Vorrei dire al P. Cavalcoli che i titoli che sbandiera a destra a manca di teologo non servono a nulla quando manca la Carità e quando manca la Carità non c'è nemmeno lo Spirito Santo!
Note a margine del commento di Padre Cavalcoli
circa la lettera aperta di don Nicola Bux a Mons. Fellay
e la risposta pubblica di Mons. Williamson
di Belvecchio
Com’era prevedibile, ecco giungere puntuali le precisazioni di Padre Giovanni Cavalcoli (24 marzo 2012 – sito Riscossa Cristiana) riguardo della Lettera aperta indirizzata da Don Nicola Bux a Mons. Bernard Fellay (19 marzo 2012 - vedi). Puntualizzazioni che fanno particolare riferimento alla risposta pubblica a questa lettera di Mons. Richard Williamson (22 marzo - vedi).
Il Padre Giovanni Cavalcoli è una simpatica persona, molto appassionato nei suoi convincimenti, e a volte questa sua foga lo porta a scantonare un po’, magari inavvertitamente.
Com’è esatto che don Nicola Bux si è rivolto, chiaramente e correttamente, a Mons. Fellay, quale Superiore Generale della Fraternità San Pio X, e insieme a tutta la stessa Fraternità, così è del tutto inesatto quanto dice Padre Cavalcoli: che la risposta di Mons. Williamson sia stata formulata “a nome della Fraternità”.
Se Padre Cavalcoli avesse fatto attenzione alla formulazione di questa risposta, si sarebbe accorto che Mons. Williamson apre la sua risposta dicendo, chiaramente e correttamente: “Essendo uno dei sacerdoti della FSSPX ai quali Lei si è rivolto, mi permetta di esprimerLe la mia opinione”.
Ora, dal momento che Padre Cavalcoli è una persona istruita e dimostra di essere attento ai contenuti degli scritti che esamina, com’è possibile che gli sia sfuggita questa importantissima precisazione di Mons. Williamson?
Evidentemente, Padre Cavalcoli ha colto l’opportunità della risposta di Mons. Williamson, per far dire alla Fraternità ciò che vuole lui, secondo uno spirito che lo anima da diverso tempo e di cui già diede prova, per esempio, al tempo della Nota Introduttiva alla riedizione di Iota Unum di Romano Amerio (Fede e Cultura, 2009), dove cercò di far dire ad Amerio ciò che era caro a lui stesso. Non è un caso che il titolo dell’articolo di cui qui stiamo parlando sia tanto semplice quanto improprio dato il suo contenuto: Mons. Bux e Mons. Fellay.
Per quanto possa sembrare un elemento critico poco importante, questo nostro appunto aiuta a comprendere quale sia l’impostazione che regge questo scritto di Padre Cavalcoli: egli parla a nome di tutti, di Bux, di Fellay, di Williamson, del Papa, del Concilio, del Magistero, della Tradizione, della Chiesa.
Chi ha seguito gli scritti di Padre Cavalcoli sa che egli ha un convincimento di base, il Concilio non può sbagliare perché assistito dallo Spirito Santo, il Magistero non può sbagliare perché assistito dal Papa, il Papa non può sbagliare perché è il Papa. Ergo, tutti quelli che parlano di errori del Concilio, di errori del Magistero e di errori del Papa sono dei protestanti.
La nostra è una semplificazione eccessiva, certo, ma ecco cosa scrive Padre Cavalcoli.
Il Padre Giovanni Cavalcoli è una simpatica persona, molto appassionato nei suoi convincimenti, e a volte questa sua foga lo porta a scantonare un po’, magari inavvertitamente.
Com’è esatto che don Nicola Bux si è rivolto, chiaramente e correttamente, a Mons. Fellay, quale Superiore Generale della Fraternità San Pio X, e insieme a tutta la stessa Fraternità, così è del tutto inesatto quanto dice Padre Cavalcoli: che la risposta di Mons. Williamson sia stata formulata “a nome della Fraternità”.
Se Padre Cavalcoli avesse fatto attenzione alla formulazione di questa risposta, si sarebbe accorto che Mons. Williamson apre la sua risposta dicendo, chiaramente e correttamente: “Essendo uno dei sacerdoti della FSSPX ai quali Lei si è rivolto, mi permetta di esprimerLe la mia opinione”.
Ora, dal momento che Padre Cavalcoli è una persona istruita e dimostra di essere attento ai contenuti degli scritti che esamina, com’è possibile che gli sia sfuggita questa importantissima precisazione di Mons. Williamson?
Evidentemente, Padre Cavalcoli ha colto l’opportunità della risposta di Mons. Williamson, per far dire alla Fraternità ciò che vuole lui, secondo uno spirito che lo anima da diverso tempo e di cui già diede prova, per esempio, al tempo della Nota Introduttiva alla riedizione di Iota Unum di Romano Amerio (Fede e Cultura, 2009), dove cercò di far dire ad Amerio ciò che era caro a lui stesso. Non è un caso che il titolo dell’articolo di cui qui stiamo parlando sia tanto semplice quanto improprio dato il suo contenuto: Mons. Bux e Mons. Fellay.
Per quanto possa sembrare un elemento critico poco importante, questo nostro appunto aiuta a comprendere quale sia l’impostazione che regge questo scritto di Padre Cavalcoli: egli parla a nome di tutti, di Bux, di Fellay, di Williamson, del Papa, del Concilio, del Magistero, della Tradizione, della Chiesa.
Chi ha seguito gli scritti di Padre Cavalcoli sa che egli ha un convincimento di base, il Concilio non può sbagliare perché assistito dallo Spirito Santo, il Magistero non può sbagliare perché assistito dal Papa, il Papa non può sbagliare perché è il Papa. Ergo, tutti quelli che parlano di errori del Concilio, di errori del Magistero e di errori del Papa sono dei protestanti.
La nostra è una semplificazione eccessiva, certo, ma ecco cosa scrive Padre Cavalcoli.
«Osservo, d’altra parte, che l’attaccamento eccessivo ed unilaterale dei lefevriani alla Messa Tridentina dipende dalla loro incapacità di apprezzare la riforma conciliare vedendo in essa una profanazione della liturgia, mentre questa si dà certamente nell’interpretazione rahneriana della liturgia, ed inoltre dipende da una visione arretrata della dottrina cattolica, visione incapace di riconoscere nelle dottrine del Concilio un approfondimento ed un’esplicitazione della medesima dottrina cattolica. E’ in sostanza mutatis mutandis lo stesso atteggiamento che assunse Lutero, benché i lefevriani si dichiarino avversari di Lutero in nome del Concilio di Trento. Anche Lutero, ritenendosi illuminato dallo Spirito meglio del Papa, non faceva tanto una questione di comunione ecclesiale o di prassi cristiana o liturgia, quanto piuttosto della verità del Vangelo o, come egli diceva, della Parola di Dio. I lefevriani parlano di “Tradizione” e di dogma anziché di “Scrittura”, ma il metodo e l’atteggiamento verso Roma sono uguali».
Come sostiene da tempo Padre Cavalcoli, l’unico che abbia interpretato male di Concilio sarebbe Rahner, tutti gli altri lo avrebbero interpretato bene, riconoscendo nelle dottrine del Concilio “un approfondimento ed un’esplicitazione della medesima dottrina cattolica”. Cosa che non riesce a fare la Fraternità. Padre Cavalcoli non spiega perché la Fraternità non riesca a farlo, quantomeno secondo lui, si limita solo ad affermare che essa assume “lo stesso atteggiamento che assunse Lutero”. Questa affermazione, che non tiene minimamente conto di quanto argomentato in questi 40 anni da tanti altri teologi, né di quanto affermato dallo stesso Benedetto XVI nel famoso discorso alla Curia del dicembre 2005, si rivela per quella che è: un personale pregiudizio di Padre Cavalcoli.
È notorio, infatti, che non c’è solo qualcuno, come Rahner, che abbia interpretato male il Concilio, ma c’è tutta una corrente di pensiero (e di azione) che ha prodotto una “ermeneutica della rottura”, dice il Papa; una corrente di pensiero che appartiene alla gerarchia cattolica, una corrente di pensiero che è propria di vescovi e cardinali e papi, senza la quale non si sarebbe potuta affermare quella lettura del Concilio che lo vuole come una rottura con la Tradizione.
Secondo Padre Cavalcoli, invece, gli unici che hanno parlato e parlano di rottura sarebbero Rahner e i “lefebvriani”, i quali, com’è risaputo, sono dei supermodernisti, l’uno, e dei protestanti, gli altri.
Noi, per ragioni di spazio, semplifichiamo e schematizziamo, ma Padre Cavalcoli ha scritto dei libri interi per sostenere le sue semplificazioni e le sue schematizzazioni.
«Vorrei quindi far notare garbatamente a Mons. Bux che per quanto importante e speriamo utile sia il suo appello, la questione di fondo per noi cattolici e per la stessa S. Sede, nelle sue trattative con i lefevriani, non può limitarsi ad un generico per quanto fervido e sincero invito all’unità, all’obbedienza e al ritorno, ma comporta la capacità della Commissione pontificia incaricata delle trattative di convincerli che col Concilio la Chiesa non è affatto uscita dal sentiero della verità, non è caduta nell’eresia, non ha tradito la Tradizione, ma al contrario ha confermato il dogma e la Tradizione ed anzi li ha meglio illustrati e li ha esplicitati in un linguaggio moderno, assumendo quanto di valido c’è nel pensiero moderno (pur condannandone gli errori) ed andando incontro alle necessità del nostro tempo, proprio in vista di una nuova espansione del cristianesimo nel mondo».
Questo convincimento di Padre Cavalcoli è talmente semplice e chiaro che si rimane stupiti di fronte al fatto che in questi 40 anni del post-concilio ci siano state diecine di firme autorevoli che hanno spiegato, a più riprese e da angolazioni diverse, che le cose stanno esattamente all’opposto; firme che non appartengono alla Fraternità.
Peraltro, si rimane stupiti anche del candore di Padre Cavalcoli, quando afferma tranquillamente che il Concilio assunse “quanto di valido c’è nel pensiero moderno”, e quando addirittura sottolinea, con due parentesi, che il Concilio avrebbe condannato gli errori del pensiero moderno.
Tanto candore ci appare più come un abbaglio che come una considerazione ponderata, anche perché Padre Cavalcoli non precisa come e quando si sia prodotta quella “nuova espansione del cristianesimo nel mondo”, in vista della quale il Concilio avrebbe assunto “quanto di valido c’è nel pensiero moderno… andando incontro alle necessità del nostro tempo”. Evidentemente a lui è sfuggita l’inezia dei seminari e dei conventi svuotati a partire dal Concilio, nonché la sciocchezzuola delle chiese deserte o quasi, il tutto prodottosi sempre a partire dal Concilio; e soprattutto gli è sfuggito il fatto che, nonostante la “nuova espansione del cristianesimo nel mondo” messa in essere dal Concilio, Giovanni Paolo II abbia parlato di necessità di una nuova evangelizzazione e Benedetto XVI abbia addirittura creato un apposito Pontificio Consiglio.
Insomma, qualcosa non torna; tranne che con l’espressione “espansione del cristianesimo” Padre Cavalcoli non voglia intendere, in termini conciliari e positivi, la continua affermazione delle sette cristiane di ogni marca in quello stesso mondo che prima del Concilio era cattolico. Fenomeno che ben conoscono, per esempio, i vescovi di quell’area del mondo che un tempo faceva capo come lingua e come cultura alla “cattolicissima Spagna”. Se è questo che intende, non si può non dargli ragione: il Concilio è davvero stato il propulsore di questa singolare espansione del cristianesimo spurio nel mondo.
Quanto poi agli errori del pensiero moderno condannati dal Concilio Vaticano II, si tratta di una notizia decisamente importante ma altrettanto decisamente segreta e nota solo a lui, poiché non v’è traccia di condanna alcuna nei documenti del Concilio. Anzi, tanti altri competenti in materia di Concilio Vaticano II è da 40 anni che scrivono che il Concilio, avendo assunto molti elementi del pensiero moderno, ha finito con l’assumerne inevitabilmente anche gli errori.
Può darsi che Padre Cavalcoli abbia ragione e questi altri abbiano torto, ma a guardare lo stato complessivo del mondo cattolico, oggi, resta da capire ove si collochi la fonte di tanto sconquasso, se non nel Concilio Vaticano II e nelle sue applicazioni successive.
«Non dovrà dunque essere Roma a correggersi, ma questo dovere, da compiersi con umiltà e fiducia, spetta soltanto ai seguaci di Mons. Lefebvre, che devono convincersi che le dottrine del Concilio - per quanto forse possa sembrare qua e là - in realtà non rompono con la Tradizione ma sono in continuità, ed anzi, come ho detto, ne sono una spiegazione ed un’esplicitazione, tanto che sarebbe fuori della verità cattolica proprio chi si opponesse a quelle dottrine».
Convincimento tipicamente “cavalcoliano”, che continua a non tenere conto perfino dello stesso Vaticano e dello stesso Papa, che continuano a ripetere e a mettere per iscritto che è lecito esprimere riserve su molti punti del Concilio e pretendere che essi vengano letti e compresi solo alla luce della Tradizione; a riprova del fatto che i documenti del Concilio, di per sé, non convincono della continuità dottrinale con quanto la Chiesa ha sempre insegnato, cosa che per un Concilio è molto grave.
Perfino nel famoso discorso alla Curia del dicembre 2005 il Papa non parla di continuità, ma di “ermeneutica”, cioè non afferma, come pretende Padre Cavalcoli, che vi è continuità, ma che occorre servirsi di una interpretazione che tenga presente che nella dottrina della Chiesa non può esservi rottura, ma solo continuità. Il che significa che la continuità non è manifesta e forse neanche realmente presente: i documenti del Concilio si è costretti a spiegarli a posteriori come fossero in continuità, perché a priori non lo sono, anzi si prestano facilmente ad essere letti e assimilati secondo una logica della rottura.
E questa sarebbe la caratteristica di un magistero solenne come quello di un concilio ecumenico!
Qualcosa non torna.
«Tutto ciò vuol dire, purtroppo, che nella questione lefevriana non c’è in gioco tanto lo scisma, come spesso si crede, ma la questione è ancora più grave e radicale: questi fratelli sono caduti nell’eresia nel momento in cui accusano le dottrine del Concilio di essere eretiche. E’ vero che il Concilio non definisce nuovi dogmi ed è vero che eretico è soltanto chi si oppone ad un dogma definito. Ma eresia può esser anche accusare di eresia le dottrine di un Concilio, le quali, anche se non definite, tuttavia trattano materia di fede in quanto sviluppano dati della Rivelazione precedentemente definiti dalla Chiesa o contenuti nella Tradizione».
Ed ecco un altro vecchio ritornello “cavalcoliano”: chi non crede nelle dottrine del Concilio Vaticano II come in un dogma, cade nell’eresia. E i “lefevriani” “sono caduti nell’eresia”.
Non è una enormità, si tratta di un concetto che Padre Cavalcoli enuncia sempre quando parla con qualcuno: o si crede nelle dottrine del Concilio Vaticano II come fossero un dogma o non si è cattolici; chiunque si permette di dissentire da questo suo enunciato “non ha capito che cosa Roma ci insegna”, cioè è un cretino.
Sappiamo che Padre Cavalcoli non darebbe del cretino ad alcuno, ma è risaputo che egli si rivolge a tutti coloro che dissentono da lui come fossero incapaci di intendere e di volere.
Tant’è che egli si chiede:
«Chi è che sbaglia in fatto di fede? La Chiesa del Concilio Vaticano II o la Fraternità S. Pio X? E’ questa che deve correggere Roma o sta a Roma correggere i lefevriani? Chi è il supremo custode ed interprete della Tradizione? Roma o Mons. Lefebvre?».
Il che significa che, secondo lui, tutti coloro che in questi 40 anni hanno sollevato e continuano a sollevare riserve sui documenti del Concilio e sui successivi documenti del Magistero, hanno solo perso tempo e continuano ad esercitarsi per diventare buoni eretici. Senza contare che, a proposito di questa storia del supremo custode e interprete, che continua a non custodire e a non interpretare, a tutt’oggi non esiste un formale pronunciamento romano, nonostante lo esiga la terribile crisi in cui versa la Chiesa e lo chiedano da alcuni anni eminenti personalità cattoliche.
È una cosa questa che sembra non interessare Padre Cavalcoli, che invece continua a parlare come se Roma si fosse definitivamente pronunciata.
Per intanto sappiamo solo dei pronunciamenti di Padre Cavalcoli, tali che, se dipendesse da lui, scomunicherebbe per eresia non solo i “lefevriani”, ma anche tutti i cattolici che come loro e come noi non sono d’accordo con lui.
L’ultima parte di questo articolo è meno interessante.
Padre Cavalcoli afferma che «il famoso messaggio di Fatima relativo alla conversione della Russia, non pare essere più di attualità» e che comunque « resta pur sempre una “rivelazione privata”» che «la Chiesa ha sempre la facoltà e il diritto di giudicare e modificare», poiché in definitiva Maria SS.ma, Madre di Cristo, è solo una «messaggera celeste».
Tutto è possibile, anche che Padre Cavalcoli abbia ragione, ma ci sembrano davvero un po’ troppo miserelle queste precisazioni in bocca ad un teologo.
Un’ultima considerazione.
I valori della pace e della riconciliazione, dice Padre Cavalcoli, sono “vitali”, ma «possono realizzarsi solo nella piena obbedienza alla sana dottrina - non importa se antica o moderna - che ci viene insegnata dalla Santa Madre Chiesa di ogni tempo, compreso l’oggi, anzi si potrebbe dire soprattutto di oggi, perché è nell’oggi della Tradizione che la sacra Tradizione si presenta con la sua massima attuale esplicitazione».
Non ce n’era certo bisogno, ma con questa espressione Padre Cavalcoli ha voluto offrirci la corretta chiave di lettura del suo articolo: «è nell’oggi della Tradizione che la sacra Tradizione si presenta con la sua massima attuale esplicitazione».
La “sacra Tradizione”, dice lui, trova la sua massima attuale esplicitazione “nell’oggi della Tradizione”, poiché, diciamo noi, è risaputo che esiste un oggi della Tradizione, un ieri della Tradizione e un domani della Tradizione, tali che la Tradizione non è mai sempre e solo la “sacra Tradizione”, ma una Tradizione che è di oggi, di ieri o di domani.
Sembra un giuoco di parole, e invece non lo è, qui Padre Cavalcoli afferma che più tempo passa più la “sacra Tradizione” trova una “massima attuale esplicitazione”, che sarà sempre più massima e sempre più attuale in diretta corrispondenza col fluire del tempo. Questo concetto è uno di quelli direttamente mutuati dal mondo moderno, secondo l’insegnamento del Vaticano II: ogni tempo ha la sua verità. Una verità che in qualche modo ha le sue radici nell’oscurità precedente e che trova la sua “massima attuale esplicitazione” solo nell’oggi di questa stessa verità. Concetto invero alquanto criptico, ma che in definitiva spiega che la “sacra Tradizione”, cioè la trasmissione dell’unico insegnamento di Gesù, evolve col tempo, in modo tale che l’“oggi della Tradizione” possa continuamente differire dall’ieri della Tradizione in attesa che differisca ulteriormente nel domani della Tradizione.
Per finire dobbiamo spiegare brevemente perché ci siamo presi la briga di esaminare questo articolo di Padre Cavalcoli.
In esso si trova uno strano crescendo: non più la Fraternità disubbidiente, non più la Fraternità scismatica, ma la Fraternità eretica. I seguaci di Mons. Lefebvre sarebbero degli eretici che devono ritrattare, pena la scomunica e forse la dannazione eterna.
Perché tanto accanimento in Padre Cavalcoli, perfino clamorosamente in contrasto con quanto affermato dal Vaticano?
Nel chiudere il nostro articolo sulla Lettera aperta di don Nicola Bux, ci siamo chiesti: Si fa peccato a pensare che, forse, in fondo in fondo, sia stato proprio questo il più intimo intento di don Nicola Bux? Con riferimento al fatto che si potrebbe pensare che le sollecitazioni rivolte da lui alla Fraternità potessero essere parimenti rivolte al Vaticano.
Ora, non è detto che si tratti proprio di questo, ma abbiamo l’impressione che il crescendo espresso da Padre Cavalcoli tradisca il sospetto, suo e di altri che ragionano come lui, che Roma possa davvero tagliar loro l’erba sotto i piedi e regolarizzare unilateralmente la Fraternità “così com’è”, mandando a carte quarantotto tutte le loro profonde considerazioni e spedendo al macero i loro articoli e i loro libri.
In vista di una tale possibilità è umanamente comprensibile che Padre Cavalcoli e compagni cerchino di alzare la posta: i “lefevriani” sono peggio dei protestanti… i “lefevriani” sono i peggiori eretici… i “lefevriani” vogliono distruggere la Chiesa… i “lefevriani” vanno scomunicati e basta!
Altro che accordi! Altro che preamboli! Altro che ricomposizione della frattura! Altro che storie! Buttateli fuori, questi terribili nemici del Vaticano II, del Papa e della Chiesa!
“Parlami suocera e sentimi nuora”?.
Con chi ce l’ha veramente Padre Cavalcoli?
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