mercoledì 30 marzo 2011

Il Card. Ferdinando Antonelli e la Commissione per la Riforma Liturgica

Il Cardinale Giuseppe Ferdinando Antonelli nacque il 14 luglio 1896. Il 25 luglio 1914, a 18 anni, veste l’abito francescano.

Il 25 luglio 1922 diventa sacerdote. Presso l’Antonianum, fu professore di Storia ecclesiastica antica e di Archeologia. Fu professore di Liturgia presso l’Istituto Internazionale dei Padri Carmelitani Scalzi e all’Apostolicum. Il 22 febbraio 1930 viene nominato Consultore della Sacra Congregazione dei Riti per la sezione storica, di cui, nel 1935 diviene Relatore Generale. Nel 1948 fu nominato membro della Pontificia Commissione per la riforma liturgica, compito che assolse fino al 1960. Durante il Concilio Vaticano II fu Perito e Segretario della Commissione Conciliare della Sacra Liturgia (con nomina il 4 ottobre 1962): la commissione che preparò lo schema della Sacrosanctun Concilium da presentare ai Padri conciliari.
Il 27 febbraio 1964, fu nominato Membro del “Consilium ad exequendam Constitutionem de S. Liturgia”. Il 26 gennaio 1965 venne nominato Segretario della Sacra Congregazione dei Riti.
Risultano molti suoi scritti de “re liturgia”, come anche due manuali di Liturgia preparati dall’Antonelli pla riforma liturgica grazie alla splendida figura di questo Cardinale che aveva una grande competenza liturgica, era molto stimato da Papa Paolo VI e partecipò in prima persona sia ai lavori per la stesura della Sacrosanctum Concilium, sia ai lavori del su indicato Consilium che aveva il compito di applicare la riforma.
er gli allievi. Si tratta di una figura non solo di alto profilo e di grande competenza liturgica, ma anche di grande comunione con la Chiesa: fu nominato Vescovo il 21 febbraio 1966 e ordinato dallo stesso Papa Paolo VI il 19 marzo successivo. Sette anni più tardi, sempre Papa Paolo VI, sotto il cui pontificato è avvenuta la riforma liturgica, nel Concistoro del 5 marzo 1973, lo creava Cardinale. Il libro di Nicola Giampietro sul “Card. Ferdinando Antonelli e gli sviluppi della riforma liturgica dal 1948 al 1970” (pubblicato dal Pontificio Ateneo S. Anselmo, con la prefazione di Aimé Georges Martimort) è uno strumento prezioso per avere, dall’interno, informazioni chiare e sicure su come si è sviluppata
CHE COS’È
IL “CONSILIUM”
“Tutte le riforme si attuano per Decreto, così la Costituzione Liturgica del Concilio è stata seguita dall’Istruzione “Inter Oecumenici” che indica le norme pratiche di attuazione” (op. cit., p. 223). “Il 25 gennaio 1964, Papa Paolo VI con il Motu proprio “Sacram Liturgiam” istituiva una Commissione che aveva il compito principale di attuare nel modo migliore le prescrizioni presenti nella Sacrosanctun Concilium.
Il nuovo organismo detto “Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia, era composto anzitutto dai Cardinali Giacomo Lercaro (presidente), Paolo Giobbe e Arcadio Larraona; il segretario era il P. Annibale Bugnini. (FOTO) C’erano poi 200 consultori tra cui 6 protestanti: il dr. Georges, il canonico Jasper, il dr. Shepard, il dr. Konneth, il dr. Smith e fr. Max Thurian i quali per esplicita testimonianza din Mons. W.W. Baum (oggi cardinale) non furono semplici osservatori ma ebbero un ruolo attivo nella creazione della nuova messa (cfr. intervista al Detroit News del 27/06/1967). Delle prime adunanze di questo Consilium si parla nel diario dell’Antonelli e si deduce che egli prese parte attiva al momento progettuale e  decisionale” (op. cit., p. 225). Si ritiene di dover nominare dei consultori: “Non saranno pochi. Più ancora i Consiliari che dovranno esaminare gli schemi. I nomi dei Consultori non saranno pubblicati.
/…/
1^ ADUNANZA
Al termine della prima adunanza l’Antonelli annota: “Non sono entusiasta dei lavori. Mi dispiace del come è stata cambiata la Commissione: un raggruppamento di persone, molte incompetenti, più ancora avanzata nelle linee della novità. Discussioni molto affrettate.
Discussioni a base di impressioni: votazioni caotiche. Ciò che più mi dispiace è che i Promemoria espositivi e i relativi quesiti sono sempre su una linea avanzata e spesso in forma suggestiva.
Direzione debole. Spiacevole il fatto che si riaccende sempre la questione dell’art. 36 § 4. Mons. Wagner era inquieto. Mi dispiace che questioni, forse non tanto gravi in sé, ma gravide di conseguenze, vengano discusse e risolte da un organo che funziona così. La Commissione o il Consilium è composto di 42 membri” (op. cit., pp. 228-229)
2^ ADUNANZA
“I rilievi dell’Antonelli rivelano il clima nel quale si lavorava. Si viene a sapere che non c’erano solo discussioni su determinati problemi, ma che si facevano anche degli esperimenti liturgici veri e propri”(op. cit., p. 230). /…/
3^ ADUNANZA
“Dispiace lo spirito che è troppo innovatore.
Dispiace il tono delle discussioni troppo sbrigativo e tumultuario talvolta.
Dispiace che il Presidente non abbia fatto parlare, domandando a ciascuno il parere”(op. cit., p. 230).
5^ ADUNANZA
“Si proponeva di togliere il Confiteor dalla S. Messa. Dopo un intervento dell’Antonelli si decide che ci deve essere un atto penitenziale nella Messa e all’inizio. Si discute sul Kyrie e Gloria, sulla Liturgia Verbi e sull’offertorio. “Mi dicono che per l’offertorio è stato rilevato come il passo dei Proverbi 9, 1-2, sia cosa artificiale. Ma questo è proprio il sistema deprecato di Durando de Mende, di prendere cioè dei passi della Scrittura solo perché vi ricorre la parola di un rito. Nella Sapienza, i vini e i cibi sono i consigli e la dottrina che derivano dalla Sapienza, che cosa ha da vedere con l’Eucaristia? /…/ A conclusione della quinta sessione l’Antonelli esprime un giudizio preoccupato: “Lo spirito non mi piace. C’è un spirito di critica e di insofferenza verso la S. Sede che non può condurre a buon termine. E poi tutto uno studio di razionalità nella liturgia e nessuna preoccupazione per la vera pietà. Temo che un giorno si debba dire di tutta questa riforma quello che fu detto della riforma degli inni al tempo di Urbano III: “accepit latinitas recessit pietas”; e qui accepit liturgia recessit devotio”. Vorrei ingannarmi”
(op. cit., pp. 233-234).
6^ ADUNANZA
“Nelle ordinazioni si decide, con poca maggioranza, che i concelebranti impongano solo le mani (la materia) senza dire la formula (la forma). A mio modo di vedere la questione è grave e non si può permettere quanto è stato proposto da Dom Botte” (op. cit., pp. 234-236).
7^ ADUNANZA
“A questa Sessione, per la prima volta, hanno partecipato osservatori delegati di chiese protestanti. /…/ In merito all’ordinazione sacerdotale l’Antonelli osserva con sorpresa che, nell’allocuzione del Vescovo agli ordinandi, che è nuova, tra gli uffici del sacerdote non è citato il suo impegno principale: offrire il sacrificio eucaristico. Osserva che anche l’espressione usata dal Vescovo subito dopo per indicare agli ordinandi cosa devono fare “è una formula vaga e non si può accettare. Bisogna ammettere chiaramente che il sacerdote ha il preciso ufficio di offrire il sacrificio eucaristico”. Dopo un altro incontro di studio il Padre Antonelli annota: “Ho l’impressione che il corpo giudicante, che in questo caso erano i 35 Padri del Consilium presenti, non fossero all’altezza.
C’è poi un elemento negativo: la fretta di andare avanti con urgenza” (op. cit., pp. 236-237).
8^ ADUNANZA
“Nell’adunanza del 19 aprile 1967, Paolo VI intervenne personalmente e parlando del cammino in corso dell’attuazione della riforma liturgica, Paolo VI si disse amareggiato, perché si facevano esperimenti capricciosi nella Liturgia e più addolorato ancora di certe tendenze verso una desacralizzazione della Liturgia.
Però ha riconfermato la sua fiducia al Consilium. E non si accorge il Papa che tutti i guai vengono dal come sono state impostate le cose in questa riforma del Consilium”. /…/ È pessimo il sistema delle discussioni: a) gli schemi spesso vengono prima della discussione.
Qualche volta, e in cose gravissime, come quella delle nuove anafore, è stato distribuito uno schema la sera, per discuterlo l’indomani. b) Il Card. Lercaro non è l’uomo per dirigere una discussione.
Il P. Bugnini ha solo un interesse: andare avanti e finire. c) Peggiore il sistema delle votazioni. Ordinariamente si fanno per alzata di mano, ma nessuno conta chi l’alza e chi no, e nessuno dice tanti approvano e tanti no. Una vera vergogna. Non si sa quale maggioranza sia necessaria, se dei due terzi o quella assoluta. Altra mancanza grave è quella che manca un verbale delle adunanze. /…/ Viene deciso di rivedere la struttura e l’ordinamento del “Consilium”. /…/ Ecco cosa – tra l’altro - l’Antonelli scrive al Papa: “a) è molto diffusa, in gran parte del clero e dei fedeli, una notevole inquietudine per queste continue mutazioni. b) Questo stato di instabilità /…/ favorisce gli arbitri e abbassa sempre più il rispetto sacro delle leggi liturgiche. c) Gli esperimenti è necessario che siano pochi, limitati nel tempo e riservati a pochissimi ambienti qualificati, con persone responsabili.
Esperimenti in vasta scala e la larghezza, forse con la quale sono stati permessi, ha fatto sì che non pochi sacerdoti, un pò dovunque, si ritengano autorizzati a tentare le cose più stravaganti, con il pretesto che si fanno ad experimentum. d) È cosa nuova che un organo della S. Sede prepari da sé il suo statuto e lo approvi e che il Papa soltanto lo confermi. e) Nella nomina dei componenti il Consilium, compresi i Cardinali, come dei suoi Consultori e dei suoi organismi, per i quattro quinti la scelta è fatta dallo stesso Consiglio di Presidenza e al Papa spetta solo la conferma (è chiaro che se vuole può non confermare, ma in pratica è la scelta che determina). Il Papa così può scegliere direttamente e nominare solo una quinta parte, compresi, ripeto, i Cardinali. Queperché anche dopo Trento e il Vaticano I, terminato il Concilio, fu la Santa Sede che tornò ad avere piena autonomia” (op. cit., pp. 237-242).
RILIEVI FINALI
SUL “CONSILIUM”
“In uno scritto relativo a tutto il 1967, Mons. Antonelli espone le sue impressioni sulla situazione interna ed esterna al “Consilium”: 1) Confusione. Nessuno ha più il senso sacro e vincolante della legge liturgica. I cambiamenti continui, imprecisi e qualche volta meno logici, e il deprecabile sistema, secondo me,degli esperimenti, hanno rotto le dighe e tutti, più o meno, agiscono ad arbitrio; 2) c’è stanchezza. Si è stanchi delle continue riforme e si desidera da tutti di arrivare ad un punto fermo; 3) negli studi di più vasta scala continua il lavoro di desacralizzazione e che ora chiamano secolarizzazione; 4) da qui si vede che la questione liturgica /…/ si inserisce però a sua volta in una problematica molto più vasta, e in fondo dottrinale; 5) la grande crisi perciò è la crisi della dottrina tradizionale e del magistero” (op. cit., pp. 242-243). “l’Antonelli fa emergere il suo disappunto per le varie prese di posizione nei confronti della riforma liturgica perché pone la liturgia a fondamento della formazione cristiana e quindi si aspettava che la riforma liturgica venisse applicata seriamente con una certa calma e ponderato equilibrio” (op. cit., p. 247).
LA VERA RIFORMA
DEL CONCILIO?
Nei suoi appunti l’Antonelli ci aiuta a vedere quali erano i punti sui quali i Padri si basarono per stilare la Costituzione liturgica.
Dopo averne fatto l’elenco dettagliato egli, nei suoi appunti, sottolinea in rosso il problema della lingua volgare, quasi a significare l’importanza dell’argomento e i contrasti che ha generato. “Si tratta di due valori in conflitto. Il latino è certamente la lingua della liturgia latina da circa 1600 anni; è un segno e coefficiente anche di unità; è anche tutela della dottrina, non tanto per l’indole della lingua quanto perché si tratta ormai di una lingua che non è più soggetta a mutazioni; molti testi d’incomparabile bellezza non potranno mai avere nella traduzione la stessa efficacia; al latino finalmente è legato un patrimonio preziosissimo, quello melodico, gregoriano, polifonico. Dall’altra parte è fuori di dubbio che se vogliamo riportare i fedeli, tutti i fedeli, ad una partecipazione diretta, cosciente e attiva, bisogna rivolgersi a loro nella lingua che essi parlano.
La Costituzione ha scelto l’unica soluzione possibile in tali casi: la soluzione del compromesso: per certe parti, come il Canone, resta il latino; per le altre, quelle soprattutto che più direttamente si rivolgono al popolo, con le letture, la restauranda “oratio fidelium”, si introduca il volgare” (op. cit., p. 206).

Fonte: Fedeecultura

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