sabato 19 luglio 2014

Uno strano articolo di uno strano frate

Ricevo, pubblico e unendomi sottoscrivo

Uno strano articolo di uno strano frate


di Belvecchio

Da un rimando all’altro siamo andati a finire su uno strano articolo pubblicato sul sito dei Francescani dell’Immacolata e scritto da uno di loro, tale Angelo M. Geiger, che spiega quali siano le colpe, sembra imperdonabili, di Roberto de Mattei.
Diciamo subito che l’argomento principale non ci interessa, sia perché non ci sembra per niente strano che de Mattei abbia delle colpe, sarebbe davvero singolare che non ne avesse, come sembra far capire Geiger relativamente a se stesso; sia perché si tratta dei soliti argomenti trattati in stato di totale pronazione davanti al Vaticano II e ai papi che lo hanno voluto, sostenuto e continuato a difendere nonostante la Chiesa continui a subire un processo di demolizione che non ha paragoni in duemila anni di storia.


Quello che ci ha spinti a soffermarci su questo scritto, quindi, non è la polemica, per molti versi puerile e un po’ sconclusionata, contro de Mattei, bensì il tono definitorio col quale questo frate ritiene di poter insegnare a tutti cos’è giusto e cos’è sbagliato; quasi che dopo duemila anni fosse finalmente giunto un Geiger qualunque a mostrare la luce ai poveri ciechi.
E per far capire cosa ci muove per queste nostre righe, citiamo una frase illuminante del frate.
«Io prego che i tradizionalisti che sono stati radicalizzati imparino finalmente la lezione», soprattutto in relazione alla luce da lui fornita un attimo prima: «E chi tocca il Papa non finisce bene. Questo è stato verificato reiteratamente.».

Frase che citiamo innanzi tutto per fatto personale. Lo confessiamo: siamo di quei tradizionalisti che sono stati “radicalizzati” da de Mattei, perché essendo noi totalmente imbecilli è bastata qualche sua battuta per renderci radicali nemici di tutti coloro che da cinquant’anni predicano e praticano la distruzione della Chiesa.
Meno male che adesso, avendo letto quest’articolo, possiamo “imparare la lezione”.

«chi tra noi accetta l’ermeneutica della continuità, fa del suo meglio per trovare la continuità tra il Concilio e la Tradizione, invece di insistere semplicemente sul fatto che il Magistero moderno, papa Benedetto incluso, debba provare l’esistenza di tale continuità.»
Praticamente un’illuminazione!
Non nuova a dire il vero, perché in fondo il frate non fa altro che ripetere a pappagallo la tiritera per gonzi secondo la quale il Vaticano II sarebbe talmente in continuità con la Tradizione, che bisogna fare del proprio meglio per trovarla… la continuità.
Noi saremo imbecilli, ma che dire di coloro che ragionano così e poi pretendono di dare lezioni agli altri?

Sia chiaro, noi non siamo di quelli che chiedono a papa Ratzinger di provare l’esistenza della continuità di cui parla, non abbiamo mai perso tempo con simili fanciullaggini; noi constatiamo semplicemente che se per parlare di continuità è necessaria un’interpretazione o ermeneutica del Vaticano II, allora è del tutto evidente che la conclamata continuità non è né evidente, né chiara, né tampoco anche solo accennata.
Se papa Ratzinger, da quella persona intelligente che è, si fosse solo soffermato a riflettere sull’implicazione contraddittoria della sua famosa ermeneutica della continuità, non si sarebbe imbarcato nella storia risibile della continuità così certa che necessita di un’apposita preventiva ermeneutica.

E la nostra osservazione, che certo scandalizzerà gli interessati sostenitori del Vaticano II, trova conforto nel fatto che, per l’esattezza, papa Ratzinger ha parlato di “ermeneutica della riforma nella continuità”. Cioè ha inteso precisare che non si tratta di continuità del Vaticano II con la Tradizione, ma di interpretare il Vaticano II in modo che le riforme che ne sono seguite possano dirsi in continuità con la Tradizione.
La differenza non è poca, poiché, oltre all’aspetto capzioso dell’ermeneutica strumentale, vi è un pregiudizio insito: la riforma, intesa come concetto di per sé giusto.
Disgrazia vuole che il termine “riforma” abbia un’accezione molto vasta e insieme sia composta da elementi facilmente verificabili nella vita della Chiesa: i cosiddetti “frutti” di cui parla il Vangelo.
Circa l’accezione, la riforma può indicare una variazione pratica o semplicemente tecnica, oppure una variazione radicale. Riforma è il cambio del pastorale con la croce astile, oppure la riforma protestante. Sono entrambe riforme. A quale tipo di riforma pensava papa Ratzinger nella sua infelice espressione “ermeneutica della riforma nella continuità”? Anche Lutero era convinto di agire in continuità con la Tradizione della Chiesa, peccato che avesse un’idea del tutto distorta di Tradizione. Ma lo stesso vale per papa Ratzinger, che della Tradizione ha un’idea che corrisponde perfettamente al suo sentire, ma che diverge totalmente dal vero significato del termine.
Ratzinger ha ripetutamente insegnato che la tradizione è quella cosa che si muove e muta col muoversi e col mutare del “popolo di Dio”, concetto che non c’entra nulla col “trasmettere”, che è l’azione propria della Tradizione. Già questo solo esempio basta a far capire cosa porta con sé il Vaticano II, di cui Ratzinger fu uno degli autori.

Circa i “frutti”, solo un cieco può negare che in cinquant’anni il Vaticano II, con i suoi autori e i suoi realizzatori, Ratzinger in testa, abbia prodotto un disastro dopo l’altro, fino a ridurre la pratica della fede in un coacervo di pensieri, parole, opere ed omissioni che hanno trasformato i cattolici in protestanti e i seguaci di Cristo in difensori di ogni forma di a-cristianesimo e di anticristianesimo, fino all’ultima prestazione di papa Bergoglio.

Ora, che ci siano preti e frati che vadano orgogliosi di tutto questo è più che comprensibile, il male si muove sempre con le gambe degli uomini, ma che qualcuno di questi pretenda di imporci l’idea che tutto questo sarebbe un bene, è cosa che le persone di buon senso non riescono ad ascoltare senza offendersi e reagire. Non c’è bisogno di radicalizzare alcunché di fronte alla sfacciata negazione dell’evidente sfacelo del cattolicesimo causato dal Vaticano II e dai papi che l’hanno voluto e lo vogliono.

Prendiamo atto però che il frate in questione riconosce in qualche modo la distruzione, ma se la cava con un’altra delle battute infelici di papa Ratzinger.
«Alcuni giorni prima della sua abdicazione, Benedetto XVI parlò di Concilio virtuale e di vero Concilio, e del fatto che la distruzione portata dal Concilio virtuale avesse oscurato il vero Concilio. Ma ora il Concilio virtuale è stato sconfitto, ed il vero Concilio si rivela come la ‘vera forza’ per un vero rinnovamento della Chiesa’. Benedetto XVI affermò inoltre che adesso il nostro compito è ‘lavorare affinché’ il vero Concilio, con il potere datogli dallo Spirito Santo, si compia e la Chiesa sia davvero rinnovata’

Tralasciamo il fatto quasi “insignificante” che Ratzinger, oltre ad essere uno dei diretti responsabili del Vaticano II, è stato per un quarto di secolo il realizzatore dello stesso; e soffermiamoci a considerare come si possa giungere ad affermare, impunemente, che la distruzione sia stata opera del “concilio virtuale”. Ratzinger allora pretese di far passare come una cosa sensata che gli atti e gli insegnamenti di due papi, e i suoi come custode della dottrina della fede, non abbiano contato alcunché di fronte all’imperversare del “concilio virtuale”.
Da buon riformatore e sottile eversore della Tradizione, Ratzinger ha dimostrato di essere un efficace inventore di cose inconsistenti, dalla ermeneutica della riforma nella continuità – con la Tradizione – è passato all’invenzione del “concilio virtuale”, cioè di una sorta di concilio venuto dal nulla e tuttavia impossibile da contrastare per quarant’anni, neppure da lui che capiva tutto e teneva le leve del potere; e coerentemente è arrivato fino all’invenzione del Papa che non c’è più e che tuttavia c’è ancora: una sorta di ectoplasma che compare e scompare a seconda delle convenienze.
Il frate in questione, se avesse un minimo rispetto di sé, dovrebbe evitare di citare a testimone papa Ratzinger per cercare di giustificare il fatto che per lui va tutto bene… signora la marchesa.

Ma sembra che niente possa fermare la deriva di questo frate, perché è davvero risibile leggere che “ora il concilio virtuale è stato sconfitto”.
Ci si chiede: dove e da chi è stato sconfitto questo ente immaginario e letteralmente sconosciuto? Prima di poter affermare che è stato sconfitto, sarebbe opportuno precisare cosa sia e da chi è rappresentato su questa terra. Ma su questo il frate, al pari di papa Ratzinger, sorvola, forse perché entrambi sanno che i portatori di tale concilio, che virtuale non è, sono tutti in Vaticano e fanno i vescovi, i cardinali e i papi.
E ancora: se il “concilio vero” aveva il “potere datogli dallo Spirito Santo”, come mai non s’è compiuto ed è stato possibile che si compisse la distruzione operata del “concilio virtuale”?
E ancora: se per cinquant’anni il “concilio vero”, col potere dello Spirito Santo, è stato sopraffatto dal “concilio virtuale”, nonostante Ratzinger e i papi, com’è possibile che adesso si possa compiere ad opera del nostro frate e dei suoi sodali?
Qui, o si tratta di sopravvalutazione di sé, di una sorta di delirio d’onnipotenza, o si tratta di malafede, o si tratta della distruzione dell’intelligenza.

In realtà le cose sono più semplici di come qualcuno vorrebbe farle apparire: la Chiesa è sempre più devastata, il destino soprannaturale delle anime dei fedeli è sempre più messo in pericolo, ma ci sono preti e frati che continuano ad essere convinti che il grande avvenire stia nell’abbraccio col mondo, nel ricercare gli applausi dei nemici di Dio, nel sentirsi parte integrante di un mondo che si avvia velocemente verso la catastrofe inevitabile determinata dal castigo di Dio.
Quello che lascia perplessi, e scoraggiati, è che questo atteggiamento sia stato fatto proprio anche da certi frati, che in teoria avrebbero scelto il distacco dal mondo.
Ma, nonostante lo scoramento, per il quale ci affidiamo all’aiuto della Vergine Immacolata, troviamo conforto nel fatto che ancora una volta vediamo confermati i nostri timori e la giustezza delle nostre “radicali” opposizioni, così che ci sentiamo rafforzati nel combattere il Vaticano II che come un veleno entra sottilmente e mortalmente anche negli animi di molti uomini inizialmente ben disposti.
Il frate in questione è un Francescano dell’Immacolata, e noi conosciamo dei frati che sono davvero degni e meritevoli di ogni rispetto, ma il veleno mortale del Vaticano II non è una “realtà virtuale” come il concilio inventato da papa Ratzinger, bensì il frutto del lavoro del demonio, destinato a corrompere tante anime anche inizialmente ben disposte.

Per ultimo ci sembra doveroso dire due parole sulla puerile leggenda di “chi tocca il Papa muore”.
Il dovere di ogni cattolico non è di difendere il Papa, ma di difendere la fede e di combattere ogni cosa e ogni uomo che cercano, non solo di distruggerla, ma anche solo di metterla in pericolo. E se per imperscrutabile disegno della Divina Provvidenza, uno di questi uomini fosse il Papa, il dovere del cattolico è di denunciarlo pubblicamente, per dovere di verità e per dovere di carità verso gli altri fratelli, papa compreso; e tale denuncia dev’essere tanto più pubblica per quanto più manifesta e dichiarata è l’opera sovvertitrice dell’insegnamento tradizionale. Esimersi dal compiere questo dovere di stato, non significa rispettare il Papa, ma sostenere l’opera del demonio.
Ma chi siamo noi per poterci permettere di denunciare il Papa davanti a tutti i fratelli? Nessuno, certo!
Ma se perfino noi che siamo nessuno ci accorgiamo che il Papa dice cose malvagie e agisce in modo da sovvertire la fede, allora è del tutto evidente che il Papa sbaglia in maniera palese; e se poi tale constatazione non è solo nostra, ma è anche di altri fratelli e non è un fatto casuale, ma ripetuto nel tempo con moto perfino accelerato; e se i frutti prodotti dalla sovversione della fede sono talmente manifesti da suscitare perfino il plauso dei nemici di Dio, allora non v’è dubbio che siamo obbligati a rifiutare il malvagio insegnamento del Papa e a condannare e denunciare le sue opere del male… perché il dovere del fedele di Cristo è di obbedire a Dio e non agli uomini.

Siamo ben consci che di tutto questo che sosteniamo dovremo rendere conto a Dio e ci assumiamo tutte le responsabilità relative, comprese quelle dei nostri errori che potrebbero turbare gli animi dei fratelli, ma abbiamo ugualmente coscienza che in quello stesso giorno ci verrà chiesto conto di come abbiamo usato i talenti che il Signore ci ha assegnati, e siamo fortemente determinati a non farci trovare “tiepidi” per non farci vomitare dalla Sua bocca (Ap. 3, 15-16).

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