lunedì 26 marzo 2012

La lodevole iniziativa di Don BUX

Posto qui un interessante articolo del sempre ottimo Belvecchio che commenta la lodevole iniziativa di Don Bux (lodevole davvero), ma che porta in sé le stesse identiche contraddizioni di sempre dovute ad un’ermeneutica inconciliabile con la Fede di sempre, a tal proposito si veda anche il post: http://lux-hominum.blogspot.it/2012/01/un-effetto-senza-causa-e-il-dogma-della.html. Tutti vedono i risultati del concilio ma nessuno osa mettere mano alla causa.

Un analisi semplice, lucida e realistica.






Note a margine della lettera aperta di don Nicola Bux
a Mons. Fellay e alla Fraternità San Pio X


di Belvecchio





Il 19 marzo, Solennità di San Giuseppe, Patrono della Chiesa Universale, don Nicola Bux ha pubblicato sul sito a lui vicino, Ecclesia Mater, di Bari, una lettera aperta a S. Ecc. Mons. Bernard Fellay e a tutta la Fraternità Sacerdotale San Pio X, esortandoli con le parole di Santa Caterina da Siena: Venite sicuramente a Roma.

L’iniziativa è certo lodevole e particolarmente significativa, data la figura di don Nicola Bux, da anni consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede, già dal tempo della prefettura del Card. Ratzinger, a cui notoriamente è vicino e del quale vanta una altrettanto notoria stima.

Lodevole, perché presenta un ragionamento semplice e chiaro: il Concilio Vaticano II ha prodotto “calamità” e “tenebre”, occorre apportare luce, e la Fraternità in seno alla Chiesa “aiuterà a portare maggiore luce”, e contribuirà “grazie alle vostre risorse pastorali e dottrinali, alle vostre capacità e sensibilità, al bene di tutta la Chiesa”.
Particolarmente significativa, perché si inserisce tra gli interventi in materia di questi ultimi mesi, sottolineando un aspetto della questione che gli altri sembravano ignorare.

In pratica, don Nicola Bux lancia un appello tanto semplice quanto controverso: rientrate nella Chiesa!
Ribadendo un convincimento tanto diffuso quanto malamente fondato: la Fraternità sarebbe fuori dalla Chiesa.
Ma è realmente così?

Se dal punto di vista strettamente canonico oggi le cose sembrerebbero stare così, è perché ci si dimentica che la Fraternità è nata con tutti i requisiti canonici necessari per essere un’opera della Chiesa e per 40 anni ha continuato ad essere un’opera della Chiesa, nonostante le forzature operate dal Vaticano per costringerla ad essere diversa da quella che era fin dalla sua legittima nascita.
Per usare la terminologia di don Nicola Bux, si può dire che una delle calamità prodotte dal Vaticano II è stata proprio la revoca della legittimità canonica posseduta dalla Fraternità. Revoca che si può certamente annoverare tra “i non pochi fatti del Concilio Ecumenico Vaticano II e del periodo successivo, legati all’elemento umano di questo avvenimento”, che hanno “addolorato grandi uomini di Chiesa”.
Se questo è vero, come lo è, non solo la Fraternità non può considerarsi fuori dalla Chiesa, ma ci si stupisce che, chi di dovere, non abbia ancora rimosso questo “fatto calamitoso”.
Continuare a parlare come se la Fraternità fosse fuori dalla Chiesa, significa avallare uno di quegli atti calamitosi che lo stesso don Nicola Bux denuncia e dei quali si dice addolorato.

Cosa manca perché la Fraternità, di fatto in comunione con la Chiesa, venga considerata in comunione anche di diritto?
Che l’autorità ecclesiastica annulli la famosa revoca del riconoscimento canonico del 1975; revoca che, illegittima allora, oggi, dopo 35 anni, si presenta in tutta la sua “calamità”, come indica don Nicola Bux.
È necessario ricordare, infatti, che come tale revoca appartiene all’insieme di quegli atti calamitosi generati dall’“elemento umano” del Concilio, giustamente segnalato negativamente da don Nicola Bux; così l’opera di Mons. Marcel Lefebvre, con la nascita e la persistenza della Fraternità, è da annoverare tra gli interventi divini, giustamente richiamati dallo stesso don Nicola Bux, atti a “rimediare ai tanti errori ed ai tanti cedimenti che tutti deploriamo”.
È notorio che fin dal suo nascere la Fraternità ha svolto quest’opera di correzione, e lo ha fatto anche con quegli atti che gli “uomini di Chiesa” a Roma hanno considerato e continuano a considerare illegittimi.

Senza la Fraternità non ci sarebbe stato il discorso alla Curia del dicembre 2005, né il Summorum Pontificum, né tampoco l’inizio della revisione critica dei documenti del Vaticano II, che oggi non scandalizza più nessuno e permette a don Nicola Bux di parlare di “fatti” che hanno “rappresentato vere calamità”.

Intendiamoci, è possibile che tutto questo si potesse verificare anche senza la Fraternità, solo Dio lo sa, ma a fronte della sua indimostrabilità, sta il “fatto” che è stata la Fraternità, da sola, a mantenere viva l’attenzione sulle calamità e sulla necessità di porvi rimedio, nonostante la sopraggiunta “illegittimità canonica” così tenacemente voluta da Roma, e forse anche grazie ad essa, e certo per volontà di Dio.

Non possiamo non credere “che Dio, in questi anni, abbia preparato e prepari uomini degni per rimediare ai tanti errori ed ai tanti cedimenti che tutti deploriamo”, come dice don Nicola Bux, ma questo non sta accadendo adesso: questo è già accaduto in questi 40 anni e porta nome e cognome: Mons. Lefebvre con i suoi vescovi, con i suoi sacerdoti, con i suoi religiosi e religiose, con i suoi numerosi fedeli e con tutto quello che ne è derivato in termini di iniziative e di riflessione, anche all’interno della Chiesa.

Perfino don Nicola Bux, in un certo modo, può considerarsi un figlio dell’opera di Mons. Lefebvre.

Di fronte a questi “fatti”, è davvero molto difficile riuscire a capire a che titolo la Santa Sede ponga delle condizioni per il riconoscimento canonico della Fraternità: cosa deve fare di ancora più cattolico la Fraternità, oltre a quanto ha fatto in questi 40 anni e che permette di dire a don Nicola Bux che “la vostra presenza, …, nella Chiesa aiuterà a portare maggiore luce… grazie alle vostre risorse pastorali e dottrinali, alle vostre capacità e sensibilità”?

Solo una seria riflessione su questi aspetti permette di soffermarsi correttamente sulle sollecitazioni di don Nicola Bux: “venite a partecipare a questo benedetto avvenire… il vostro rifiuto aumenterebbe lo spazio delle tenebre”.
Ma non è la Fraternità che si rifiuta di partecipare a questo benedetto avvenire, questo lavoro essa lo fa da 40 anni, ed è per questo suo lavoro che oggi si può timidamente azzardare che si intravedere un po’ di luce.

Se in qualche modo si può convenire che la regolarizzazione canonica della Fraternità amplierebbe “l’apporto che potrete dare, grazie alle vostre risorse pastorali e dottrinali, alle vostre capacità e sensibilità, al bene di tutta la Chiesa”, come dice don Nicola Bux, certo si rimane stupiti che la Santa Sede, per il bene di tutta la Chiesa, non abbia ancora annullato la revoca della legittimità canonica del 1975 e non abbia ancora ristabilito, come necessario, la regolarità canonica della Fraternità.
Tanto più che in varie occasioni, l’ultima è l’omelia del 2 febbraio scorso, la Fraternità ha ribadito che da parte sua non v’è alcun rifiuto: «Noi abbiamo parlato loro molto chiaramente: “se ci accettate è senza cambiamenti. Senza l’obbligo di accettare queste cose; allora siamo pronti. Ma se volete farcele accettare, allora è no”», ha detto Mons. Fellay nel corso di questa omelia. Ed ha ragione da vendere, poiché ciò che si vuole fare accettare alla Fraternità è quel Concilio Vaticano II che, come dice don Nicola Bux, ha generato “calamità” e “tenebre”.
A queste condizioni i ragionamenti di don Nicola Bux non servono a niente, perché è come se in questi 40 anni l’opera della Fraternità non fosse mai esistita.

Si dice che ci sarebbero anche questioni di opportunità e di realismo: non può certo essere il Vaticano a dichiarare che il Concilio è da rivedere; ma allora su che basi si dovrebbe svolgere quella illuminazione di cui parla lo stesso don Nicola Bux e alla quale dovrebbe concorrere la Fraternità?
Da questo punto di vista, è da quasi quattro anni che si parla pubblicamente, fuori dalla Fraternità, della necessità di realizzare una revisione critica dei documenti conciliari, e gli interventi sono stati numerosi e qualificati, seppure diversamente motivati, ma a tutt’oggi non è accaduto nulla di ufficiale, anzi ci si avvia a commemorare il cinquantennale del Concilio con iniziative dal sapore quasi esclusivamente apologetico.

Don Nicola Bux, col cuore pieno di speranza e di buona volontà, riteniamo, parla di alba incipiente che si accingerebbe a fugare le tenebre, e ricorda alcuni fatti promettenti in questo senso, dimenticando però che coevi ad essi ci sono altri fatti altrettanto significativi, prodotti dalla medesima autorità suprema della Chiesa e testimonianti l’ulteriore avanzare di quelle stesse tenebre che i primi dovrebbero fugare.
Se da un lato vi è il Summorum Pontificum, dall’altro vi è l’azione continua e metodica dei vescovi che lo demoliscono, anch’essi legittimi rappresentati dell’autorità ecclesiale; se da un lato vi è la remissione della scomunica, dall’altro vi è l’approvazione degli statuti e della pseudo liturgia dei Neocatecumenali, solo per fare un esempio; se da un lato vi è la Dominus Iesus, dall’altro vi è Assisi III e il Cortile dei Gentili; se da un lato vi è l’apertura di un confronto aperto sulla interpretazione del Concilio Vaticano II alla luce della Tradizione, dall’altro vi è il silenzio del Vaticano, rotto ogni tanto dall’esaltazione dei frutti prodotti dal Concilio; se da un lato vi è l’istanza dell’unità voluta da Gesù Cristo, dall’altro vi è la communicatio in sacris con gli eretici; e potremmo continuare a lungo; senza contare il perdurare dello svuotamento dei seminari, dei conventi e delle chiese.

Va tutto bene? Va tutto male?
No, va tutto come prima, con i suoi alti e bassi, con i suoi equivoci e con la sua confusione.
L’unica cosa che a tutt’oggi è certa è la promiscuità, la confusione, l’azione inclusivista attraverso la quale si riconosce la legittimità di qualsiasi novità, ad eccezione dell’unica cosa seria sorta a partire dal Concilio: la fedeltà alla Tradizione della Chiesa decisa e mantenuta dalla Fraternità San Pio X per 40 anni: questa è l’unica novità che ancora le autorità vaticane non intendono riconoscere, con la scusa che sarebbe in contraddizione col Concilio. Quindi?

Quindi, dice don Nicola Bux, occorre tenere presente “l’esperienza della comunione” a cui ci ha chiamati Gesù Cristo stesso. Comunione che “è disponibile ad ogni sacrificio per l’unità”, ut unum sint, ut credat mundum”, “perché è la testimonianza decisiva degli amici di Cristo”.
Non si comprende bene il senso del sacrificio richiesto da questa unità che, messa così, sembrerebbe trattarsi dell’unità per l’unità, cosa che non esiste minimamente nella citata preghiera di Gesù riportata nel cap. 17 del Vangelo di San Giovanni.
Quando il Signore Gesù prega il Padre ha in vista l’unità di coloro che hanno accolto le sue parole, che sono le parole del Padre: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola».

Così che questa unità non può essere fine a se stessa, essa è l’unità di coloro che hanno creduto e che crederanno all’unisono gli insegnamenti di Gesù Cristo, l'unità di coloro che saranno una cosa sola nella fedeltà al Figlio e al Padre, l'unità di coloro che professeranno l’unica e sola fede rivelataci dal Signore Gesù.

Dall’attenta considerazione delle parole di Gesù si evince che Egli non ha pregato affatto per l’unità tra coloro che hanno mantenuto la fedeltà alla Chiesa di sempre e coloro che continuano a giustificare le “calamità” e le “tenebre” prodotte dal Vaticano II…lungo questa strada non si incontra l’unità, ma la promiscuità, la confusione, l’inganno, la perdita della fede.

Seguendo fino alle estreme conseguenze le parole del Signore Gesù, appare logico che don Nicola Bux rivolga il suo appello, non tanto a Mons. Fellay e alla Fraternità, quanto al Card. Levada e al Vaticano.
Con i dovuti adattamenti tecnici questa lettera aperta, con particolare riferimento agli ultimi paragrafi, è da indirizzare a Roma piuttosto che a Ecône, perché è Roma che continua ad opporre il rifiuto e continua ad avanzare anacronistiche condizioni.

Si fa peccato a pensare che, forse, in fondo in fondo, sia stato proprio questo il più intimo intento di don Nicola Bux?



Dal sito: www.unavox.it

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