12- Intendiamo quindi seguire la richiesta del nostro caro e venerato padre nell’episcopato: “Miei cari amici, siate la mia consolazione in Cristo, rimanete forti nella fede, fedeli al vero sacrificio della Messa, al vero e santo sacerdozio di Nostro Signore, per il trionfo e la gloria di Gesù in cielo e in terra” (Lettera ai vescovi).
Degni la Santissima Trinità, per intercessione del Cuore Immacolato di Maria, accordarci la grazia della fedeltà all’episcopato che abbiamo ricevuto e che vogliamo esercitare per l’onore di Dio, il trionfo della Chiesa e la salvezza delle anime.

Ecône, 27 giugno 2013, festa della Madonna del Perpetuo Soccorso

Mons. Bernard Fellay

Mons. Bernard Tissier de Mallerais

Mons. Alfonso de Galarreta

mercoledì 26 giugno 2013

Accelerazioni sataniche

Usa: le nozze gay ora sono legali

Sentenza storica della Corte suprema. Un boato accoglie la decisione. Il matrimonio equiparato a quello etero. Cade ogni discriminazione.


Angelo Angeli
 La Corte Suprema ha bocciato il Defence Marriage Act (Doma), la legge federale americana secondo cui il matrimonio è solo tra uomo e donna.
Un boato di gioia, grida e applausi della folla emozionata fuori dalla Suprema Corete hanno accolto la notizia della decisione di abrogare la Doma, la legge federale Usa che nega in sostanza le nozze gay.
Tantissimi con bandiere con i colori del movimento gay e striscioni da giorni attendevano questa sentenza che oggi ha un carattere storico.
 
 
Due ...sposini

Una vittoria dei gay Usa e di tutto il mondo

 
 
La Corte Suprema americana ha bocciato la legge federale che definisce matrimonio solo quello tra uomo e donna spiegando come sia incostituzionale, in quanto viola il quinto emendamento sulla difesa delle libertà individuali. È una vittoria storica per la comunità gay americana, le cui nozze ora sono parificate a quelle etero.
 

 

 Obama: "Un passo storico

 
La sentenza della Corte Suprema sulle nozze gay è "uno storico passo avanti verso l'uguaglianza". Lo ha twittato il presidente Usa, Barack Obama.
 


Ultimo aggiornamento: 27/06/13

martedì 25 giugno 2013

IL GIUSTO GASTIGO PER IL BENE DELLE ANIME, IL VERO BENE

Come pensare che Nostro Signore possa ancora sopportare tali offese da parte nostra ed in special modo da questi mostri, come il giudice di questa vicenda e quella che contro l'evidente principio d'identità, reclamano in maniera scelerata l'esistenza di un terzo genere?

Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix!

 

Trans a sei anni. Vince la causa per andare nel bagno delle bimbe

Martedì, 25 giugno 2013 - 09:38:00
 
Ha 6 anni ed è transgender. La storia di Coy Mathis sta coinvolgendo gli Stati Uniti, tra scettici e sostenitori dei diritti omo. Il bambino, che vive in Colorado, si sente femmina da quando è nato e, insieme alla sua famiglia, ha chiesto e ottenuto di poter utilizzare il bagno delle femmine, cosa inizialmente negata dal direttore della scuola elementare che frequenta. Coy, come racconta la madre, ha mostrato di essere trasgender ad appena 18 mesi e dai 4 anni ha iniziato a volersi vestire come una bambina e ha parlare di sé al femminile. Durante il periodo della scuola materna non ci sono stati problemi e ha potuto utilizzare il bagno delle femmine, senza generare alcun problema.

E' stata la "Fountain-Fort Carson School" che il divieto all'uso del bagno delle bambine è stato netto: "La scuola deve tener conto anche degli altri bambini, dei loro genitori e del futuro impatto che un ragazzo con i genitali maschili che utilizza il bagno delle ragazze potrebbe avere", ha infatti rivendicato il consiglio dell'istituto.
Ne è nato un contenzioso a cui è stata messa la parola fine dalla decisione ultima del direttore del distretto scolastico, Steven Chavez, che ha dato ragione a Coy e alla sua famiglia. Non permettendo a Coy di utilizzare bagno delle bambine, la scuola ha "creato un ambiente pieno di molestie", ha scritto Chavez nella circolare che motiva la sua decisione. L'istituto scolastico ha inoltre dimostrato "una mancanza di comprensione della complessità della questione transgender", facendo riferimento a Coy come maschio e virgolettando sempre la parola "lei", in tutti i documenti che si sono susseguiti nel contenzioso.
IL TERZO GENERE ESISTE, BAMBINI COMPRESI - L'INTERVISTA
Altro che uomini e donne: il terzo genere esiste. E non sono ipotesi avanzate da qualche progressista coraggioso, è un dato scientifico. La nozione di “gender” ha davvero spezzato l’equazione tra sessi e natura. "L'1,7% delle nascite presenta casi d'intersessualità ed è un dato rilevante" spiega ad Affari la filosofa e scienziata Elisa A.G. Arfini, autrice di 'Scrivere il sesso'. "La teoria transgender elimina il concetto di maschio e femmina 'perfetti', tipico della cultura tradizionale. Ciò vuol dire che nessuno è maschio o femmina al 100%".
Mettere in crisi la distinzione tra i sessi rappresenta una rivoluzione culturale. Su cosa si fonda la teoria queer?
"Sul costruzionismo, la teoria per cui tutto ciò che il senso comune stabilisce come vero e immutabile è in realtà un prodotto sociale.  E anche tutte le categorie per stabilire la differenziazione sessuale sono dipendenti da un contesto culturale e sociale, ad esempio gli esami ormonali o del Dna".
Cosa cambia nella lettura della realtà sociale?
"Tutto. Cambia il modo di stabilire chi può essere definito maschio e chi femmina e anche 'quanto' una persona possa essere cosiderata maschio e 'quanto' femmina. Bisogna tenere presente che attualmente la nostra identità non viene scissa dal genere. Per tradizione, nel definire chi siamo, ci identifichiamo prima attraverso il nostro sesso. Una visione meno inquadrata dei generi è ancora un'utopia che l'esperienza transgender (lungi dall'eliminare la dicotomia di genere) cerca di rendere possibile".
Quindi ci sono diversi gradi di essere maschio o femmina e il discorso vale anche per i bambini?
"Sì la teoria transgender elimina il concetto di maschio e femmina perfetti tipico della cultura tradizionale. Nessuno è uomo o donna al 100%. I due generi fanno parte di uno stesso continuum i cui estremi rappresentano solo degli idealtipi di riferimento".
Il famoso braccialettino rosa e azzurro perde di significato...
"Sì. Alla nascita noi siamo etichettati dal braccialetto che sembra stabilire il nostro destino, in realtà poi ognuno di noi nel corso della vita modifica il suo status cromosomico e ormonale iniziale, consapevolmente o meno".
La scienza come reagisce a queste trasformazioni?
"Il rapporto del transgender con la scienza è controverso. Nella vita delle persone che cambiano sesso la scienza deve intervenire per forza e il suo obiettivo è comunque lavorare sui corpi nel modo più oggettivo possibile: deve quindi essere considerata un elemento sociale capace di seguire le esigenze e i cambiamenti della società".
La scienza ha da un lato a che fare con il presupposto oggettivo della differenza tra i sessi, dall'altro è sperimentazione...
"Sì, infatti riconosce ciò che la legge ancora nasconde. Caso emblematico è l'intersessualità, ovvero il nome moderno dell'ermafroditismo, individui che presentano geneticamente e a livello ormonale un mix di caratteri sessuali. La scienza ci aiuta a capire che biologicamente la differenziazione sessuale non è così netta. Perchè le tecniche si sono affinate. Prima si studiava la sessualità solo attraverso gli organi, ora si analizza profondamente il patrimonio genetico. Le stime dicono che l'1,7% delle nascite presenta casi d'intersessualità, ovvero di elementi misti tra i sessi, ed è un dato rilevante. In certi casi però è la stessa scienza ad adeguarsi alla tradizione e alla legge, prendendo posizione sul genere di chi nasce con una sessualità dubbia, per poi intervenire con interventi ormonali o chirurgici che lo portino verso una 'normalità' che è un concetto totalmente infondato da un punto di vista biologico".
Questo perché?
"Perchè è ancora al servizio di una biopolitica in cui i corpi vengono disciplinati secondo regole".
Si può dire dunque che l'ermafrodita esiste?
"Dipende a chi lo si chiede. Nell'età classica esisteva. Quando poi la scienza si è impossessata della caratterizzazione dell'individuo e della sua riconduzione ai due generi sessuali è diventato solo un idealtipo. Certo è che, come ho detto, la scienza riconosce una commistione biologica non indifferente".
Elisa A.G. Arfini è dottoranda in Modelli, Linguaggi e Tradizioni nella Cultura Occidentale presso l’Università di Ferrara. Si occupa di studi di genere e teoria queer.

mercoledì 19 giugno 2013

Papa Bergoglio, vita e pensiero: La cultura dell'incontro

Propongo questo articolo, letto oggi, di Don Nitoglia che fa il paio al mio post sul dialogo tra Papa Francesco e gli Apostoli proprio sull'"incontro".

Papa Bergoglio, vita e pensiero:
la “cultura dell’incontro”



di Don Curzio Nitoglia




Pubblicato sul sito dell'Autore


l'impaginazione è nostra




Sono passati circa quattro mesi dall’elezione di papa Francesco I (13 febbraio 2013) e mi sembra opportuno fare il punto su quel poco che si è scorto, da allora, circa il suo orientamento  dottrinale come successore di Pietro.
Egli è un uomo di azione più che di dottrina, un “Pastore” più che un “Maestro”, anche se è persona colta ed intelligente, ma il primato in lui spetta alla prassi più che alla teoresi, pur se la seconda dà il via alla prima e per capire il suo modo di agire occorre scandagliare il suo modo di pensare e far teologia.

Tra i Papi conciliari e postconciliari si può fare un’analogia: Giovanni XXIII sta a Giovanni Paolo II e Francesco I, come Paolo VI sta a Benedetto XVI. I primi tre sono stati certamente uomini di una certa cultura, ma soprattutto pastori dotati di un certo carisma che li ha resi simpatici alle folle. I secondi due sono stati piuttosto dottrinari (modernisti) e non ricchi come i primi tre del carisma pastorale, della grande popolarità e della simpatia, che emana oggettivamente dalla personalità del terzetto suddetto.

Per il presente articoletto mi servo di un libro intervista che l’allora card. di Buenos Aires aveva rilasciato a due giornalisti argentini (Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti) nel 2009-2010 e che è stato pubblicato pubblicato in italiano dopo la sua elezione a Papa nel 2013 dalla Editrice Salani di Firenze sotto il titolo Jorge Bergoglio. Papa Francesco. Il nuovo Papa si racconta.
Il libro ci fa conoscere la personalità del cardinale e non parla ancora del Papa per ovvi motivi (risale al 2009-2010), ma è la stessa  persona di José Bergoglio, che circa tre anni dopo è diventata Francesco I. Quindi il cardinale e la sua vita passata ci aiutano a capire il Papa e ad intuire quel che potrebbe fare o meno.

La prima “novità” è che la Prefazione al libro è stata scritta dal Rabbino capo di Buenos Aires, Abraham Skorka, il 23 dicembre 2009 a lavoro compiuto.
L’altra “novità” è  che papa Bergoglio aveva già scritto da cardinale nel 2006 una Prefazione ad un libro del medesimo Rabbino. Il Rabbino scrive che non è stato “un semplice scambio di gentilezze” (p. 5) ma si tratta “della prova, chiara e sincera, del profondo dialogo che esiste tra due amici per i quali […] il dialogo interreligioso, tema che acquistò particolare rilevanza a partire dal Concilio Vaticano II,  […] è passato immediatamente alla franchezza di un dialogo ispirato alla sincerità e al rispetto […] con la fede che il corso della storia possa e debba essere cambiato, che la […] redenzione del mondo non sia solo un’utopia, ma un obiettivo possibile” (pp. 5-6).

Non bisogna stupirsi se la massoneria ebraica del Bené Berith argentino ha inviato un caloroso messaggio di felicitazioni al cardinal Bergoglio per la sua elezione a Papa:
“Il card. J. M. Bergoglio è stato sempre impegnato nel dialogo interreligioso ed ha costruito una relazione fraterna con la Comunità ebraica argentina e specialmente col Bené Berith […]. Noi riconosciamo in Francesco I un amico dell’Ebraismo” (B’nai B’rith Argentina, n. 450, 17 marzo 2013).

Qui sorge subito un’obiezione di Fede. La Redenzione è già stata operata 2000 anni or sono da Gesù Cristo, profetizzato dall’Antico Testamento già nel primo Libro Sacro del Pentateuco di Mosè (Gen., III, 14-15) e che i Rabbini, gli Scribi ed il Sinedrio condannarono a morte per essersi proclamato Messia e Redentore del mondo, come professa la Religione cristiana. Allora come può un cattolico aspettare la futura “redenzione” assieme ad un Rabbino senza rinnegare implicitamente la sua Fede cristiana per la quale la Redenzione è già avvenuta e non può essere futura per il principio evidente di non-contraddizione? Forse si tratta della “redenzione” immanentistica e rivoluzionaria terrena delle ideologie naturalistiche, che non pensano all’al di là e si fermano all’al di qua? Sembrerebbe proprio di sì.

Seconda osservazione “l’ossessione di Bergoglio può essere riassunta in due parole: incontro e unità” (p. 7). Ma come si possono incontrare ed unire cristiani ed ebrei se questi ultimi si ostinano a rifiutare Gesù Cristo? Egli, inoltre, si autodefinisce come il teorico “della cultura dell’incontro” (p. 107).
Il primato della prassi tanto caro a Bergoglio può aiutarci a capire. Secondo lui occorre dare “la priorità all’incontro tra le persone, al camminare assieme. Così facendo, dopo sarà più facile abbandonare le differenze” (p. 76). Infatti secondo Bergoglio è bene “non perdersi in vuote riflessioni teologiche” (p. 39). Non solo, dunque, primato dell’azione, ma disprezzo della riflessione e della speculazione teologica.

La S. Scrittura, la Tradizione apostolica, la sana Filosofia, la retta Teologia, la Spiritualità dei Santi e il Magistero, invece, hanno sempre insegnato tutto il contrario:
Contemplare et contemplata aliis tradere” (S. Tommaso d’Aquino), la vita contemplativa è in sé superiore a quella attiva  perché “la contemplazione si riferisce alle cose divine e l’azione a quelle umane” (S. Th., II-II, q. 182);
Nihil volitum nisi prius praecognitum” (Aristotele);
La Teologia si fa mediante la riflessione della ragione naturale sulla divina Rivelazione” (S. Th., I, q. 1);
L’accorto agisce sempre con riflessione” (Prov., XIII, 16);
Lo zelo senza riflessione non è cosa buona” (Prov., XIX, 2);
Non far nulla senza riflessione” (Sir., XXXII, 19);
Maria rifletteva e conservava tutte le cose in cuor suo” (Lc., II, 19);
Gesù passava la notte in riflessione” (Mt., XXIV, 25);
S. Massimo il Confessore: “Occorre riflettere e contemplare per vedere le cose nel loro rapporto con Dio” (Ad Thal., PG 90, 372);
S. Basilio: “La sapienza e la  contemplazione conducono a Dio” (Hom. in princ. Prov., PG 31, 389);
Ora et labora” (S. Benedetto da Norcia).
Il Magistero della Chiesa con LEONE XIII, Enciclica Aeterni Patris del 1879;
SAN PIO X (Motu proprioDoctoris Angelici” del 1914),
BENEDETTO XV (Enciclica Fausto appetente die del 1921),
PIO XI (Enciclica Studiorum ducem del 1923) ha ribadito la superiorità della riflessione teologico/filosofica specialmente tomistica sull’azione.

Francesco I definisce la Fede come “l’incontro con Gesù Cristo” (p. 85), senza specificare di quale incontro si tratti, se di quello mediante la grazia santificante che ci unisce realmente e soprannaturalmente a Dio o se di un semplice fatto o accaduto nella nostra vita, che ci fa “sentire” una vaga “esperienza religiosa”. Questa definizione non corrisponde in nulla alla natura della virtù di Fede teologale che è “l’assenso dell’intelletto spinto dalla volontà, sotto la mozione della Grazia attuale divina, ad una Verità divinamente rivelata ossia ad un Mistero, che sorpassa le capacità della ragione umana ma non è contraddittorio”. Occorre, perciò, assentire ad un Dogma rivelato da Dio, contenuto nella S. Scrittura e Tradizione, e definito dal Magistero della Chiesa con la ragione elevata dalla Grazia.
L’incontro vero e soprannaturale con Dio (sostanzialmente diverso dal sentimentalismo dell’esperienza religiosa) è l’effetto di tale atto di Fede che, se è accompagnato dalla virtù di Carità (osservanza dei 10 Comandamenti), ci unisce a Dio.
Definire la Fede solo come l’incontro con Gesù è erroneo, Francesco I inverte talmente la definizione e la natura delle Virtù teologali di Fede e Carità da scrivere: “Dopo l’incontro con Gesù viene la riflessione su Dio, Cristo e la Chiesa” (ivi). La Fede per lui è un fatto (un incontro) ossia qualcosa di irragionevole, è il prodotto di un’esperienza soggettiva del sentimento religioso, che per i modernisti precede ogni riflessione razionale come anche per Kant.

Il “Sentimento religioso” pone l’accento più sull’emotività sentimentalistica che sulla ragione e volontà. In religione il sentimento o meglio sentimentalismo, per il Modernismo, precede la conoscenza di Dio mediante la Fede quaerens intellectum, anzi la rimpiazza: “Gesù e il Cristianesimo non sono un pacchetto di Verità da credere o di Precetti da osservare, ma consistono in un incontro o in un’esperienza personale”, disse l’allora card. J. Ratzinger ai funerali di don Luigi Giussani († 2005), fondatore del movimento “Comunione e Liberazione”.
Invece la religione è innanzi tutto assentire ai 12 articoli del Credo (Fede), poi mettere in pratica i 10 Comandamenti (Morale) ed infine mediante un lungo percorso di meditazione, sorretta dai 7 Sacramenti (Grazia), l’incontro con Dio Trino realmente ed oggettivamente esistente.
Invece «dal Luteranesimo in poi il sentimento è diventato per molti l’unica o la principale fonte della religione, ridotta a una semplice esperienza psicologica individuale. […] Il sentimentalismo psicologico, esagerazione del semplice sentimento, sul terreno religioso è anarchia e smarrimento dello spirito, che si avvia inconsciamente verso il Panteismo e l’Ateismo» [1].

Il dialogo e l’incontro personale  valgono per tutti, ebrei, musulmani ed anche per i “tradizionalisti” se pronti ad “incontrarsi, a camminare assieme”, il resto verrà da sé, le diversità pian piano si addolciranno. Bergoglio suole ripetere: “è il tempo a farci maturare. Bisogna lasciare che il tempo modelli e amalgami le nostre vite” (p. 65).
Non penso (è solo un’opinione, una congettura personale e non una certezza) che papa Francesco I sbatterà le porte in faccia al mondo “post-tradizionalista” [2] in cerca di una sistemazione canonica e pronto a riconoscere la “bontà del Vaticano II al 95%”. L’importante è incontrarsi, camminare assieme e poi anche quel piccolo 5% di differenza, che è rimasto come la foglia di fico del povero Adamo dopo il peccato originale a coprire le “vergogne” del “cedimento dottrinale”, si appianerà con un “trasbordo ideologico inavvertito”, non solo verbale, ma reale e doloroso.

Il motto di papa Bergoglio è “qualsiasi forma di mancato incontro è per me un motivo di profondo dolore” (p. 110), perciò quando “mi domandano un orientamento, la mia risposta è sempre la stessa: dialogo, dialogo, dialogo…” (p. 111).

Il libro ci ricorda, inoltre, che Bergoglio fu l’antagonista di Ratzinger alle elezioni del 2005 e che era il delfino del card. Carlo Maria Martini, il quale era oramai malato e si era scoperto come esageratamente progressista per poter ottenere i voti della maggioranza del Collegio cardinalizio; allora Martini e Bergoglio decisero di far confluire i voti ottenuti sul card. Ratzinger (pp. 9-10). Perciò Bergoglio dottrinalmente è più vicino all’area del card. Martini che a quella di Joseph Ratzinger.
Tuttavia la sua Tesi di laurea è stata discussa in Germania negli anni Ottanta su Romano Guardini “propugnatore del rinnovamento ecclesiastico, che si sarebbe realizzato nel Concilio Vaticano II (p. 18). Ora se Guardini è stato un modernizzante, e lo è stato, è stato anche il caposcuola di Ratzinger, Hans Urs von Balthasar e della Rivista “Communio” dal 1972 contraltare modernista moderato della Rivista “Concilium” del 1964 avanguardia del modernismo radicale (Rahner, Küng, Schilleebeckx) ed ha influito non poco sulla sensibilità estetizzante di Benedetto XVI circa la Messa tradizionale. Quindi occorre saper sfumare e far le dovute differenze nella personalità di Bergoglio. Amando Guardini, penso, ma non posso esserne certo, non disprezzerà, come Montini, la Messa detta di San Pio V, purché non si obietti troppo e pubblicamente sulla ortodossia del Novus Ordo Missae di Paolo VI.

Una nota ricorrente nella vita e nel pensiero di Bergoglio è “l’esperienza religiosa, l’incontro personale con Cristo” (p. 41 e 77) tanto cara al modernismo, a “Comunione e Liberazione”, nata dalla rivista “Communio”, patrocinata da Guardini, de Lubac, Balthasar e Ratzinger a partire dal 1972.

L’“Esperienza religiosa” vede «il fatto religioso principalmente come un fenomeno psicologico individuale, in cui il sentimento erompente dalla subcoscienza ha il predominio sulle funzioni dell’intelligenza. Questa esperienza religiosa avrebbe per oggetto non propriamente un Dio personalmente distinto dall’uomo e trascendente il mondo, ma il divino, sentito vagamente, come qualcosa che non sorpassa l’uomo, ma è immanente in esso, verso cui l’anima ha sentimento di amore» [3].

La “Subcoscienza” è un termine invalso nella fine dell’Ottocento, quando Myers (1886) «credette di aver scoperto oltre la periferia della coscienza umana un sostrato oscuro, ma ricco di risorse percettive ed emotive, che chiamò appunto subcoscienza. […] Esiste in noi, un Io cosciente, chiaro, ordinario, che è la nostra personalità comune; ma nella profondità dello spirito  si nasconde un Io subcosciente, detto anche subliminale, in cui si elaborano, a nostra insaputa, intuizioni e sentimenti vaghi, che man mano si raggruppano, si fondono e all’improvviso irrompono nella zona dell’Io cosciente determinandone nuove aspirazioni, nuove direttive, una vita nuova. Nell’oscura coscienza subliminale si elabora specialmente il sentimento del divino, che è la radice e la fonte della religione. La vera religione non è nei Libri Sacri, non viene dal di fuori ma sale dalle profondità della subcoscienza. […] I dogmi non sono verità immutabili, ma espressioni provvisorie, a carattere pratico-simbolico, dell’esperienza religiosa» [4].

Bergoglio non è comunista anche se ha letto molta letteratura del Partito Comunista ed è stato influenzato da essa ed inoltre Leònidas Barletta, un personaggio rilevante della cultura marxista, ha contribuito molto alla sua formazione politica (p. 45).
Ciò che è accaduto a Cuba durante la rivoluzione castrista, alla quale collaborarono anche numerosi cattolici, pur se con finalità diverse, è un esempio tipico del risultato a cui porta la collaborazione con i comunisti e dovrebbe farci riflettere. I Comunisti come i Modernisti, infatti, non disdegnano la collaborazione dei cattolici. Anzi, la sollecitano (v. Antonio Gramsci, Ernest Bloch e Palmiro Togliatti), la provocano anche, mettendo in evidenza miseria e ingiustizie che possano suscitare l’indignazione e la reazione degli spiriti retti. E, purtroppo, spesso ottengono la collaborazione desiderata. Abituati ad agire in buona fede, i cattolici tendono molte volte a giudicare impossibile che, rispetto a considerazioni umanitarie, qualcuno possa nascondere un fine perverso. Finiscono così per impegnarsi, non per il movimento comunista, ma per la lotta a favore degli infelici, degli oppressi e dei sofferenti. E lavorano uniti, cattolici e comunisti, certi i primi che gli altri, come loro, desiderano sinceramente curare la società dalle piaghe che la infettano; più certi i secondi che l’agitazione umanitaria offrirà loro l’ambiente ideale per l’estensione del loro potere. Lavorando assieme finiscono, però, per pensare allo stesso modo, ossia i cattolici si lasciano incantare dalla sirena marxista e perdono la loro identità.

Il filosofo tedesco Ernest Bloch (1885-1977) ha studiato meglio di tutti le modalità per presentare il comunismo in una salsa che seduce anche i cattolici: farli incontrare non sul piano della dottrina, ma su quello dell’azione e dei fatti contingenti (la pace, la fame nel terzo mondo, le ingiustizie sociali …). Solo così si potrà convertire i cristiani al comunismo dapprima pratico e poi anche teoretico (cfr. E. Bloch, Karl Marx, tr. it., Bologna, Il Mulino, 1972).
Se Marx aveva presentato la religione come “l’oppio dei popoli”, Bloch  opera una distinzione tra
a) religione cattiva, che è quella tradizionale, la quale crede in un Dio personale e trascendente e predica l’accettazione paziente delle sofferenze, e,
b) religione buona, che è quella progressista, la quale attende il “messia” su questa terra dopo la rivoluzione dei poveri contro i ricchi.
I “credenti” progressisti debbono essere affiancati dal comunismo e poi convertiti tramite l’azione comune (cfr. E. Bloch, Ateismo nel Cristianesimo, tr. it., Milano, Feltrinelli, 1976). Bloch ha gettato un ponte tra Cristianesimo e comunismo ed ha abbattuto i bastioni che difendevano il primo dalle insidie del secondo, quindi il ponte è stato percorso a senso unico, ossia solo dal Cristianesimo verso il marxismo pratico.

Palmiro Togliatti a Bergamo il 20 marzo 1963 ha fatto un discorso in cui, rifacendosi ad Antonio Gramsci, ha proposto la de-ideologizzazione, invitando cattolici e comunisti a non scontrarsi su questioni di dottrina, ma ad agire assieme per la pace del mondo, evitando assolutamente “sterili diatribe dottrinali” (L. Gruppi, Antologia del compromesso storico, Roma, Editori Riuniti, 1977, P. Togliatti, Il destino dell’uomo,  pp. 244 ss.).
Ebbene questo è lo stesso programma proposto da Francesco I: de-ideologizzare, incontrarsi, costruire ponti, abbattere steccati, evitare sterili diatribe dottrinali, agire assieme e poi pensarla inavvertitamente alla stessa maniera. 

Così il modernismo apparentemente moderatamente progressista, che oramai ha occupato l’apice dell’ambiente cattolico e ecclesiale, chiede ai cattolici fedeli alla Tradizione di agire uniti per vincere il materialismo, l’ateismo. Alcuni cattolici fedeli in buona fede si lasciano convincere e agendo assieme ai modernisti, realmente progressivi, anche se apparentemente moderati, finiscono per essere mangiati da loro, come “il pesce più piccolo è divorato da quello più grande”.
Poiché l’agitazione filantropico-umanitaria, mascherata da conservatorismo religioso, offrirà ai modernisti l’ambiente ideale per l’estensione del loro potere, mettendo a tacere la voce del “grillo parlante” rappresentato dal cattolico fedele.

Attenzione! Le insidie della “setta segreta modernista” (S. Pio X, motu proprio ‘Sacrorum Antistitum’, 1° settembre 1910) sono veramente simili a quelle della “setta comunista”. Per evitarle occorre domandare a Dio di avere le idee ben chiare e la forza di volontà per non cedere di fronte al labor certaminis e all’horror difficultatis. Infatti, dopo cinquanta anni di lotta contro un nemico abile, scaltro, nascosto e insidioso, si corre il rischio di lasciarsi andare e cedere alla tentazione dell’entrismo: “haec omnia tibi dabo, si cadens adoraveris me”.
Ab insidiis diaboli, libera nos Domine!
Purtroppo “lo stupido è il cavallo del diavolo” e il guaio più grande è quando lo stupido si prende per una volpe e fa la fine del pollo.
Il 1979 (“Concilio alla luce della Tradizione”, che invita al dialogo),
il 1984 (“Indulto” doloso),
il 2005 (“ermeneutica della continuità”, che ri-invita al dialogo),
il 2007-2011 (“motu proprio” che è praticamente ritornato all’“Indulto doloso”)
non gli insegnano nulla: egli continua a voler conciliare l’inconciliabile, a stringere la mano tesa.

Ora occorre attendere e vedere quale sarà la mossa di Francesco I verso il mondo della Tradizione, ma la sua personalità lascia intravedere che la politica della distensione e della mano tesa continuerà.

Francesco I non è per la Teologia della Liberazione, anche se essa – per lui – non è totalmente condannabile ed ha dei “lati positivi” (p. 78), quindi è solo “segnalabile” (p. 78). C’è sempre un “ma” o un “anche se” nel suo pensiero. Nulla è chiaro, preciso, definito e netto, ma tutto è fluido, confuso, contraddittorio ed in continua evoluzione.

Il suo pensiero teologico sovente non corrisponde con quello della Chiesa. Infatti egli parla di “immoralità della pena di morte” (p. 83) e asserisce che “in pratica” il ‘Catechismo della Chiesa Cattolica’ (‘CCC’) ha dichiarato l’abolizione di essa (ivi). Invece il ‘CCC’ ha dichiarato che in sé la pena di morte non è immorale ma che de facto o in pratica occorre abolirla poiché non più al passo con i tempi e la dignità della persona umana.
Bergoglio riguardo a questa distinzione del ‘CCC’ sulla pena di morte ha esplicitato una parte e negato l’altra, tranne un’eccezione significativa per i gerarchi tedeschi del III Reich processati e condannati all’impiccagione a Norimberga nel 1946: “non sono favorevole alla pena di morte, ma era la legge del momento ed è stata la riparazione che la società ha preteso” (p. 133). 

Il suo pensiero è intriso di antropocentrismo. Infatti parla di “trascendenza [dell’uomo, ndr], che guarda a Dio e rende possibile la trascendenza  verso gli altri [uomini e creature, ndr]”. Perciò anche l’ateo “può trascendere, attraverso gli altri [uomini credenti, ndr], evitando l’isolamento” (p. 109).
Invece la Trascendenza vera è quella di Dio, che sorpassa infinitamente ogni creatura essendo Egli il Creatore, che fa partecipare del suo Essere per essenza tutte le creature, che sono enti per partecipazione; in breve il mondo è un ente finito subordinato ad una Causa incausata e Trascendente, che trae dal nulla l’universo intero (cfr. S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I, q. 2, a. 3).
Al contrario papa Bergoglio confonde Trascendenza con immanentismo e solidarietà tra uomini, il suo “dio” non è l’Atto puro, l’Essere stesso sussistente per sua Essenza, ma sembra piuttosto il “Grande Architetto dell’Universo”.
La mancanza di identità, per Francesco I, lungi da essere un difetto, una mancanza, è una ricchezza perché rende possibile l’incontro con l’altro, il diverso: essa “non guarda all’indietro [Tradizione, ndr], ma si focalizza sul futuro” (ivi).

Infine recentemente Francesco I ha negato che la moltiplicazione dei pani sia stato un miracolo asserendo il 17 maggio: “In particolare in quello dei pani e dei pesci, i quali  non si moltiplicarono […], ma semplicemente non finirono. […]. Quando uno dice ‘moltiplicare’  può confondersi e credere che faccia una magia” (www.zenit.org).

Questo è solo l’inizio del Pontificato di Francesco I. Per portare un giudizio più fondato e sicuro occorre attendere i suoi primi atti ufficiali, ma il giorno si vede dal mattino…

NOTE

1
- P. PARENTE, Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, voce “Sentimento religioso”, pp. 384-385. Cfr. C. FABRO, voce “Esperienza religiosa”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. V, coll. 602-607.2 - Nel “Nuovo Ordine Mondiale” abbiamo assistito a) politicamente alla nascita di post-comunisti, di post-fascisti, di post-democristiani, che sono confluiti nel calderone della “Repubblica Universale”; b) spiritualmente alla Babele di Assisi (I, II e III), in cui le varie religioni hanno rinunciato a ciò che le divideva per occuparsi di ciò che le unisce e darà luogo al “Tempio Universale”.  Perciò i “post-tradizionalisti” sono quella fetta del mondo antimodernista che aveva rifiutato gli errori della modernità e post-modernità per restare attaccati alla Tradizione apostolica e al Magistero costante e tradizionale della Chiesa, ma che da qualche anno scalpita per aggiornarsi ed uscire dal “ghetto” onde avere un posto nella “buona” società civile ed ecclesiale, sentirsi “normali” e bene accetti, a condizione di annacquare un pochino e solo a parole la propria identità. Per fare un esempio, il giovane José, martire cristero, che nel film messicano “Tra il Cielo e la terra” sulla Cristiada, viene condannato a morte e torturato, di fronte alle istanze del suo aguzzino e poi, ancora più pericolose, del suo padrino che gli suggerisce: «basta che tu dica “morte a Cristo Re, viva il Governo federale”, tanto sono solo parole» risponde: «non posso, viva Cristo Re!» e si fa uccidere, ma va diritto in Cielo, rispecchia esattamente la scena che si sta svolgendo sotto i nostro occhi in questi anni. Basta che diciate “accetto il Vaticano II, non critico il Novus Ordo Missae”, tanto sono soltanto parole! Così entrerete nel bel mondo del “Nuovo Ordine Mondiale” in cui sarete rispettati come bravi “cittadini”, dice il “padrino” ai “tradizionalisti”… Che Dio ci conceda la forza di poter rispondere “non posso, viva Cristo Re!”.

3 - P. PARENTE, Dizionario di Teologia dommatica, voce “Esperienza religiosa”, Roma, Studium, IV ed., 1957, pp. 144-145.

4 - P. PARENTE, Dizionario…, cit., voce “Subcoscienza”, pp. 401-402. Cfr. P. PARENTE, L’Io di Cristo, Brescia, 1951; ove parla anche delle più recenti aberrazioni dello psicologismo sul terreno cattolico, da p. 311 a p. 460 della 3a ed., Rovigo, Istituto Arti Grafiche, 1981. Gli autori criticati sono: Günther e Rosmini, K. Rahner, E. Schillebeeckx, B. Schoonenberg, Küng, Teilhard de Chardin, Carlo Molari e Jean Galot.