Lettera aperta di S. E. Mons. Richard Williamson
vescovo della Fraternità San Pio X
a
S. E. Mons. Bernard Fellay
Superiore generale della Fraternità San Pio X
riguardo ad un’“esclusione”
La lettera è stata pubblicata sul settimanale francese Rivarol
il 26 ottobre 2012
l'impaginazione è nostra
Londra, 19 ottobre
2012
Eccellenza,
grazie per la vostra lettera del 4 ottobre, con la quale mi comunicate da parte vostra, del Consiglio Generale e del Capitolo Generale, la vostra “constatazione”, “dichiarazione” e “decisione” che io non sono più membro della Fraternità San Pio X.
Non possiamo riassumere tutte queste motivazioni e considerarle essenzialmente “disubbidienza”?
Certamente, nel corso di questi ultimi dodici anni, il vostro servitore ha espresso parole e gesti che sono risultati inappropriati ed eccessivi davanti a Dio, ma credo sarebbe stato sufficiente segnalarglielo perché se ne fosse scusato, secondo verità e giustizia.
Ma siamo altrettanto certamente d’accordo che il problema di fondo non si trova nei dettagli, ma si riassume in una sola parola: disobbedienza.
Allora, cominciamo analizzando quanti ordini più o meno sgradevoli del Superiore Generale il vostro servitore ha rispettato senza ribattere.
Virtualmente non gli rimaneva che il ministero del “Commento eleison”, il cui rifiuto di sospensione rappresenta la parte essenziale di questa “disobbedienza” che gli viene rimproverata.
E a partire dal 2009 i Superiori della Fraternità si sono permessi di discreditarlo ed ingiuriarlo a loro piacimento, ed in tutto il mondo hanno incoraggiato ogni membro della Fraternità che ne avesse voglia a fare lo stesso.
Il vostro servitore non ha quasi reagito, preferendo il silenzio a qualsiasi confronto scandaloso. Si potrebbe persino dire che si è sforzato di non disubbidire.
Ma andiamo oltre, poiché il vero problema non è questo.
Allora, dove si trova il vero problema?
Per rispondere, permettete all’accusato di fare una rapida analisi della storia della Fraternità dalla quale si pretende che egli si stia separando.
In realtà, il problema centrale ha radici nel passato.
A partire dalla Rivoluzione francese della fine del XVIII secolo, in molti Stati un tempo cristiani si è imposto un nuovo ordine mondiale, concepito dai nemici della Chiesa per cacciare Dio dalla sua creazione. Si è cominciato sostituendo l’antico regime, dove il trono sosteneva l’altare, con la separazione tra Chiesa e Stato. Ne è derivata una struttura della società radicalmente nuova, difficile per la Chiesa, poiché lo Stato, ormai implicitamente ateo, ha cominciato ad opporsi con tutte le sue forze alla religione di Dio.
In realtà, la massoneria vuole sostituire il vero culto di Dio con il suo culto della libertà la cui neutralità in campo religioso non è che uno strumento (per raggiungere l’obiettivo).
Comincia così nei tempi moderni una guerra impietosa tra la religione di Dio, difesa dalla Chiesa Cattolica, e la nuova religione dell’uomo, liberata da Dio e liberale. Queste due religioni sono inconciliabili tanto quanto Dio e il demonio. Bisogna scegliere tra cattolicesimo e liberalismo.
Ma l’uomo non vuole scegliere, vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Vuole entrambe le cose.
Quindi, sulla scia della Rivoluzione, Félicité de Lamennais inventa il cattolicesimo liberale e, da lì in poi, la conciliazione degli inconciliabili diventa il pane quotidiano all’interno della Chiesa.
Per 120 anni, la misericordia di Dio ha dato alla Sua Chiesa una serie di Papi, da Gregorio XVI a Pio XII, per la maggior parte perspicaci e risoluti, ma un numero sempre crescente di fedeli ha cominciato a propendere per l’indipendenza da Dio e per i piaceri materiali verso i quali il cattolicesimo liberale spingeva.
Una progressiva corruzione ha finito per coinvolgere vescovi e sacerdoti, allora Dio ha deciso di permettere loro di scegliere il genere di papi che garbava loro, ossia quelli che fanno solo finta di essere cattolici, ma che in realtà sono dei liberali, che parlano a destra ma agiscono a sinistra, che spiccano per la contraddizione, l’ambiguità, per la dialettica hegeliana, in parole povere per la menzogna.
Si tratta della neo-Chiesa del Vaticano II.
E non poteva che essere così.
Solo nei sogni si possono conciliare delle realtà incompatibili tra loro.
Ma Dio – parola di Sant’Agostino – non abbandona le anime che non vogliono abbandonarlo, quindi viene in soccorso di quelle poche anime che restano cattoliche e non vogliono seguire la molle apostasia del Vaticano II.
Suscita un vescovo che resisterà al tradimento del clero conciliare. Rispettando la realtà, evitando di conciliare l’inconciliabile, rifiutando di sognare, questo arcivescovo parla con tali chiarezza, coerenza e verità che il gregge riconosce in lui la voce del Divino Maestro.
La Fraternità sacerdotale che egli fonda per formare dei veri sacerdoti cattolici si avvia a piccoli passi, ma, rifiutando in modo risoluto gli errori conciliari ed il loro fondamento cattolico liberale, attira a sé ciò che resta dei cattolici autentici dal mondo intero, fino a formare la spina dorsale di tutto un movimento nella Chiesa che è detto Tradizionalismo.
Ora, questo movimento è odioso per gli uomini della neo-Chiesa che vogliono sostituire il cattolicesimo col cattolicesimo liberale. Con l’aiuto dei media e dei governi, fanno di tutto per screditare, ingiuriare e sopprimere il coraggioso arcivescovo. Nel 1976, Paolo VI lo “sospende a divinis”, nel 1988 Giovanni Paolo II lo “scomunica”. Questo arcivescovo importuna terribilmente i papi conciliari perché la sua parola di verità mina il loro reticolo di menzogne e mette a rischio il loro tradimento. E sotto i colpi della loro persecuzione, persino della loro “scomunica”, tiene duro e con lui il considerevole numero di sacerdoti della sua Fraternità.
Questa fedeltà alla verità fa si che Dio conceda alla Fraternità dodici anni di pace interna e di prosperità esterna.
Nel 1991, il grande arcivescovo muore, ma per nove anni ancora la sua opera si perpetua nella fedeltà ai principi antiliberali sui quali l’ha costruita.
Allora, cosa faranno i Romani conciliari per fare fronte a questa resistenza? Sostituiranno il bastone con la carota.
Nell’anno 2000, un grande pellegrinaggio della Fraternità per l’Anno Giubilare mostra per le strade e nelle Basiliche di Roma la pietà e la potenza della Fraternità. I Romani ne sono impressionati, loro malgrado.
Un cardinale invita i quattro vescovi ad un sontuoso pranzo presso di lui, invito accettato da tre di loro.
Subito dopo questo pranzo molto amichevole, i contatti tra Roma e la Fraternità, da dodici anni pressoché congelati, riprendono e con quelli l’opera di seduzione dei bottoni rossi e dei pavimenti in marmo.
I contatti riprendono tanto freneticamente che già alla fine dell’anno molti sacerdoti e fedeli della Tradizione temono una conciliazione tra la Tradizione cattolica ed il Concilio liberale.
Questa non avviene, ma il linguaggio del Quartier Generale della Fraternità a Menzingen comincia a cambiare e nei dodici anni a seguire si mostrerà meno ostile verso Roma e più benevola verso le autorità della Chiesa conciliare, verso i media ed il loro mondo.
E, man mano che la conciliazione degli inconciliabili viene preparata dalla testa della Fraternità, nel suo corpo di sacerdoti e di laici l’atteggiamento diventa pian piano più indulgente verso i papi e la Chiesa conciliari, verso tutto ciò che è mondano e liberale.
Dopo tutto, il mondo moderno che ci circonda è veramente così gramo come ci hanno voluto far credere?
Questa avanzata del liberalismo all’interno della Fraternità, percepita da una minoranza di sacerdoti e di fedeli, ma apparentemente invisibile agli occhi della grande maggioranza, si è svelata a molti nella primavera di quest’anno quando, in seguito al fallimento dei Colloqui Dottrinali della primavera 2011, la politica cattolica del “nessun accordo pratico senza accordo dottrinale” è diventata da un giorno all’altro “nessun accordo dottrinale, quindi accordo pratico”. E verso la metà di aprile il Superiore generale offre a Roma come base per un accordo pratico, un testo ambiguo, apertamente favorevole a questa “ermeneutica della continuità” che è la beneamata ricetta di Benedetto XVI per conciliare, precisamente, il Concilio e la Tradizione!.
“Occorre un pensiero nuovo” dirà il Superiore Generale nel mese di maggio ai sacerdoti del distretto austriaco della Fraternità. Ovvero, il capo della Fraternità fondata nel 1970 per resistere alle novità del Concilio, propone di conciliarla con il Concilio. Oggi essa è conciliante. Domani dovrà diventare pienamente conciliare!
Si stenta a credere che l’opera fondata da Mons. Lefebvre sia stata condotta a dimenticare, addirittura disprezzare i principi sui quali egli l’ha fondata, ma questo è il potere della seduzione delle fantasie del nostro mondo senza Dio, modernista e liberale.
Ciò nonostante, la realtà non si lascia influenzare dalle fantasie, ed è reale il fatto che non si possono demolire i principi di un fondatore senza demolirne anche la fondazione. Un fondatore ha delle grazie particolari che nessuno dei suoi successori ha. Come tuonava Padre Pio quando i Superiori della sua Congregazione provavano a “rinnovarla” secondo il nuovo pensiero del Concilio appena terminato: “Che cosa fate del Fondatore?”
Il Superiore Generale, il Consiglio Generale ed il Capitolo Generale della FSSPX hanno un bel conservare Mons. Lefebvre come mascotte, in realtà hanno un nuovo proposito, lontano dalle gravissime motivazioni per cui egli ha fondato la Fraternità. La stanno mandando in rovina almeno attraverso un tradimento oggettivo, assolutamente analogo a quello del Vaticano II.
Ma siamo giusti, e non esageriamo.
Fin dall’inizio di questa lenta caduta della Fraternità, ci sono sempre stati sacerdoti e fedeli che hanno capito e che hanno fatto il possibile per resistere. Nella primavera di quest’anno questa resistenza ha assunto consistenza e dimensioni tali da rappresentare un ostacolo al Capitolo Generale del mese di luglio, già sul cammino nefasto dell’accordo.
Ma riuscirà a tenere questo ostacolo? Temo di no.
Davanti ad una quarantina di sacerdoti della Fraternità riuniti in ritiro sacerdotale ad Ecône nel mese di settembre, il Superiore Generale, riferendosi alla sua politica romana, ha confessato: “Mi sono sbagliato”, ma di chi è la colpa?
“I Romani mi hanno ingannato.” Inoltre, ne è derivata “una grande sfiducia nella Fraternità” che occorrerà “riparare attraverso fatti e non solo parole”, ma di chi è la colpa?
Fino ad ora, il suo operato, a partire dal mese di settembre, ivi compresa questa lettera del 4 ottobre, mostrano che egli se la prende con i sacerdoti e con i laici che non hanno saputo fidarsi di lui, il loro capo.
Dopo il Capitolo, come prima dello stesso, rimane l’impressione che egli non tolleri nessuna opposizione alla sua politica conciliatrice e conciliare.
Ed eccola la motivazione per cui il Superiore Generale ha dato più volte l’ordine formale di chiudere i “Commenti eleison”.
In effetti, questi “Commenti “ hanno criticato a più riprese la politica conciliatrice verso Roma delle Autorità della Fraternità, ed implicitamente le hanno attaccate. Ora, se in questa critica ed in questi attacchi si trovano delle violazioni alla regola del rispetto dovuto al loro ufficio e alle loro persone, ne chiedo volentieri perdono a chi di diritto, ma credo sia sufficiente rileggere i numeri in questione dei “Commenti” per constatare che la critica e gli attacchi sono rimasti di norma impersonali, poiché in ballo c’è ben altro che solo delle persone.
E, in quanto al grande problema che va ben oltre alle persone, consideriamo la gran confusione che regna attualmente nella Chiesa e nel mondo, e che mette in pericolo la salvezza eterna di un’infinità di anime.
E come in particolare un altro vescovo può volerlo zittire, lui che ha dovuto ammettere davanti ai suoi sacerdoti che sulle stesse grandi questioni si è lasciato ingannare, e questo per molti anni?
In più, se il vescovo refrattario si è effettivamente dato – per la prima volta in quasi 4 anni – un apostolato indipendente, come lo si può rimproverare di avere accettato un invito, indipendente dalla Fraternità, a cresimare e a predicare una parola di verità?
Non consiste proprio in questo la funzione stessa di un vescovo?
La sua parola in Brasile sarà stata di “confusione” solo per quelli che seguono l’errore confessato ed evocato poco innanzi.
E se da qualche anno egli sembra separarsi dalla Fraternità, è vero, ma egli si separa dalla Fraternità conciliare e non da quella fondata da Mons. Lefebvre.
E se sembra mostrarsi insubordinato ad ogni esercizio di autorità da parte dei capi della Fraternità, è ancora vero, ma solo rispetto a quegli ordini che vanno contro agli obiettivi per i quali essa è stata fondata.
Di fatto, per quale altro ordine, se non quello di chiudere i “Commenti Eleison”, è possibile affermare che egli si sia reso colpevole di disobbedienza “formale, ostinata e pertinace”? Ne esiste un altro solamente?
La disubbidienza di Mons. Lefebvre, rivolta unicamente ad atti d’autorità dei capi della Chiesa di natura tale da distruggere la Chiesa, è stata più apparente che reale.
Analogamente, la “disubbidienza” di colui che non ha voluto chiudere i “Commenti” è più apparente che reale.
Poiché la storia si ripete e il diavolo torna sempre alla carica. Esattamente come ieri il Concilio ha voluto conciliare la Chiesa cattolica ed il mondo moderno,
così oggi possiamo dire che Benedetto XVI ed il Superiore Generale vogliono, entrambi, conciliare la Tradizione cattolica ed il Concilio;
così domani, se Dio non interviene nel frattempo, alcuni capi della Resistenza cattolica cercheranno di riconciliarla con la Tradizione ormai conciliare.
Brevemente, caro Signor Superiore Generale, voi ora potete procedere alla mia esclusione, poiché i miei argomenti certamente non vi avranno persuaso, ma questa esclusione sarà più apparente che reale.
Io sono membro della Fraternità di Mons. Lefebvre per il mio impegno perpetuo. Io sono uno dei suoi sacerdoti da 36 anni.
Io sono uno dei suoi vescovi, come voi, da quasi un quarto di secolo.
Questo non si cancella con un tratto di penna, per cui membro della Fraternità io lo resto.
Se voi foste rimasto fedele alla sua eredità e se fossi stato io infedele, volentieri riconoscerei il diritto ad escludermi. Ma stando così le cose, io spero di non mancare di rispetto il vostro ufficio se suggerisco che per la gloria di Dio, per la salvezza delle anime, per la pace all’interno della Fraternità e per la vostra stessa salvezza eterna, che voi fareste meglio a dimettervi da Superiore Generale piuttosto che escludermi.
Che il Buon Dio vi dia la grazia, la luce e le forze necessarie per compiere un tale atto insigne di umiltà e di devozione al bene comune di tutti.
Quindi, come ho spesso concluso le lettere che vi ho spedito nel corso degli anni,
Dominus tecum.
+ Richard Williamson
Eccellenza,
grazie per la vostra lettera del 4 ottobre, con la quale mi comunicate da parte vostra, del Consiglio Generale e del Capitolo Generale, la vostra “constatazione”, “dichiarazione” e “decisione” che io non sono più membro della Fraternità San Pio X.
Le ragioni da voi
riferite che motivano la vostra decisione di escludere il vostro servitore
sarebbero le seguenti:
ha continuato a pubblicare i “Commenti Eleison”;
ha attaccato le autorità della Fraternità;
ha fatto opera di apostolato indipendente;
ha seminato confusione tra i fedeli;
ha sostenuto confratelli ribelli;
ha disobbedito in modo formale, ostinato e “pertinace”;
si è separato dalla Fraternità;
non si subordina ad alcuna autorità.
ha continuato a pubblicare i “Commenti Eleison”;
ha attaccato le autorità della Fraternità;
ha fatto opera di apostolato indipendente;
ha seminato confusione tra i fedeli;
ha sostenuto confratelli ribelli;
ha disobbedito in modo formale, ostinato e “pertinace”;
si è separato dalla Fraternità;
non si subordina ad alcuna autorità.
Non possiamo riassumere tutte queste motivazioni e considerarle essenzialmente “disubbidienza”?
Certamente, nel corso di questi ultimi dodici anni, il vostro servitore ha espresso parole e gesti che sono risultati inappropriati ed eccessivi davanti a Dio, ma credo sarebbe stato sufficiente segnalarglielo perché se ne fosse scusato, secondo verità e giustizia.
Ma siamo altrettanto certamente d’accordo che il problema di fondo non si trova nei dettagli, ma si riassume in una sola parola: disobbedienza.
Allora, cominciamo analizzando quanti ordini più o meno sgradevoli del Superiore Generale il vostro servitore ha rispettato senza ribattere.
Nel 2003 ha
abbandonato un importante e fruttuoso apostolato negli Stati Uniti per
trasferirsi in Argentina.
Nel 2009 ha rinunciato al proprio incarico di direttore del seminario e ha lasciato l’Argentina per ammuffire in una mansarda di Londra, privato della parola e del ministero episcopale che gli era stato proibito.
Nel 2009 ha rinunciato al proprio incarico di direttore del seminario e ha lasciato l’Argentina per ammuffire in una mansarda di Londra, privato della parola e del ministero episcopale che gli era stato proibito.
Virtualmente non gli rimaneva che il ministero del “Commento eleison”, il cui rifiuto di sospensione rappresenta la parte essenziale di questa “disobbedienza” che gli viene rimproverata.
E a partire dal 2009 i Superiori della Fraternità si sono permessi di discreditarlo ed ingiuriarlo a loro piacimento, ed in tutto il mondo hanno incoraggiato ogni membro della Fraternità che ne avesse voglia a fare lo stesso.
Il vostro servitore non ha quasi reagito, preferendo il silenzio a qualsiasi confronto scandaloso. Si potrebbe persino dire che si è sforzato di non disubbidire.
Ma andiamo oltre, poiché il vero problema non è questo.
Allora, dove si trova il vero problema?
Per rispondere, permettete all’accusato di fare una rapida analisi della storia della Fraternità dalla quale si pretende che egli si stia separando.
In realtà, il problema centrale ha radici nel passato.
A partire dalla Rivoluzione francese della fine del XVIII secolo, in molti Stati un tempo cristiani si è imposto un nuovo ordine mondiale, concepito dai nemici della Chiesa per cacciare Dio dalla sua creazione. Si è cominciato sostituendo l’antico regime, dove il trono sosteneva l’altare, con la separazione tra Chiesa e Stato. Ne è derivata una struttura della società radicalmente nuova, difficile per la Chiesa, poiché lo Stato, ormai implicitamente ateo, ha cominciato ad opporsi con tutte le sue forze alla religione di Dio.
In realtà, la massoneria vuole sostituire il vero culto di Dio con il suo culto della libertà la cui neutralità in campo religioso non è che uno strumento (per raggiungere l’obiettivo).
Comincia così nei tempi moderni una guerra impietosa tra la religione di Dio, difesa dalla Chiesa Cattolica, e la nuova religione dell’uomo, liberata da Dio e liberale. Queste due religioni sono inconciliabili tanto quanto Dio e il demonio. Bisogna scegliere tra cattolicesimo e liberalismo.
Ma l’uomo non vuole scegliere, vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Vuole entrambe le cose.
Quindi, sulla scia della Rivoluzione, Félicité de Lamennais inventa il cattolicesimo liberale e, da lì in poi, la conciliazione degli inconciliabili diventa il pane quotidiano all’interno della Chiesa.
Per 120 anni, la misericordia di Dio ha dato alla Sua Chiesa una serie di Papi, da Gregorio XVI a Pio XII, per la maggior parte perspicaci e risoluti, ma un numero sempre crescente di fedeli ha cominciato a propendere per l’indipendenza da Dio e per i piaceri materiali verso i quali il cattolicesimo liberale spingeva.
Una progressiva corruzione ha finito per coinvolgere vescovi e sacerdoti, allora Dio ha deciso di permettere loro di scegliere il genere di papi che garbava loro, ossia quelli che fanno solo finta di essere cattolici, ma che in realtà sono dei liberali, che parlano a destra ma agiscono a sinistra, che spiccano per la contraddizione, l’ambiguità, per la dialettica hegeliana, in parole povere per la menzogna.
Si tratta della neo-Chiesa del Vaticano II.
E non poteva che essere così.
Solo nei sogni si possono conciliare delle realtà incompatibili tra loro.
Ma Dio – parola di Sant’Agostino – non abbandona le anime che non vogliono abbandonarlo, quindi viene in soccorso di quelle poche anime che restano cattoliche e non vogliono seguire la molle apostasia del Vaticano II.
Suscita un vescovo che resisterà al tradimento del clero conciliare. Rispettando la realtà, evitando di conciliare l’inconciliabile, rifiutando di sognare, questo arcivescovo parla con tali chiarezza, coerenza e verità che il gregge riconosce in lui la voce del Divino Maestro.
La Fraternità sacerdotale che egli fonda per formare dei veri sacerdoti cattolici si avvia a piccoli passi, ma, rifiutando in modo risoluto gli errori conciliari ed il loro fondamento cattolico liberale, attira a sé ciò che resta dei cattolici autentici dal mondo intero, fino a formare la spina dorsale di tutto un movimento nella Chiesa che è detto Tradizionalismo.
Ora, questo movimento è odioso per gli uomini della neo-Chiesa che vogliono sostituire il cattolicesimo col cattolicesimo liberale. Con l’aiuto dei media e dei governi, fanno di tutto per screditare, ingiuriare e sopprimere il coraggioso arcivescovo. Nel 1976, Paolo VI lo “sospende a divinis”, nel 1988 Giovanni Paolo II lo “scomunica”. Questo arcivescovo importuna terribilmente i papi conciliari perché la sua parola di verità mina il loro reticolo di menzogne e mette a rischio il loro tradimento. E sotto i colpi della loro persecuzione, persino della loro “scomunica”, tiene duro e con lui il considerevole numero di sacerdoti della sua Fraternità.
Questa fedeltà alla verità fa si che Dio conceda alla Fraternità dodici anni di pace interna e di prosperità esterna.
Nel 1991, il grande arcivescovo muore, ma per nove anni ancora la sua opera si perpetua nella fedeltà ai principi antiliberali sui quali l’ha costruita.
Allora, cosa faranno i Romani conciliari per fare fronte a questa resistenza? Sostituiranno il bastone con la carota.
Nell’anno 2000, un grande pellegrinaggio della Fraternità per l’Anno Giubilare mostra per le strade e nelle Basiliche di Roma la pietà e la potenza della Fraternità. I Romani ne sono impressionati, loro malgrado.
Un cardinale invita i quattro vescovi ad un sontuoso pranzo presso di lui, invito accettato da tre di loro.
Subito dopo questo pranzo molto amichevole, i contatti tra Roma e la Fraternità, da dodici anni pressoché congelati, riprendono e con quelli l’opera di seduzione dei bottoni rossi e dei pavimenti in marmo.
I contatti riprendono tanto freneticamente che già alla fine dell’anno molti sacerdoti e fedeli della Tradizione temono una conciliazione tra la Tradizione cattolica ed il Concilio liberale.
Questa non avviene, ma il linguaggio del Quartier Generale della Fraternità a Menzingen comincia a cambiare e nei dodici anni a seguire si mostrerà meno ostile verso Roma e più benevola verso le autorità della Chiesa conciliare, verso i media ed il loro mondo.
E, man mano che la conciliazione degli inconciliabili viene preparata dalla testa della Fraternità, nel suo corpo di sacerdoti e di laici l’atteggiamento diventa pian piano più indulgente verso i papi e la Chiesa conciliari, verso tutto ciò che è mondano e liberale.
Dopo tutto, il mondo moderno che ci circonda è veramente così gramo come ci hanno voluto far credere?
Questa avanzata del liberalismo all’interno della Fraternità, percepita da una minoranza di sacerdoti e di fedeli, ma apparentemente invisibile agli occhi della grande maggioranza, si è svelata a molti nella primavera di quest’anno quando, in seguito al fallimento dei Colloqui Dottrinali della primavera 2011, la politica cattolica del “nessun accordo pratico senza accordo dottrinale” è diventata da un giorno all’altro “nessun accordo dottrinale, quindi accordo pratico”. E verso la metà di aprile il Superiore generale offre a Roma come base per un accordo pratico, un testo ambiguo, apertamente favorevole a questa “ermeneutica della continuità” che è la beneamata ricetta di Benedetto XVI per conciliare, precisamente, il Concilio e la Tradizione!.
“Occorre un pensiero nuovo” dirà il Superiore Generale nel mese di maggio ai sacerdoti del distretto austriaco della Fraternità. Ovvero, il capo della Fraternità fondata nel 1970 per resistere alle novità del Concilio, propone di conciliarla con il Concilio. Oggi essa è conciliante. Domani dovrà diventare pienamente conciliare!
Si stenta a credere che l’opera fondata da Mons. Lefebvre sia stata condotta a dimenticare, addirittura disprezzare i principi sui quali egli l’ha fondata, ma questo è il potere della seduzione delle fantasie del nostro mondo senza Dio, modernista e liberale.
Ciò nonostante, la realtà non si lascia influenzare dalle fantasie, ed è reale il fatto che non si possono demolire i principi di un fondatore senza demolirne anche la fondazione. Un fondatore ha delle grazie particolari che nessuno dei suoi successori ha. Come tuonava Padre Pio quando i Superiori della sua Congregazione provavano a “rinnovarla” secondo il nuovo pensiero del Concilio appena terminato: “Che cosa fate del Fondatore?”
Il Superiore Generale, il Consiglio Generale ed il Capitolo Generale della FSSPX hanno un bel conservare Mons. Lefebvre come mascotte, in realtà hanno un nuovo proposito, lontano dalle gravissime motivazioni per cui egli ha fondato la Fraternità. La stanno mandando in rovina almeno attraverso un tradimento oggettivo, assolutamente analogo a quello del Vaticano II.
Ma siamo giusti, e non esageriamo.
Fin dall’inizio di questa lenta caduta della Fraternità, ci sono sempre stati sacerdoti e fedeli che hanno capito e che hanno fatto il possibile per resistere. Nella primavera di quest’anno questa resistenza ha assunto consistenza e dimensioni tali da rappresentare un ostacolo al Capitolo Generale del mese di luglio, già sul cammino nefasto dell’accordo.
Ma riuscirà a tenere questo ostacolo? Temo di no.
Davanti ad una quarantina di sacerdoti della Fraternità riuniti in ritiro sacerdotale ad Ecône nel mese di settembre, il Superiore Generale, riferendosi alla sua politica romana, ha confessato: “Mi sono sbagliato”, ma di chi è la colpa?
“I Romani mi hanno ingannato.” Inoltre, ne è derivata “una grande sfiducia nella Fraternità” che occorrerà “riparare attraverso fatti e non solo parole”, ma di chi è la colpa?
Fino ad ora, il suo operato, a partire dal mese di settembre, ivi compresa questa lettera del 4 ottobre, mostrano che egli se la prende con i sacerdoti e con i laici che non hanno saputo fidarsi di lui, il loro capo.
Dopo il Capitolo, come prima dello stesso, rimane l’impressione che egli non tolleri nessuna opposizione alla sua politica conciliatrice e conciliare.
Ed eccola la motivazione per cui il Superiore Generale ha dato più volte l’ordine formale di chiudere i “Commenti eleison”.
In effetti, questi “Commenti “ hanno criticato a più riprese la politica conciliatrice verso Roma delle Autorità della Fraternità, ed implicitamente le hanno attaccate. Ora, se in questa critica ed in questi attacchi si trovano delle violazioni alla regola del rispetto dovuto al loro ufficio e alle loro persone, ne chiedo volentieri perdono a chi di diritto, ma credo sia sufficiente rileggere i numeri in questione dei “Commenti” per constatare che la critica e gli attacchi sono rimasti di norma impersonali, poiché in ballo c’è ben altro che solo delle persone.
E, in quanto al grande problema che va ben oltre alle persone, consideriamo la gran confusione che regna attualmente nella Chiesa e nel mondo, e che mette in pericolo la salvezza eterna di un’infinità di anime.
Non è forse dovere di
un vescovo scovare le vere radici di questa confusione, e denunciarle
pubblicamente?
Quanti vescovi nel mondo intero vedono chiaro come vedeva Mons. Lefebvre, e danno un insegnamento che corrisponde a tale chiarezza?
Quanti tra loro ancora insegnano semplicemente la dottrina cattolica?
Pochissimi, vero?
E allora, è questo
il momento di cercare di fare tacere un vescovo che lo fa, cosa testimoniata
dalla quantità di anime che si aggrappano ai “Commenti” come ad una ancora di
salvezza? Quanti vescovi nel mondo intero vedono chiaro come vedeva Mons. Lefebvre, e danno un insegnamento che corrisponde a tale chiarezza?
Quanti tra loro ancora insegnano semplicemente la dottrina cattolica?
Pochissimi, vero?
E come in particolare un altro vescovo può volerlo zittire, lui che ha dovuto ammettere davanti ai suoi sacerdoti che sulle stesse grandi questioni si è lasciato ingannare, e questo per molti anni?
In più, se il vescovo refrattario si è effettivamente dato – per la prima volta in quasi 4 anni – un apostolato indipendente, come lo si può rimproverare di avere accettato un invito, indipendente dalla Fraternità, a cresimare e a predicare una parola di verità?
Non consiste proprio in questo la funzione stessa di un vescovo?
La sua parola in Brasile sarà stata di “confusione” solo per quelli che seguono l’errore confessato ed evocato poco innanzi.
E se da qualche anno egli sembra separarsi dalla Fraternità, è vero, ma egli si separa dalla Fraternità conciliare e non da quella fondata da Mons. Lefebvre.
E se sembra mostrarsi insubordinato ad ogni esercizio di autorità da parte dei capi della Fraternità, è ancora vero, ma solo rispetto a quegli ordini che vanno contro agli obiettivi per i quali essa è stata fondata.
Di fatto, per quale altro ordine, se non quello di chiudere i “Commenti Eleison”, è possibile affermare che egli si sia reso colpevole di disobbedienza “formale, ostinata e pertinace”? Ne esiste un altro solamente?
La disubbidienza di Mons. Lefebvre, rivolta unicamente ad atti d’autorità dei capi della Chiesa di natura tale da distruggere la Chiesa, è stata più apparente che reale.
Analogamente, la “disubbidienza” di colui che non ha voluto chiudere i “Commenti” è più apparente che reale.
Poiché la storia si ripete e il diavolo torna sempre alla carica. Esattamente come ieri il Concilio ha voluto conciliare la Chiesa cattolica ed il mondo moderno,
così oggi possiamo dire che Benedetto XVI ed il Superiore Generale vogliono, entrambi, conciliare la Tradizione cattolica ed il Concilio;
così domani, se Dio non interviene nel frattempo, alcuni capi della Resistenza cattolica cercheranno di riconciliarla con la Tradizione ormai conciliare.
Brevemente, caro Signor Superiore Generale, voi ora potete procedere alla mia esclusione, poiché i miei argomenti certamente non vi avranno persuaso, ma questa esclusione sarà più apparente che reale.
Io sono membro della Fraternità di Mons. Lefebvre per il mio impegno perpetuo. Io sono uno dei suoi sacerdoti da 36 anni.
Io sono uno dei suoi vescovi, come voi, da quasi un quarto di secolo.
Questo non si cancella con un tratto di penna, per cui membro della Fraternità io lo resto.
Se voi foste rimasto fedele alla sua eredità e se fossi stato io infedele, volentieri riconoscerei il diritto ad escludermi. Ma stando così le cose, io spero di non mancare di rispetto il vostro ufficio se suggerisco che per la gloria di Dio, per la salvezza delle anime, per la pace all’interno della Fraternità e per la vostra stessa salvezza eterna, che voi fareste meglio a dimettervi da Superiore Generale piuttosto che escludermi.
Che il Buon Dio vi dia la grazia, la luce e le forze necessarie per compiere un tale atto insigne di umiltà e di devozione al bene comune di tutti.
Quindi, come ho spesso concluso le lettere che vi ho spedito nel corso degli anni,
Dominus tecum.
+ Richard Williamson
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